
Le congiunzioni astrali che permisero al Milan di Carlo Ancelotti di andare a scovare talenti in giro per il globo e di vincere con quei giocatori passano dalla capacità di conoscere e gestire il calcio che in quegli anni aveva Adriano Galliani, insieme alle competenze di mettere poi una formazione vincente in campo del tecnico che sedeva in panchina. Per Milanello negli anni di Ancelotti passarono tanti giocatori a volte anche sconosciuti, come Vogel, Kaladze o Jon Dahl Tomasson, che in qualche modo fece breccia nel cuore dei rossoneri.
L’attaccante danese, appese le scarpette al chiodo, ha deciso di dedicarsi alla carriera da allenatore, andando a riconquistare il titolo svedese dopo tre anni che il Malmoe mancava nell’albo dei vincitori. Un risultato importante, che ha portato nella bacheca l’Allsvenskan (il massimo campionato svedese) con nove punti di vantaggio sull’Elfsborg e portato la squadra fino al ritorno in Champions League dopo aver passato i preliminari. Un ottimo modo per riprendersi le luci dei riflettori da allenatore ed approdare alla guida di un club storico come il Blackburn nel giugno 2022, dopo le non soddisfacenti esperienze da quando si è seduto in panchina, e nel rispetto di quello che è stato da giocatore. Perché Tomasson, per quanto non abbia conquistato sempre gli onori della cronaca, a Milano, sponda rossonera, se lo ricordano benissimo.
Come la maggior parte dei talenti scandinavi, quelli che per farsi notare hanno bisogno di un colpo di testa importante prima di poter iniziare a sbarcare il lunario, Tomasson inizia a giocare nella squadra della sua città, il Solrod Boldklub. Il campionato danese ha qualcosa in più da dire rispetto a quello norvegese, che nel frattempo aveva iniziato a sdoganare l’apertura al resto d’Europa grazie anche al successo di Solskjaer in Premier League, e un giovanissimo Tomasson riesce ad arrivare al Newcastle, dopo una parentesi durata tre anni nei Paesi Bassi. L’esborso economico da parte dei Magpies è di 3 milioni di sterline, messi nelle casse dell’Heerenveen. L’attaccante danese accetta, ma allo stesso tempo rifiuta la proposta del Barcellona.
“Ero andato a parlare con loro, ma alla fine ho preferito andare al Newcastle. Ci sono varie motivazioni, ma la principale me l’ha data Peter Schmeichel” dichiara Tomasson. D’altronde la parola del campione danese, un emblema del calcio scandinavo, non può che essere letta come se fosse una legge scritta nella pietra. Con le sue otto stagioni al Manchester United, Schmeichel può permettersi di fare da vero e proprio garante per i giocatori nordici in Premier League. “Mi ha detto di venire in Inghilterra e specialmente al Newcastle. Non mi sembrava il caso di discutere con lui”.
La stagione al Newcastle, però, nonostante il suggerimento di Schmeichel, non dona grande lustro a Tomasson. La Premier League è un campionato fisico, che non ha ancora abbracciato le velocità che adesso lo contraddistinguono rispetto agli altri tornei europei: l’attaccante danese, invece, è esile, fa fatica a trovare spazio nelle difese avversarie. La sua permanenza in Inghilterra dura appena un anno e il Daily Mail, a posteriori, decide di inserirlo tra i 50 peggiori attaccanti del campionato inglese di sempre, nella posizione numero 34. Potrebbe sembrare un grande fallimento, ma in realtà a ventuno anni, il centravanti di Copenaghen ha ancora tanto da dire. L’Europa pensa, però, che la sua collocazione migliore sia verso i Paesi Bassi, da dove era arrivato l’estate precedente: stavolta per lui c’è il Feyenoord. Ci resta quattro anni, confermando che l’ambiente per un giocatore è fondamentale e che il clima che aleggia in quelle zone gli giova: vince il campionato e la Suercoppa al primo anno, poi nel 2001 trova anche la vittoria internazionale, alzando la Coppa UEFA.
