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Maurizio Sarri JuventusGetty Images

Juventus, Sarri out: ma i problemi restano

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Andrea Agnelli è un decisionista. Lui ha deciso di dare la grande chance ad Antonio Conte. Lui ha deciso di silurare Maurizio Sarri dopo una sola stagione. Ed è sempre lui ad aver affidato la panchina della Juventus ad Andrea Pirlo.

Un presidente, un manager. Che, a suon di lungimiranza, ha saputo risollevare le sorti di una nobile decaduta. Il resto è storia moderna: 9 scudetti di fila, 4 Coppe Italia e altrettante Supercoppe Italiane. Più due finali di Champions League, entrambe perse, ma che testimoniano come gradualmente la Signora sia arrivata alla massima competitività europea.

Tredici mesi di Sarri possono bastare. Nonostante – potenzialmente – un’idea tecnico-tattica intrigante. Nonostante, soprattutto, un tricolore. Perché, sebbene sia stato messo alla porta, l’ex tecnico bianconero se ne va da vincente. Con tanto di percorso meritocratico, senza favoritismi, partendo dalla Seconda Categoria e arrivando sul tetto dell’élite nostrana. Nulla di regalato, tutto sudato.

E allora tanti saluti a un tecnico dogmatico, filosofo, da sempre fautore del calcio organizzato e aulicamente espressivo. Insomma, tutto ciò che non s’è visto alla Juve. Dal neologismo del sarrismo al concetto di ibrido.

Perché quanto proposto nell’ultima stagione da Madama, sostanzialmente, è riassumibile in un vivacchiare. Una bella partita qua, una sconfitta là. Senza mai dare l’impressione di poter fare la voce grossa con nessuno.

Colpa di Sarri? Sì, ma anche di chi non ha saputo costruirgli una rosa all'altezza delle aspettative. Morale? Rigetto tecnico. Limiti strutturali al potere, con la passata edizione del mercato estivo a completare un quadro tanto cervellotico quanto disordinato.

Basti pensare, ad esempio, all’operazione imbastita con il Manchester United che avrebbe dovuto portare Dybala in Inghilterra e Lukaku all’ombra della Mole. Basti pensare agli innesti poco azzeccati targati Danilo, Ramsey e Rabiot. Basti pensare al ritorno di Higuain, rimasto a Torino più per volere suo anziché della società, ormai giunto (ad alti livelli) al capolinea.

Via Sarri, ma restano i problemi. Perché neanche Pirlo potrà fare magie con Khedira, De Sciglio e Douglas Costa. Gente abbonata al J Medical, gente che ingolfa – e non di poco – il monte ingaggi.

Avanti verso il rinnovamento, con gli acquisti di Kulusevski e Arthur che vanno in questa direzione, ma con profonde riflessioni da fare circa la bontà di un organico ampiamente sopravvalutato, incapace di avere la meglio nel doppio confronto sulla settima forza della Ligue 1.

Una stagione complicata, complicatissima, salvata dall’obiettivo minimo. Conquistato anche grazie ai contributi di Dybala e Bentancur. Rigenerato, il primo, dalla cura Sarri. Lanciato senza remore, il secondo, dal medesimo mister. E poi c'è sempre la società che, comunque, ha saputo costruire la difesa del domani con gli ottimi inserimenti di Demiral e De Ligt. 

Vietato pensare, quindi, che con un nuovo volto in panchina possa cambiare l'intera musica. Chiave di lettura, questa, che ha portato all'addio di Max Allegri. L'evoluzione, quindi, passa da un altro tipo di organico: da rinforzare in determinati reparti e, soprattutto, da svecchiare. Senza sentimentalismi e con pragmatismo. Al costo di optare per decisioni impopolari. All'insegna, appunto, del decisionismo.

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