GOALAveva una classe innata e una visione di gioco fuori dal comune, purtroppo per lui accompagnata però da un'indole pigra e scarsamente propensa al lavoro sul campo e al rigore degli allenamenti e della vita da atleta. Ivan De la Peña avrebbe potuto essere un grandissimo. Sarà invece uno dei casi più incredibili di talento incompiuto degli ultimi 30 anni calcistici.
Basco di Santander, città dove è nato il 6 maggio 1976, De La Peña inizia a giocare a calcio nelle Giovanili del Racing, il club della sua città, per poi passare al Barcellona nel 1992 e imporsi fin da giovanissimo come stella della Masia, il Settore Giovanile del club catalano, scuola di formazione di grandi campioni.
Con la palla sa fare praticamente quello che vuole. Fisico compatto (un metro e 71 cm per 71 chilogrammi di peso forma), eccelle in tutti i fondamentali, fatta eccezione per il colpo di testa. La sua dote migliore è quella dell'ultimo passaggio, con cui smarca spesso davanti al portiere i suoi compagni di squadra.
Grazie al suo talento è convocato anche nelle Rappresentative giovanili della Spagna a partire dall'Under 16, dove gioca da spalla di Raúl. Nella stagione 1994/95, a soli 19 anni, è nominato miglior giocatore della Segunda Divisiòn spagnola con il Barcellona B, la seconda squadra del club catalano. Tutti sono entusiasti del ragazzo, che viene soprannominato in lingua catalana 'Lo Pelat', 'Il Pelato', perché già da giovane ha pochi capelli e gioca con la testa rasata.
Per vederlo si scomoda addirittura il grande Johan Cruijff, che decide di portarlo in Prima squadra nella stagione 1995/96. Il 5 settembre 1995 il centrocampista basco fa il suo esordio nella Liga contro il Valladolid e il suo è un esordio che lascia il segno. Subentrato a gara in corso al posto di Bakero, firma il goal che fissa il risultato sul 2-0. I tifosi blaugrana sono entusiasti di lui e De la Peña si guadagna l'etichetta di predestinato.
Cruijff gli concede sempre più spazio e il giovane talento, che per il suo modo geniale è ribattezzato da tutti 'El pequeño Buda', 'Il Piccolo Buddha' , diventa un punto fermo dell'undici titolare. Fra Liga, Copa del Rey e Coppa UEFA totalizza 42 presenze e 9 goal, oltre agli immancabili assist. Tutti pensano che Ivan sia un predestinato. A 20 anni appena compiuti disputa la finale degli Europei Under 21, ma è l'italia di Cesare Maldini a vincere ai calci di rigore.
Per le Furie Rosse pesano, fra gli altri, proprio gli errori dagli 11 metri di De La Peña e Raúl. Ma mentre l'attaccante del Real Madrid avrebbe avuto da quel momento in poi un'ascesa inarrestabile, passando nel giro di pochi mesi alla Nazionale maggiore, il centrocampista basco avrebbe dovuto attendere quasi 9 anni per vestire la camiseta della Spagna.
GettySe il 1995/96 si era concluso 'senza tituli', per dirla alla Mourinho, nonostante una stagione decisamente positiva a livello personale, che gli fa guadagnare anche il premio di 'Giocatore rivelazione' assegnato dalla rivista 'Don Balón', la stagione successiva, caratterizzata sul calciomercato dall'arrivo di Ronaldo e dal ritorno di Stoichkov, porta in dote al suo palmarés e a quello del club tanti trofei.
Il Barcellona, sulla cui panchina arriva l'inglese Bobby Robson, vince infatti Supercoppa di Spagna, Copa del Rey e Coppa delle Coppe, piazzandosi secondo nella Liga dietro al Real di Capello. De La Peña è uno dei punti fermi della squadra, è schierato sulla trequarti e sviluppa un'intesa formidabile con 'Il Fenomeno', che con i suoi lanci diventa devastante.
