Si scrive Paulo Dybala, si legge genio. Perché solamente un gigante del pensiero può vivere di unicità. Un "10" moderno per interpretazione, ma antico in termini di valori ed espressione. Un volto pulito e rassicurante, perfetto per marchiare indelebilmente la storia.
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Il grosso, il bello, parte il 12 agosto 2011: data del debutto in Argentina con la maglia dell'Instituto de Cordoba. Esordio a 17 anni, 8 mesi e 28 giorni, roba da urlo. Perché in biancorosso, immediatamente, il ragazzino di Laguna Larga si mette in mostra realizzando 17 goal in 40 partite.
Numeri importanti che catturano l'attenzione dei club europei. Con uno squalo, dal nome Maurizio Zamparini, pronto a regalarsi una grande speranza per il Palermo. Bingo.
Se non è amore a prima vista, poco ci manca. L'allora proprietario rosanero, senza tergiversare, decide di investire 12 milioni. Portando in Sicilia, così, U Picciriddu. Appellativo nato da un'intuizione di Franco Marchione, storico dirigente del club rosanero scomparso a febbraio:
"Mi mandarono a prenderlo all'aeroporto. C'erano i due procuratori ed io ho chiesto: dov'è il giocatore? Eccolo qua. Io risposi 'ma chistu è nu picciriddu (bambino, ndr)".
E l'inizio, infatti, è caratterizzato dall'inesperienza. Pochi contributi scintillanti, tante potenzialità inespresse. Insomma, 3 reti in 27 gettoni al primo anno in serie A. In quella successiva - nella cadetteria - il bilancio recita 5 lampi. Ma Zamparini non molla, anzi, rilancia.
Nella stagione 2014-2015, Dybala inizia a girare. Eccome. Più sicurezza nei propri mezzi, più incisività. Con Beppe Iachini in prima linea:
"Paulo era scrupoloso. A fine allenamento si fermava a esercitarsi sulle punizioni e sui movimenti. Gli dicevo sempre due cose. La prima: non si tira il pallone, si calcia. Per rimarcare l’attenzione in termini di precisione. La seconda: se vuoi essere decisivo sulla partita devi fare le cose importanti con il piede importante”.
Un piede d'oro che, al termine del campionato, porterà 13 marcature e, soprattutto, 32 milioni più 8 di bonus. Crescita completata, investimento azzeccato. Ancora una volta è Zamparini a vincere, consegnando alla Juventus un talento sopraffino.
Fresco di accordo con la Signora, Dybala prende confidenza con il mondo bianconero non a Torino ma a Berlino. Sugli spalti dell'Olympiastadion, infatti, c'è anche l'argentino ad assistere alla sconfitta dei bianconeri contro il Barcellona per 1-3 nella finale di Champions League. Due anni dopo vivrà la stessa esperienza, ma da protagonista e affrontando il Real Madrid a Cardiff.
L'avventura in bianconero parte subito con una Joya. L'8 agosto del 2015, Paulo segna la seconda rete con cui la Juve batte la Lazio. Primo giro, primo trofeo: Supercoppa Italiana. Ed è subito grande feeling, con Max Allegri a lanciare senza remore un acquisto azzeccato a pieni voti.
Saranno alti e bassi nel rapporto con il tecnico toscano, con annessa pioggia di trofei nostrani. Il picco massimo, su scala internazionale, Dybala lo tocca quando rifila due lampi al Barcellona del connazionale Messi. Paragoni arditi, immotivati, ma che sanciscono un'incontrovertibile verità: Paulo è diventato grande.
E così è, sebbene non siano mancati momenti di difficoltà. Vedi la scorsa estate, quando sembrava che il centravanti albiceleste potesse lasciare Madama per trasferirsi al Manchester United.
Il bello, o il brutto, del mercato. Con Paulo intenzionato unicamente a rispettare la sua volontà, per nulla attratto dall'idea di lasciare Torino. Carattere forte, lo stesso messo in mostra a 15 anni, quando papà Adolfo se ne andava per una malattia incurabile.
Conta la stretta attualità, contano i goal: l'ultimo realizzato contro l'Inter. Un'incursione solitaria di rara bellezza, all'insegna - ancora una volta - della manifesta superiorità. Mancino d'oro.