Getty ImagesIl Feyenoord gioca in casa la finale, proprio allo Stadion Fejenoord di Rotterdam: l’8 maggio del 2002 l’avversario è il Borussia Dortmund. La squadra di casa, allenata da Bert van Marwijk, arriva nella competizione dalla Champions League, incontrando il Friburgo ai sedicesimi di finale. Agli ottavi tocca ai Rangers di Glasgow, poi ai quarti c’è il derby con il PSV: i Trots van Zuid riescono a vincere ai rigori e in semifinale arriva l’Inter, che si arrende per un risultato complessivo di 3-2. Il Borussia Dortmund, dall’altro lato, compie un percorso simile, arrivando dalla massima competizione europea e sconfiggendo in semifinale l’altra squadra di Milano, i rossoneri che cadono 4-0 al Westalenstadion, provando la rimonta al ritorno a San Siro, bruciata da una rete di Lars Ricken che blocca il risultato sul 3-1. Il cammino trionfale delle due squadre si incrocia quindi nei Paesi Bassi, palcoscenico recente dell’assassinio di Pim Fortuyn, politico ucciso due giorni prima del fischio d’inizio: il clima è teso per l’Olanda, ma la partita si gioca. Tomasson è ovviamente titolare in attacco accanto a Van Hooijdonk, che va a segno al 33’ su rigore (procurato da Tomasson) e al 40’. Nella ripresa Amoroso dal dischetto accorcia le distanze, ma la gioia dura davvero poco, perché tre minuti dopo, al 50’, è proprio Tomasson che riesce a sorprendere la difesa giallonera e a battere Jens Lehmann. C’è tempo per il 3-2 di Koller, ma non serve, perché il Feyenoord alza la sua seconda Coppa Uefa della storia e Tommason viene premiato come MVP della gara.
Il palcoscenico internazionale si è oramai convinto: il Milan lo studia, lo osserva, guarda quell’attaccante che poteva essere l’avversario da marcare in finale della competizione e così come avverrà qualche anno più tardi con Johann Vogel, conosciuto come avversario in Champions League, accade per Tomasson. L’attaccante di Copenaghen resta senza contratto al termine della stagione, non rinnova con il Feyenoord e si mette sul mercato da svincolato. La politica di quegli anni di Galliani era di andare a scovare quanti più talenti possibili a parametro zero e mentre tratta Rivaldo, si aggiudica sia Dalla Bona che Tomasson a parametro zero. Con Seedorf e Simic che sono frutti di scambi, l’amministratore delegato rossonero riesce a mettere insieme una squadra per Ancelotti costata poco, ma che promette grandi successi.
Tomasson, nel frattempo, arrivato tra lo scetticismo generale, continua a farsi notare e a sottolineare quanto positivo sia stato l’investimento del Milan. Se Giappone e Corea restano indigesti all’Italia, la Danimarca arriva fino agli ottavi di finale contro l’Inghilterra: Tomasson segna ai gironi una doppietta all’Uruguay e una rete a Senegal e Francia, con quest’ultima che viene battuta per 2-0. Quattro goal in tre partite, poi resta all’asciutto contro gli inglesi, una ferita scoperta dell’epoca del Newcastle. L’arrivo al Milan è trionfale, perché l’Italia lo accoglie nel miglior modo possibile: complice anche l’infortunio di Shevchenko alla fine dell’estate del 2002, il tandem d’attacco con Inzaghi permette ad Ancelotti di esaltarsi: arriva la Coppa Italia e la Champions League, vinta in finale contro la Juventus. L’anno successivo conquista lo Scudetto e la Supercoppa europea, ma nella stagione 2004/05 si vede strappare la vittoria della seconda Champions League dal Liverpool, pur segnando uno dei rigori conclusivi e superando il muro di gomma eretto da Dudek.
L’avventura al Milan si spegne proprio quell’estate: Galliani lo propone al Benfica, ma l’accordo non si trova. Arriva la proposta dello Stoccarda, di 5 milioni, e i rossoneri acconsentono: Trapattoni lo vuole per sostituire Kuranyi, che dopo quattro anni con i Roten si accorda con lo Schalke 04, e accetta di pagare il cartellino. In Portogallo l’offerta prevedeva un accordo solo per l’ingaggio, nessun esborso per il trasferimento. Se il primo anno riesce a mettersi in mostra nel campionato tedesco, la stagione successiva, con Armin Veh in panchina, lo spazio diminuisce: con Mario Gomez e Marco Streller già saldamente al loro posto, lo Stoccarda acquista Benjamin Lauth, che arriva in prestito dall’Amburgo per appena sei mesi. Proprio all’arrivo del centravanti di Hausham, Tomasson deve fare le valigie: soffre la fisicità del campionato teutonico, così come era successo in Premier League, e per lui lo spazio diventa poco.
Sigla un accordo con il Villarreal, che lo prende in prestito con diritto di riscatto, tenendolo fino alla fine del 2008: in Spagna il calcio proposto lo soddisfa, riesce a essere più nelle sue corde. Schierato quasi sempre da seconda punta, a supporto di un giovane Giuseppe Rossi, allenati da Manuel Pellegrini. Insieme si fermano ai sedicesimi di Coppa UEFA, non segnano la storia del Sottomarino Giallo e nell’estate del 2008 il danese torna, ancora una volta, nei Paesi Bassi. Ad accoglierlo c’è il Feyenoord, che gli concede una passerella nella prima stagione di 13 partite, alle quali fanno seguito le 24 della seconda. La terza gli serve solo per un addio malinconico, all’età di 35 anni, nel Paese che lo aveva reso grande e conosciuto, che gli aveva permesso di ritagliarsi un posto nel calcio internazionale che contava e inserire nel proprio palmares la coppa dalle grandi orecchie.




