"[...] Se ci fosse più amore, per il campione, oggi saresti qui... [...]"
La strofa che Antonello Venditti dedica ad Agostino Di Bartolomei in 'Tradimento e Perdono' si adatta perfettamente anche alla vicenda umana e calcistica di Giuliano Taccola. Scoperto nel 1966 da Fulvio Bernardini quando gioca nel Savona,l'attaccante, che con i suoi goal porta i liguri in Serie B, dopo un'ulteriore esperienza al Genoa, approda alla Roma ed esplode nella stagione 1967/68, quando con Pugliese in panchina realizza 10 goal in Serie A. A 24 anni è considerato un grande talento, destinato ad indossare la maglia dell'Italia.
È potente, veloce e vede bene la porta. Tutti pensano che il 1968/69 possa essere l'anno della sua consacrazione. In panchina approda Helenio Herrera. La punta toscana segna 7 goal in una squadra modesta, il 'Mago' si aspetta molto da lui, che tuttavia non sta bene a causa di una brutta tonsillite. Viene operato ma i tempi del rientro vengono velocizzati, così, pur non stando bene continua a giocare.
Il suo fisico non ce la fa più, finché il 16 marzo 1969, a Cagliari, si accascia al suolo negli spogliatoi dell'Amsicora: nonostante i soccorsi, quando l'ambulanza arriva all'Ospedale Civile, ne viene constatata la morte, per "insufficienza cardiorespiratoria acuta". Taccola lascia sua moglie, appena ventiquattrenne, e due figli in tenera età in quella che resta una delle tragedie più assurde del calcio italiano.
Sorgono subito voci e polemiche sulle responsabilità: anni dopo le ricostruzioni ufficiose parleranno di un'endocardite accompagnata da una broncopolmonite emorragica, ma le circostanze del suo decesso restano in parte ancora oggi avvolte nel mistero.
LA CARRIERA: DAGLI ESORDI ALLA MAGLIA GIALLOROSSA
Nato ad Uliveto Terme il 28 giugno 1943, Giuliano Taccola nasce in una famiglia povera. Figlio di un venditore ambulante, inizia a giocare a calcio con le Giovanili dell'Uliveto, compagine pisana in cui si distingue nel Campionato ragazzi 1957-58 e 1958-59 e viene notato dagli osservatori del Genoa.
A 16 anni scappa da casa per rincorrere il sogno di diventare un calciatore ed entra a far parte del Settore giovanile del Grifone, con cui fa tutta la trafila. Come molti giovani degli anni Sessanta, Giuliano è un ribelle, ma a 17 anni conosce l'amore e si fidanza con Marzia Nannipieri che a 19 diventa sua moglie.
Nel 1962-63 inizia la carriera da calciatore professionista all' Alessandria, che milita in Serie B, e con cui segna i primi 2 goal della sua carriera (in 22 presenze). Il primo goal della carriera lo segna nel giorno del debutto il 4 novembre 1962 in Alessandria-Messina 1-2. Gioca da centravanti e pur non essendo particolarmente dotato tecnicamente ha mezzi fisici di primo piano: un metro e 79 centimetri altezza per 76 chilogrammi di peso forma, è potente e veloce, tanto da percorrere i 100 metri in poco più di 11'', sa farsi largo fra le difese avversarie e ha una grande determinazione.
WikipediaNel 1963-64 Giuliano passa al Varese, ma con i lombardi di Puricelli colleziona appena 2 presenze, nonostante la squadra vinca il campionato e sia promossa in Serie A. Taccola è ceduto in Serie C, all' Entella di Chiavari e inizia a vedere la porta con regolarità: a fine anno sono 7 i goal, con 27 presenze.
Passa quindi al Savona, dove avviene la svolta della sua carriera: segna 13 reti in 32 partite e trascina i biancoblù alla storica promozione in Serie B. Lo nota un uomo di calcio come 'Fuffo' Bernardini, che lo segnala alla Roma. Prima di approdare nella capitale, però, fa un ulteriore anno al Genoa in Serie B. Per i rossoblù, con cui è cresciuto, è una stagione sofferta che si chiude al 12° posto e Giuliano segna soltanto 4 reti in 32 presenze, ma il suo futuro è già deciso e sarà a tinte giallorosse.
