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Juventus-Inter ai tempi del Coronavirus: un derby d'Italia per pochi

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Un pallido sole a tentare di scaldare Torino. Ma senza riuscirci. La temperatura, attorno ai 10 gradi, è delle più fresche. Così com’è fredda l’accoglienza per il derby d’Italia ai tempi del coronavirus. Stadio senza tifosi, nessuna percezione di una partita scudetto. L’Italia ha problemi ben più grossi, che coinvolgono direttamente anche la provenienza dell’Inter.

Fino al 3 aprile, infatti, gran parte del Nord del Paese finisce in quarantena, come stabilito dal decreto del Governo, firmato nella notte dal premier Giuseppe Conte, con Lombardia e altre 14 province chiuse: non si entra, non si esce e non ci si può muovere internamente salvo per inderogabili e indifferibili esigenze.

Il calcio, evidentemente, appartiene a quest’ultima categoria. Sebbene, anche questa mattina, il presidente dell’Assocalciatori Damiano Tommasi abbia rimarcato il suo pensiero con un nuovo tweet: “Fermare il calcio è l’atto più utile al Paese in questo momento. Le squadre da tifare stanno giocando nei nostri ospedali, nei luoghi d’emergenza”.

Juventus-Inter non è per tutti. Anzi, è decisamente per pochi. Ammessi: un servizio medico sanitario dotato di scanner; 100 unità per l’organizzazione della gara; gli incaricati della Procura Federale, I Delegati Lega, I Medici Anti-Doping e i rappresentanti della Commissione Federale Anti-Doping; gli addetti della Sicurezza Pubblica, gli steward, i VVFF e gli operatori di Pronto Soccorso; 45 giornalisti (più gli addetti ai lavori delle solo emittenti titolari dei diritti di trasmissione dell’evento live) e 5 fotografi; i social media manager di entrambe le compagini. Stop.

Non sorprende, quindi, che fuori dallo Stadium regni pressoché il deserto. Certo, la presenza dei curiosi non manca, ma le priorità sono altre e (quasi) tutti le capiscono e rispettano. Dalla Tribuna Sud alla Nord, passando per la Est e la Ovest: silenzio. Dentro e fuori.

Qualcuno cerca in vicinanza un bar per prendersi un caffè. Altri, invece, si organizzano per guardare insieme il big match in televisione. Ma le polemiche non si placano e vertono principalmente sullo stesso tema: perché non fermare tutto? A maggior ragione dopo aver assistito allo stucchevole teatrino di Parma-SPAL, gioco o non gioco, con le parole del Ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, a risultare – decreto alla mano – quanto meno anacronistiche.

Per ora, si riparte. Il futuro, però, è un grande punto interrogativo. Resta un derby d’Italia privo di pathos e adrenalina. Almeno per coloro che lo vivranno dall’esterno. Ovvero: tutti.

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