In quel momento però, quando tutto fa pensare che il centrocampista spagnolo possa diventare un fuoriclasse assoluto, qualcosa si spezza. Ronaldo va all'Inter, De la Peña resta ma con van Gaal allenatore perde posizioni nella gerarchia e scivola fra i panchinari. Il tecnico olandese punta molto sull'aspetto fisico e atletico, ed entra in conflitto con il giovane talento. Il terzo anno con il Barcellona porta al centrocampista la seconda Copa del Rey di fila e il primo titolo spagnolo, tuttavia, a livello personale, la stagione è negativa con 22 presenze complessive e 2 goal.
De La Peña matura allora la decisione di lasciare la casa madre, quel Barcellona di cui appena qualche anno prima sembrava destinato a diventare il simbolo. Il presidente della Lazio Sergio Cragnotti, infatti, a suon di miliardi, lo convince ad approdare in Serie A. La Lazio paga 30 miliardi per acquistare il suo cartellino e assicura al giocatore, che firma un quadriennale, un ingaggio monstre da 6 miliardi a stagione. Solo Maradona e Ronaldo avevano precedentemente firmato accordi più ricchi del suo.
Il patron punta allo Scudetto e pensa al basco come fulcro del gioco biancoceleste. Lui però non farà nulla per meritarsi la fiducia del tecnico svedese Sven Goran Eriksson e sarà un incredibile flop. L'arrivo a Formello è praticamente da cinema. I tifosi lo accolgono festanti già la mattina quando sbarca a Fiumicino e successivamente quando, dopo aver fatto colazione con Coca-Cola e cornetto, si sottopone alle visite mediche all'Acquacetosa.
Ma il momento clou è quando il centrocampista spagnolo raggiunge il Centro sportivo biancoceleste a bordo di una Lancia K in compagnia di Fernando Couto, l'altro grande acquisto proveniente dai blaugrana. Ad attenderlo c'è infatti un 'muro' di 2 mila tifosi biancocelesti. L'auto, come è naturale che sia, fa fatica a passare in mezzo alla folla e a raggiungere i campi.
"Sembra er papa", dice uno, vedendolo arrivare. "No, me pare er duce, c'ha pure il cranio pelato", lo corregge un altro.
A un certo punto però Couto si stanca e scende dall'auto, e facendosi largo fra i tifosi, raggiunge i campi. De La Peña, che è seduto dietro, prova ad imitarlo, ma poi, letteralmente terrorizzato dalle tante persone presenti, dopo che un tifoso tenta di sfilargli gli occhiali da sole firmati, torna dentro e decide che è meglio arrivarci in macchina scortato dai carabinieri.
GettyPer accontentare i tanti tifosi che lo acclamano, però, dopo il saluto ai nuovi compagni, la società opta per un saluto da un balcone. Il centrocampista appare visibilmente fuori forma, con diversi chili di troppo accumulati durante le vacanze, veste pantaloncini corti e t-shirt nera Nike e calza dei sandali in cuoio.
"Muy impresionante', commenta, vedendo dall'alto la marea dei tifosi.
Poi, fra i cori e le ovazioni, prende la parola.
"Mi impegnerò al massimo per vincere tutto, anche il derby, onorerò una squadra che mi ha voluto a tutti i costi. Ho pronti assist per tutti", promette. "Ronaldo mi voleva all'Inter, - rivela - ma io ho scelto la Lazio perché mi ha fatto sentire importante".
La stagione parte anche bene, perché lo spagnolo recupera la forma e si rende protagonista nella Supercoppa italiana che vede i biancocelesti opposti alla Juventus. De la Peña propizia entrambe le azioni che portano ai due goal della squadra di Eriksson.
"Nel mio ruolo Zidane è il più forte di tutti, - dichiara De la Peña a 'La Repubblica' - ma io non somiglio né a lui né a Jugovic né a nessuno. Non ho modelli, sono Ivan De la Pena e basta".
Così parte titolare ma ben presto intraprende un'incredibile parabola discendente. Quest'ultima coincide con l'esplosione di Stankovic e per lo spagnolo il passo dal campo alla panchina è brevissimo.
Eriksson, che al contrario del suo presidente nutriva qualche dubbio sulle reali potenzialità del ragazzo, si affida ad una mediana con Nedved, Almeyda e appunto Stankovic e per la fantasia abbassa Mancini. 'Il Piccolo Buddha' così gioca poco e si incupisce, collezionando dopo la Supercoppa, 15 presenze in Serie A, 4 presenze e un goal in Coppa delle Coppe e 3 presenze in Coppa Italia.