Lo sbarco nella capitale si concretizza nell' estate 1967, quando la Lupa paga 90 milioni di Lire per il suo cartellino. Per i giallorossi, che attraversano un periodo travagliato della loro storia, sono anni di transizione verso un futuro migliore. L'allenatore è Oronzo Pugliese, messosi in luce alla guida del Foggia, con cui era riuscito a battere la Grande Inter.
E l'impatto di Taccola con la Serie A è devastante, visto che segna subito all'esordio a San Siro, il 24 settembre 1967, dopo 9 minuti, contro la Grande Inter, pareggiando la rete iniziale di Facchetti. Si ripete alla 3ª giornata a Ferrara contro la SPAL, con un suo goal che decide la partita in favore dei giallorossi, che volano al comando della classifica. È sempre suo il sigillo che vale l'1-1 contro l'Atalanta alla 6ª giornata.
WikipediaLa Roma resta in testa fino alla 9ª giornata, ma sarà un fuoco di paglia, con la squadra che lentamente scivola in posizioni di centro classifica. Non si ferma invece Taccola, che in un torneo a 16 squadre realizza altri 7 goal, portando a 10 il numero complessivo: arriva la prima doppietta in Serie A contro il Brescia, poi ancora i goal con Sampdoria, Cagliari (importante 2-1 per i giallorossi all'Amsicora) e ancora Mantova, Milan e Torino. Tranne il centro contro i granata, tutti gli altri portano punti pesanti alla formazione capitolina, che chiude la stagione in 10ª posizione.
Sempre in quella stagione Taccola realizza anche un goal in Coppa dell'Europa Centrale e 4 nella Coppa delle Alpi, per un bottino complessivo di 15. La Roma parte nel 1968/69 con rinnovate ambizioni. Non da Scudetto, ma sicuramente da zona europea, visto che in panchina arriva 'Il Mago' Helenio Herrera, fra gli artefici della Grande Inter.
Il tecnico argentino introduce nuovi metodi di allenamento a Trigoria, e punta tantissimo sulla cura della preparazione atletica e dell'aspetto motivazionale. In attacco schiera l'ex nerazzurro Peirò in coppia con Taccola, alle loro spalle Salvori, Cordova e D'Amato, e Fabio Capello in cabina di regia a illuminare il gioco. L'attaccante toscano parte a mille, anche meglio del primo anno. Segna ancora una volta alla 1ª giornata il provvisorio vantaggio della Roma sulla Fiorentina, che poi rimonta e a fine anno vincerà lo Scudetto. Si ripete nella sua Pisa la settimana successiva, impattando il goal iniziale dei nerazzurri toscani.
Seguono 4 partite di digiuno, poi torna a segnare a raffica: firma la rete della bandiera nella batosta interna per 1-4 contro il Cagliari di Riva, poi salta la gara di Verona e segna a raffica nelle partite successive: va in rete consecutivamente contro Bologna e Vicenza (doppia vittoria per la Roma) e ancora con il Milan (pareggio all'Olimpico) e Varese (sconfitta all'Ossola) poco prima di Natale, il 22 dicembre 1968.
In tutto fanno 7 centri in 11 gare, che valgono a Taccola il 2° posto nella classifica cannonieri dietro il grande Gigi Riva, che è già a quota 12. In classifica la squadra di Herrera è a metà gruppo, anche se a soli 3 punti dal 4° posto.
Il centravanti pisano, che aveva assaporato l'azzurro da militare, sembra veramente ad un passo dalla Nazionale maggiore, e inizia a guadagnare somme importanti grazie ai premi messi in palio dalla società. Un dettaglio non da poco per il classe 1943, che si era sposato giovane e aveva già due figli. Non poteva sapere, Giuliano, che quella contro il Varese sarebbe stata l'ultima rete della sua vita.

LA TRAGEDIA: DALLA TONSILLITE ALLA MORTE NEGLI SPOGLIATOI
C'era qualcosa che insospettiva l'attaccante: delle improvvise febbri, che lo colpivano ormai da alcuni mesi, e gli causavano malessere e astenia e allungavano i tempi di recupero dopo uno sforzo. Approfittando di qualche giorno di riposo, durante le vacanze di Natale, Giuliano si sottopone a un controllo specialistico, e il medico sociale della Roma, professor Massimo Visalli, gli riscontra un'anomalia cardiaca, forse congenita, e la comunica ad Herrera.
