C'è sempre bisogno di un capro espiatorio: Max Allegri, Maurizio Sarri, Cristiano Ronaldo. Tre uomini finiti sul banco degli imputati per le eliminazioni subite dalla Juventus in Champions League contro Ajax, Lione e Porto. Quarti, ottavi e ottavi. Un percorso anacronistico per chi ha dettato legge negli ultimi nove anni in Italia, con tanto di investimento (?) del secolo.
E proprio su CR7 nelle ultime ore si sta concentrando l'attenzione collettiva. Assente ingiustificato - sia all'andata sia al ritorno - contro il Porto, il lusitano è finito nel tritacarne mediatico. Impalpabile agli ottavi di Champions, evento più unico che raro per chi questa competizione l'ha vinta da protagonista cinque volte tra Manchester United e Real Madrid. Il tenore ha steccato e lo ha fatto nel peggior momento possibile. Suscitando, così, un inevitabile effetto smarrimento tra i tifosi bianconeri.
Che, comunque, non possono dimenticare quanto accaduto fino a ieri. In numeri: 92 goal in 121 partite. Una media mostruosa, in pieno stile Cristiano, che sottolinea oggettivamente come a Torino ci siano tanti problemi ma Cristiano non rappresenti uno di questi. Insomma, mettere in discussione il miglior giocatore al mondo è roba da TSO. Mettere in discussione il futuro, invece, appartiene alla più pura normalità.
Perché CR7, a 36 anni compiuti, rappresenta un costo ingombrante. Forse eccessivo per una Juve che - in questo periodo storico - non scoppia di salute finanziaria: Covid, entrate limitate, mancato accesso ai quarti, etc. I soldi non crescono sugli alberi e, quindi, il peso a bilancio di Cristiano - 87 milioni lordi - non è roba di poco conto.
Così come non sono di poco conto le lacune strutturali palesate negli ultimi anni dalla Juve, che da quando annovera tra le sue fila il portoghese ha fatto registrare una preoccupante involuzione tecnica. Da associare, indubbiamente, a una coraggiosa e doverosa politica di ringiovanimento. Ma anche a degli errori di mercato che, alla fine della fiera, hanno finito per impoverire il peso specifico della rosa. Con il picco di mediocrità toccato a centrocampo, reparto in cui si è passati dai sogni del 2015 agli incubi dell'annata corrente.
Analisi banale ma veritiera: un conto è dialogare nello stretto ed essere supportato da Modric, Casemiro e Kroos, un altro è tentare di insegnare la tua lingua agli attuali metodisti juventini. Qui, sostanzialmente, si gioca la partita. Con la Juve chiamata a rinforzare in maniera mirata la rosa affinché Ronaldo diventi un valore aggiunto e non un privilegio.
Resta la portata di un'operazione eccezionale, inimmaginabile, divenuta realtà grazie al coraggio di una società votata all'ambizione. Com'è giusto che sia, perché se emerge l'opportunità di prendere Ronaldo, lo si prende. Stop. Il resto sono conseguenze, positive o negative, ma pur sempre conseguenze da associare al rischio d'impresa. CR7 non è un giocatore, è un brand da 100 milioni l'anno. E come tale va trattato.
Una disfatta, quindi, può diventare un'opportunità. La Juve, nelle due precedenti edizioni della Champions, non è stata all'altezza del suo re. Che, dal canto suo, non lo è stato con il Porto. Pari e patta. Ora, spazio alle riflessioni. Con Madama chiamata a pianificare le mosse del domani, e con Cristiano - silente e deluso - a ragionare con lucidità e pragmatismo. Resta la netta sensazione, tuttavia, che il matrimonio sia giunto a una fase di stanca: salto di qualità o addio. Le mezze misure, mai come in questo caso, rappresenterebbero un fallimento annunciato. L'ennesimo.