"Negli ultimi tempi ho visto Ivan depresso, per questo ci tenevo a parlagli, per fargli capire che la Società lo stima, ha fiducia in lui. - dichiara a gennaio 1999 Cragnotti a 'La Repubblica' - De la Peña resta un giocatore importante per la Lazio, non sono pentito dell’investimento, il suo momento arriverà".
In campionato i biancocelesti riescono a dilapidare nel finale 7 punti di vantaggio sul Milan di Zaccheroni, autore di una strepitosa rimonta. L'Aquila si rifà però in Europa e alla vittoria della Coppa delle Coppe partecipa, pur con un ruolo marginale, anche De la Peña, prima di essere girato in prestito nell'estate successiva all'Olympique Marsiglia.
Sarà un nuovo flop, con 19 presenze e 1 goal fra Ligue 1 e Champions League. Il giocatore in grado di disegnare sul campo geometrie impensabili per chiunque altro, è diventato l'ombra di sé stesso. Nei due anni successivi tocca di fatto il fondo. Torna al Barcellona per volere di suo padrino, Lorenzo Serra Ferrer, ex responsabile della Masia divenuto primo allenatore nel 2001, ma la crisi personale e tecnica continua con 9 apparizioni in cui non lascia il segno. Eccolo quindi di nuovo in biancoceleste, con la speranza di un riscatto che non arriva nell'ultimo anno di contratto, con 2 presenze che segnano la fine della sua esperienza romana.
GettyLa carriera di colui che era stato designato da giovane come predestinato è a un bivio: prende allora al volo l'ultimo treno, rappresentato dall'Espanyol, il club accerrimo rivale del Barcellona. Il 'tradimento' del 'Piccolo Buddha' si consuma nell'estate 2002. De la Peña si rimette in discussione, ripartendo dal basso, e lentamente ritrova l'amore per il calcio e per quelle giocate che avevano fatto entusiasmare i tifosi del Barcellona e non solo.
Con i Periquitos De la Peña è protagonista di una vera e propria rinascita: in 9 stagioni diventa un simbolo della squadra e si toglie parecchie soddisfazioni. Su tutte quella della convocazione in Nazionale maggiore, che arrivanel 2005. Con colpevole ritardo,'Lo Pelat' fa il suo esordio il 9 febbraio nelle Qualificazioni ai Mondiali 2006 contro San Marino. A chiamarlo è il Ct. Luís Aragonés.
De la Peña colleziona 5 presenze con la Spagna in un periodo molto felice con il suo club. Nel 2005/06, infatti, l'Espanyol conquista la Copa del Rey, mentre De la Peña sviluppa una grande intesa con il bomber biancoblù Raúl Tamudo. L'anno seguente la squadra catalana è protagonista in Europa, dove perde in modo rocambolesco la finale con il Siviglia.
Nel 2009, poi, il centrocampista basco coglie la sua rivincita sul Barcellona che lo aveva scaricato: con una doppietta al Camp Nou (il primo goal lo segna addirittura di testa) in quello che era stato il suo grande palcoscenico, decide infatti il derby catalano con il Barcellona. Fatta pace con il destino, indossa la fascia di capitano in seguito alla tragedia che si porta via Dani Jarque, e la tiene fino al ritiro, annunciato il 19 maggio 2011, che arriva dopo 203 presenze e 9 goal con l'Espanyol in tutte le competizioni, con la consapevolezza e il rimpianto, che resta, di non essere riuscito ad esprimere, nella sua carriera, l'enorme talento e la genialità di cui madre natura lo aveva dotato.
Appesi gli scarpini al chiodo, intraprende la carriera di allenatore e nel giugno del 2011 il suo ex compagno di squadra Luis Enrique lo vuole con sé alla Roma come suo vice. Ma evidentemente non c'è feeling fra la capitale e 'Il Piccolo Buddha', che ad agosto, adducendo non meglio definiti problemi personali, abbandona l'incarico per far ritorno in Spagna.