Il tecnico giallorosso va su tutte le furie: pensa ad un errore, e sbotta: "I dottori non capiscono niente! Taccola è un atleta. Loro non sanno nulla del cuore di un atleta".
L'onorevole Roberto Moressut, che ha studiato il caso ed è l'autore del libro 'Numero 9. Giuliano Taccola: la punta spezzata', pubblicato nel 2016, spiegherà:
"Da giovane Taccola aveva contratto una brucellosi, un'infezione batterica che aveva lasciato una disfunzione sul suo cuore, provocando un soffio sistolico. Fu accertata al Genoa, nel corso di alcune visite a Coverciano. Emerse che quella disfunzione gli provocava delle difficoltà nei recuperi dopo uno sforzo, e ai liguri dalla Federazione furono chiesti ulteriori accertamenti. Ma questi non saranno mai fatti. Arrivato alla Roma, anche qui lo staff medico chiede accertamenti ma il Genoa aveva buttato le cartelle cliniche e il soffio sistolico è considerato fisiologico".
In molti, di fronte al malessere del giocatore, pensano ad una banale influenza che gli causa febbre. Così Herrera lo convoca regolarmente per la ripresa degli allenamenti e alla tournée che la Lupa gioca in Spagna fra fine dicembre 1968 e i primi di gennaio del nuovo anno. E la situazione precipita: al rientro, infatti, Taccola sta molto male.
"Giuliano tornò in Italia ammalato. - racconterà sua moglie a 'L'Unità' - Aveva la febbre alta. Fu visitato a gennaio da due otorinolaringoiatri. Entrambi dissero che aveva una brutta tonsillite e doveva operarsi. Del primo non ricordo il nome, il secondo fu quello che poi lo opererà, il professor Filipo".
L'attaccante deve quindi fermarsi e salta tutte le partite di gennaio. Il 5 febbraio 1969 è operato per l'asportazione delle tonsille a Villa Bianca. Ed è proprio durante l'intervento che emergono inquietanti anomalie. La tonsillectomia è infatti già negli anni Sessanta considerato un intervento di routine, ma qualcosa va storto: il calciatore ha numerose emorragie, come se i suoi vasi sanguigni non funzionassero al meglio.
L'operazione comunque riesce ma Taccola ha perso molto sangue.
"Quando fu dimesso gli venne prescritto un mese di assoluto riposo - racconterà sua moglie a 'L'Unità' - e il professor Filipo gli disse che la stagione era da considerarsi finita. Il recupero si annunciava lento, invece già il giorno dopo l’uscita dalla clinica, la Roma lo volle in campo. Si allenava e la sera arrivava, puntuale, la febbre".
Herrera ha bisogno di lui e vuole che torni il prima possibile in campo. Complice la regola imposta dal 'Mago', "Niente partita, niente dinero", che prevede che "chi gioca prende i premi, chi non gioca non prende niente", forse anche Giuliano, inizialmente, sottovaluta il problema.
"Dopo 15-20 giorni dall'operazione - dice alla 'Rai' Giacomo Losi - Taccola riprese ad allenarsi, invece mi sembra che sarebbe dovuto restare a riposo almeno 2 mesi. Forzarono la mano perché Giuliano serviva alla squadra, ma così facendo lui ricadeva in queste piccole crisi".
"Era cinque chili sotto il peso abituale, debilitato dagli antibiotici. - ricorda la moglie - Non si reggeva in piedi. Alla visita di controllo il professor Filipo si arrabbiò, disse che doveva fermarsi, prescrisse anche le lastre ai polmoni, ma quando Giuliano si presentò davanti al medico della Roma, questi strappò i certificati e disse 'adesso sono io che decido' ".
L'attaccante toscano riprende ufficialmente gli allenamenti il 24 febbraio 1969 e due giorni dopo e imprudentemente mandato in campo con la De Martino (la Primavera dell'epoca, ndr) in Roma-Palermo, perché Herrera lo vuole presto in Prima squadra. La partita finisce 4-1 per i giallorossi ma Giuliano, che gioca un tempo, è un lontano parente del giocatore che era stato solo qualche mese prima. Debole e fiacco, sviene addirittura in campo.
"Può darsi che il suo rientro in Prima squadra venga rinviato", scrive il giorno seguente 'L'Unità'.
Gli eventi da quel momento in poi si susseguono come in una spirale che lo condurrà alla morte.
" La tonsillite fu curata con antibiotici ma non andava via, - spiega Moressut - lui manteneva stati depressivi, era stanco, giocava ma aveva delle astenie inspiegabili. Però continuò a giocare con uno stato di salute incerto. Le critiche piovvero su Herrera ma probabilmente nemmeno lui aveva un quadro chiaro della situazione. Giocò prima del recupero: perché volle lui o perché il tecnico argentino volle forzare i tempi?".

Il 2 marzo 1969, nemmeno un mese dopo l'asportazione delle tonsille, Herrera lo schiera in campo per un'ora nello 0-0 di Genova con la Sampdoria: per Taccola, che esce al 61' sostituito da Salvori per un infortunio al malleolo, sarà l'ultima partita.
"La febbre non gli dava tregua. - ricorda sua moglie - Il 7 marzo lo portarono in ritiro. La sera si sentì male e dopo mezzanotte scappò dall’albergo. Cercarono di fermarlo, gli dissero 'Guarda che se te ne vai perdi tutti i premi partita', lui rispose che pensava alla salute. Chiamò un taxi e quando rientrò a casa aveva la febbre a 39...".
"Ormai la situazione stava precipitando, - prosegue Marzia - Giuliano aveva cominciato anche a sputare sangue dalla bocca. Il giorno dopo la fuga dal ritiro alle 9 del mattino si presentò a casa il medico della Roma insieme a un’infermiera. Voleva fare un’iniezione 'prodigiosa', ma Giuliano rifiutò. Martedì 11 marzo ricominciò ad allenarsi. Giovedì 13 marzo fu convocato per la partita di Cagliari. Non voleva andare, ma partì ugualmente. La sera di venerdì mi telefonò. Si sentiva a pezzi, ma Helenio Herrera voleva che giocasse almeno un tempo per poi utilizzarlo il mercoledì successivo a Brescia in Coppa Italia".
Nell'albergo che ospita la squadra, a Cagliari, Taccola è in camera con Ciccio Cordova, che, squalificato, non deve scendere in campo all'Amsicora.
"La mattina di domenica, alle 9, ci viene a svegliare il massaggiatore. - racconta l'ex giocatore giallorosso ai microfoni della 'Rai' - E ci fa: 'Herrera vi vuole sotto, c'è allenamento'. Giuliano inizia a dire: 'Io Ciccio non ce la faccio, mi sento uno schifo. Mi sa che non vengo, poi c'è un vento...'. Alla fine lo convinco e scendiamo ad allenarci con gli altri".
La rifinitura si tiene al Poetto e anche il tecnico argentino si rende conto che le condizioni di Taccola non gli permettono di essere in campo il giorno seguente.
"Gli allenamenti di Herrera erano molto pesanti, - sottolinea Cordova - e Giuliano era molto debole. Ha partecipato comunque alla rifinitura, poi siamo tornati in albergo e l'ho convinto almeno a venire a vedere la partita dalla tribuna dell'Amsicora".
"Sabato notte si sentì male, - riferisce la moglie Marzia - ma il medico della Roma non ritenne necessario il ricovero in ospedale. La domenica mattina fece un allenamento leggero in riva al mare. Sotto la doccia svenne. A quel punto decisero che non era il caso che giocasse".
In campo la Roma disputa una buona partita, imponendo lo 0-0 al Cagliari che in quella stagione chiuderà al 2° posto finale. A fine gara Cordova e Taccola, cui vengono somministrate due aspirine, raggiungono i compagni negli spogliatoi.
Inizialmente Giuliano scherza con i compagni, poi beve un bicchiere di aranciata e si accascia, privo di sensi.
"Io mi ero fermato fuori dallo spogliatoio perché mi aveva fermato la stampa, - ricorda Cordova - quando all'improvviso sento provenire dall'interno molte urla. La porta si apre ed esce Sirena correndo come un pazzo: 'Giuliano sta male'. Entro dentro e vedo che Ginulfi ed altri compagni stanno provando a praticargli la respirazione bocca a bocca".
Sono momenti concitati e tragici. All'Amsicora non c'è l'ossigeno e il dottor Visallo corre dal suo collega rossoblù, Augusto Frongia.
"La partita era finita da pochi minuti - testimonierà quest'ultimo a 'La Stampa' - Il dottor Visallo, medico della Roma, irruppe nel nostro spogliatoio in preda ad un'agitazione incontrollabile. 'Aiutami - mi implorò - Mi serve un flacone di Penicillina. Presto!'. Rimasi perplesso: Penicillina? Gli consegnai un prodotto che uso sempre, che si chiama Neopenil-S, informandolo che conteneva un milione di unità di Penicillina, e mezzo grammo di Streptomicina".
Frongia gli passa gli antibiotici, chiama un'ambulanza (quella di istanza allo stadio era già andata via) e poi va a controllare di persona le condizioni di Taccola . Prima del suo arrivo nell'infermeria la Roma, "credo il massaggiatore Minaccioni", dirà Losi nel 2005, gli aveva fatto un'iniezione (di penicillina?).
"Lo avevano sdraiato sul lettino. Appena gli hanno infilato l'ago e iniettato il liquido, - riferirà 'Er Core de Roma', che riporterà le testimonianze dei suoi compagni di squadra, non essendo presente il giorno all'Amsicora - Giuliano ha fatto alcuni sobbalzi e non si è più mosso. A quel punto l'hanno lasciato lì. 'Ormai non possiamo fare più niente, noi andiamo via, ci sono dei giovani', disse Herrera ai medici".
"Il medico della Roma tornò da me, - ricorda il dottor Frongia - chiedendomi una fiala di Coramina. Capii che la situazione stava aggravandosi e, pur non conoscendo né il nome del giocatore ammalato, né l’entità del male, offrii al collega il mio aiuto".
Il medico del Cagliari gli pratica così a sua volta una doppia iniezione di coramina e corteccia surrenale (fonte Panini) per cercare di risvegliarlo, pur avendo avuto la percezione, da un rantolo, che il centravanti fosse già spirato.
"Gli sollevai una palpebra - ricordò anni dopo il medico - osservai l'occhio spento. Era morto".
WikipediaTaccola moriva così su quel lettino dell'infermeria dell'Amsicora. Adagiato poi sull'ambulanza, arrivata dopo diverso tempo a causa del traffico cittadino, quando il mezzo giunge all' Ospedale civile San Giovanni di Dio, il medico di guardia non può far altro che constatare il decesso di Giuliano. Sono le 17.55, l'attaccante ha soltanto 25 anni e lascia la giovane moglie e due figli piccoli. La tragedia è compiuta.
"Gli fecero tre iniezioni, - dirà la moglie Marzia - poi chiusero gli spogliatoi e cercarono di ripulire lo spogliatoio. Ci fu il tentativo disperato di salvarlo anche da parte di un giornalista e di un professore ISEF che stavano negli spogliatoi. Gli fecero la respirazione bocca a bocca. Queste persone non sono mai state interrogate. Anche questo è un altro mistero da chiarire".
Il dottor Gasperini comunica la notizia al presidente Marchini, pregandolo a sua volta di avvertire la moglie del giocatore, A Cagliari intanto, la Roma aveva frettolosamente abbandonato lo stadio Amsicora per prendere l'aereo per il ritorno in sede: si sarebbe subito recata in ritiro a Fregene, in vista di una partita di Coppa Italia a Brescia, in programma il mercoledì successivo.
Andrea Arrica, vicepresidente del Cagliari, chiama d'urgenza in aeroporto per informare il dirigente accompagnatore della Roma ed Helenio Herrero che Taccola è morto.
"A Herrera tocca avvertire la squadra che Giuliano è morto. - dirà Cordova alla 'Rai' - Così raduna tutto il gruppo in una sala dell'aeroporto di Cagliari e ci dice: 'Ragazzi, la vita continua. Purtroppo Taccola è morto e noi dobbiamo pensare alla Coppa Italia. Dobbiamo tornare a Roma e andare in ritiro".
Cordova, D'Amato e Sirena si ribellano al diktat di fronte alla perdita del loro compagno di squadra:
"La Coppa Italia la giochi lei", gli dicono.
Per poco non gli saltano addosso. Così non partono e vanno all'Ospedale Civile assieme al Direttore sportivo Vincenzo Biancone. Nella stanza dell'ospedale dove riposa la salma di Taccola trovano tutti i giocatori del Cagliari, Gigi Riva in testa, Andrea Arrica e i dirigenti isolani Delogu e Bellu, e tutti insieme si stringono attorno a Giuliano.
Successivamente da Roma, per telefono, Marchini ordina a Herrera di lasciarei liberi i giocatori per riconvocarIi il mattino dopo. Herrera tenta invano di opporsi. Giunto a Roma, ai giornalisti che lo interrogano sull'accaduto risponde:
"Taccola? Lo stavamo aspettando per fare un gran finale di stagione, era un bravissimo ragazzo. Facciamo le nostre condoglianze alla signora e ai suoi due bambini, che abbiamo conosciuto il giorno in cui si è operato. E non sappiamo che cosa dire".
La moglie di Giuliano, Marzia raggiunge la Sardegna e corre a dare l'ultimo abbraccio al marito. 'Il Messaggero' annota le parole strazianti pronunciate dalla giovane donna nel momento in cui si ritrova di fronte la salma esanime del marito e lo stringe a sé.
"Dimmi che stai dormendo, svegliati. Dimmi che non è vero che sei morto. Vedi, sono io, Marzia, sono arrivata. Ora si aggiusta tutto e torniamo a casa, dai bambini, che ti aspettano".
I funerali sono celebrati a Roma nella Basilica di San Paolo fuori le mura in presenza di oltre 50 mila persone, venute per dedicare al calciatore il proprio saluto, e la sua salma è stata sepolta nel cimitero di Uliveto Terme, il suo paese d'origine.
Getty ImagesI TANTI DUBBI E LA BATTAGLIA DELLA FAMIGLIA
L’autopsia che viene effettuata sul corpo dello sfortunato Giuliano, predisposta dal dottor Enrico Altieri, sostituto procuratore della Repubblica, dopo il riconoscimento, presso l'Istituto di Medicina legale di Cagliari, non riesce a stabilire con esattezza quali siano state le cause che hanno determinato la crisi che lo ha condotto alla morte, e parla semplicemente di "insufficienza cardiorespiratoria acuta".
"Il decesso era dovuto ad un endocardite che aveva colpito il cuore e che si accompagnava ad una broncopolmonite emorragica piuttosto violenta con una sepsi, un'infezione, diffusa in tutto il corpo. - ha spiegato di recente l'onerevole Roberto Moressut - Il cuore di Taccola era già da settimane sotto pressione. C'era un problema di ossigenazione e un'infezione polmonare che si diffuse in tutto il corpo e che non fu identificata. La sua fu anche una malattia subdola. Si verificò una somma di eventi sfortunati, di forzature atletiche che portarono questo giovanissimo ragazzo ad un crollo fisico".
Altieri e i suoi collaboratori interrogano il medico Visalli e i presenti all'ospedale. La cartella clinica di Taccola è posta sotto sequestro dalla Procura del capoluogo sardo, competente per territorio, e viene aperta un'inchiesta.
"Dopo la tragedia - racconterà Frongia, il medico del Cagliari - Visalli scoppiò in un pianto disperato e di lì a breve chiuse col calcio. Era un uomo distrutto e in assoluta buona fede".
Si sospetta che la morte del centravanti sia dovuta ad un abuso di antibiotici. Il reato ipotizzato è omicidio, da capire se colposo, preterintenzionale o volontario. Ma nel gennaio del 1971, dopo il trasferimento a Pisa del Pm che se ne sta occupando, l'inchiesta si chiude con un'archiviazione. Prevale la tesi di una tragedia non evitabile, non emerge un colpevole né una verità certa.
Presto il dramma piomba sulla famiglia dell'ex calciatore, la giovane moglie Marzia, rimasta vedova, e i due figli, entrambi in tenera età. Una famiglia che all'improvviso si ritrova sola, costretta a vivere in condizioni di estrema povertà. Marzia chiede un lavoro per poter dare ai figli suoi e di Taccola una vita dignitoso.
"Dopo la morte, Giuliano è stato ucciso una seconda volta con tutte le menzogne che sono state dette e scritte e con tutte le promesse non mantenute nei confronti della sua famiglia. - dirà la vedova - Per vivere abbiamo raccolto gli avanzi anche nei cassonetti della spazzatura".
Nei loro confronti si susseguono soltanto tante belle parole che cadono nel vuoto. Improvvisamente Giuliano, il centravanti che la Roma considerava indispensabile, diventa una presenza scomoda, da dimenticare in fretta.
"Tutti ci fecero promesse. - ricorderà Marzia - I dirigenti della Roma di allora. La Federcalcio. Nel 1979 il presidente romanista Viola giurò davanti a una fotografia di mio marito che mi avrebbe trovato un posto nella filiale del Banco di Roma di Pisa. Nel 1994 Sensi promise durante il 'Processo di Biscardi' che mi avrebbe aiutato. Intervenne Maurizio Mosca e disse che avrebbe dovuto trovarmi un lavoro e lui, testuale, rispose che quello che avrebbe fatto sarebbe stato molto più di un lavoro. In tanti anni solo promesse e neppure uno straccio di lavoro".
Marzia scrive anche a due presidenti della Repubblica, Scalfaro e Ciampi, chiedendo che il caso possa essere riaperto e ci sia giustizia per Giuliano, ma senza risultati. Soltanto nel 1995 la famiglia di Taccola ha accesso alla sua cartella clinica, nel 2001 agli atti processuali, e Marzia presenta denuncia per omicidio colposo. L’inchiesta è tuttavia archiviata per prescrizione.
Negli anni Duemila, quando sono portati alla ribalta diversi casi di calciatori degli anni Sessanta morti prematuramente in circostanze misteriose (Tagnin, Beatrice, Bicicli, Miniussi) qualcuno ipotizza che il doping centri anche con la morte di Taccola, tanto più che Helenio Herrera era solito dare ai suoi calciatori delle pastiglie.
"Herrera aveva un rapporto conflittuale con i dottori, perché riteneva di poter gestire direttamente la profilassi dei calciatori quando stavano male, e questo generava confusione ed equivoci. - racconterà Moressut - Ma sulle pasticche che dava si è molto favoleggiato. Probabilmente però erano solo pasticche 'motivazionali', una sorta di placebo contenente zucchero e aspirina che convincevano i giocatori che avrebbero corso più forte. Losi mi ha detto di non aver mai avuto prova che fossero pasticche dopanti, ma lui, a scanso di equivoci, le buttava e chiedeva ai compagni di buttarle".
Carlo Petrini, compagno di squadra di Taccola al Genoa nel 1966/67, racconta di iniezioni che venivano fatte ai calciatori per recuperare dalla fatica e rendere di più.
"[...] Qualcuno in società preparava le punture 'rigeneranti'. Erano iniezioni di non so quali sostanze associate; il liquido prevalente, all’interno della siringa, era rosso acceso. Noi accettavamo le siringate durante la settimana e prima d’ogni partita. È per il bene del Genoa. Ricordo che nel ritiro di Ronco Scrivia le dosi aumentarono, ci iniettavano queste sostanze una volta al giorno. Ricordo Giuliano Taccola, bianco come un cencio e poi paonazzo al termine d’una partita di quel tormentato campionato. Era adagiato sul lettino dello spogliatoio e, tutt’intorno, noi compagni avevamo paura. Respirava a fatica. Giuliano, passato alla Roma, morì circa due anni dopo. Noi eravamo paurosamente bombati: al confronto, creatina e ormoni della crescita diventano caramelle".
Ma l'ex medico rossoblù, Augusto Frongia minimizzerà e focalizzerà l'attenzione sull'accelerazione del recupero dopo l'intervento alle tonsille.
"Il problema non furono le cure fatte, ma quelle non fatte. - dirà - Anch'io ho sentito dire che forse lo dopavano per farlo giocare. Anche se così fosse non ci sarebbe un nesso con la sua morte. Posso confermare che la mattina della partita Herrera portò anche Taccola sulla spiaggia del Poetto per la rifinitura prepartita. Era una giornata fredda, tirava un maestrale che portava via. A fine allenamento il Mago si rese conto che il calciatore non ce la faceva più e accettò di mandarlo in tribuna. Secondo testimonianze affidabili, il ragazzo avrebbe seguito tutta la partita tremando come una foglia. Continuava a ripetere: 'Non mi credono, ma io sto morendo. Sto morendo e non mi credono' ".
Nel 2018 la Roma, dopo decenni di inspiegabile silenzio, inserisce Giuliano Taccola nella sua Hall of Fame. Un anno più tardi, impegnata contro la SPAL nel 50° anniversario della tragedia, scende in campo al Mazza di Ferrara con una maglia speciale per commemorare il suo ex centravanti.
Per quanto riguarda le ipotesi sulla morte, invece, negli ultimi mesi è stata teorizzata una nuova possibilità, sostenuta dalla vedova Taccola, che oggi si mantiene con una pensione sociale, e ufficializzata con una nota inviata agli organi di stampa alla vigilia del 52° anniversario della morte di Giuliano.
"Mio marito è morto per una broncopolmonite esistente da oltre 15 giorni e non curata, e per un'iniezione effettuata dal medico sociale giallorosso: non era antibiotico come era stato garantito a mio marito, ma una sostanza che avrebbe eliminato la stanchezza e la febbre".
Secondo la donna: "Giuliano non è stato volutamente salvato e nel fascicolo del tribunale di Cagliari che ha archiviato l'indagine risultano documenti falsi di esami e di elettrocardiogramma non appartenenti a Giuliano, senza esami tossicologici effettuati dopo il decesso".
La vedova ha parole molto dure anche verso la Roma.
"Nel 2013 è stata intitolata una via a mio marito, presso Trigoria e io ne sono venuta a conoscenza tramite Internet, perché né il Comune di Roma e né la società mi hanno avvisato. Nel 2018 Giuliano è stato inserito nella Hall of fame giallorossa. Solo dopo 50 anni dalla sua morte la società si è ricordata di lui. Mio marito è morto sotto contratto e sul luogo di lavoro: il regolamento federale impone per legge il vitalizio mensile, ma a noi ci risulta che la Roma dal 1969 ha inserito nelle voci di bilancio, usufruendo di benefici fiscali per 52 anni come risulta in Lega Calcio".
"Si onora la memoria di Giuliano rispettando la sua famiglia non distruggendola con pregiudizi, discriminazioni e umiliazioni. - conclude Marzia nel comunicato di marzo 2021 - I miei figli oltre al padre sono stati privati di un'infanzia e di un futuro dignitoso, ma non chiedo elemosine, voglio solo verità, giustizia e diritti acquisiti".
Dopo oltre 50 anni dai tragici fatti dell'Amsicora, alcuni aspetti e le cause reali del decesso di Taccola restano a tutt'oggi non accertati.
"Non c’è dubbio che, alla luce dei tanti errori fatti, la famiglia Taccola abbia subito un’ingiustizia. - ammette a 'Il Posticipo' l'onorevole Moressut, che ha scritto la biografia del calciatore - Sull'inchiesta credo, alla luce degli atti, che non ci fosse possibilità di un esito diverso dall'archiviazione. Si può dire però che, nei passaggi di carte sulla certificazione medica, ci furono enormi trascuratezze".
"Già nel 1966, quando Taccola militava nel Genoa, c’erano certificati che testimoniano come già allora la patologia cardiaca del calciatore fosse complessa. Quando la polizia giudiziaria andò dal Genoa a cercare le cartelle cliniche del giocatore, dissero che era andato tutto al macero. Poi nel febbraio 1969 fu operato alle tonsille per una grave infezione e avrebbe dovuto restare lontano dai campi di calcio per un mese e fare una serie di analisi: invece tornò ad allenarsi dopo due settimane e giocò sotto la pioggia".
"Il suo rientro fu anticipato in modo sbagliato senza fare alcune analisi che erano state prescritte. Nello staff medico della Roma c’era un gran caos organizzativo. Taccola poteva essere salvato, ma in questa situazione è difficile identificare un responsabile della sua morte".
"Se ci fossero stati controlli più attenti, come quelli introdotti negli anni successivi, la morte si sarebbe potuta evitare. All’epoca, per quanto riguarda l’idoneità sportiva, c’era una legge del 1950 che quasi nessuno rispettava e che prevedeva, se i controlli non venivano fatti a Coverciano, soltanto una multa di 50 mila lire. Se ci fosse stata più oculatezza ritengo che Taccola avrebbe smesso di giocare, avrebbe fatto altro, ma sarebbe sopravvissuto".
Il suo ricordo vive nell'affetto dei suoi cari e dei tifosi. A Giuliano sono stati intitolati lo Stadio di Uliveto Terme e un club di supporters del Genoa a Nervi, oltre ad una strada vicino a Trigoria, a Roma.
