Ci sono dei giocatori, nella storia della Serie A, che soltanto a pronunciarne il nome vengono per riflesso associati ad una maglia.Fra questi c'è sicuramente Giuseppe Giannini, che, prima ancora di Francesco Totti, è stato indiscutibilmente un simbolo dellaRoma. Regista di centrocampo dalla tecnica sopraffina e dalle geometrie eleganti e raffinate, tanto da guadagnarsi l'appellativo di 'Principe', coniato per lui dal suo compagno di squadra Odoacre Chierico. Debutta nel 1982, vincendo poi da giovanissimo, senza alcuna presenza, lo Scudetto del 1982/83.
Nel 1983 si aggiudica con la Primavera il Torneo di Viareggio, cui fa seguito nel 1983/84 il titolo di campione d'Italia della categoria. Dal 1984/85 entra in pianta stabile in Prima squadra, raccogliendo l'eredità di Falcao, indossa il numero 10 e segna un gran goal alla Juventus. Con le sue giocate e i suoi goal diventa un beniamino dei tifosi giallorossi. Lui, romano di Roma, che sente come una seconda pelle quella maglia, si guadagna anche la fascia da capitano.
Il 1987/88 lo vede addirittura al 3° posto nella classifica marcatori della Serie A con 11 goal totali. L'Avvocato Agnelli lo vorrebbe portare a Torino e incarica Boniperti di offrire al presidente Dino Viola un cospicuo assegno, ma Giannini non se la sente e dice di no.
"Per me Boniperti offrì 21 miliardi di vecchie lire al presidente Dino Viola per portarmi alla Juventus - rivela l'ex numero 10 giallorosso ad 'Avvenire' nel 2016 - Tornassi indietro? Rifarei la stessa scelta d’amore verso la Roma".
Le prestazioni di altissimo livello con la squadra giallorossa gli permettono di conquistare presto un posto da titolare con la Nazionale azzurra di Azeglio Vicini, che lo vuole con sé dopo averlo avuto anche in Under 21.
'Il Principe' di Roma è uno dei leader dell'Italia semifinalista ad Euro '88 e ai Mondiali di Italia '90, ma le soddisfazioni più grandi se le toglie in giallorosso: nel suo palmarès trovano spazio 3 Coppe Italia (1983/84, 1985/86 e l'ultima nel 1990/91) e una finale di Coppa UEFA persa nel 1991 contro l'Inter di Trapattoni. Nel 1992/93 segna una tripletta in finale di Coppa Italia contro il Torino, diventando l'unico giocatore a riuscirci con Domenghini, ma la sua impresa non è sufficiente per alzare la quarta Coppa.
La stagione seguente, particolarmente travagliata, lo vede segnare un gran goal, particolarmente importante, a Foggia il 20 marzo 1994. Un esterno sinistro di grande potenza, che scheggia il palo e termina in fondo alla rete, scatenando un'esultanza sfrenata da parte del capitano di tante battaglie. La Roma di Mazzone vince e si toglie da una situazione difficile di classifica. Indimenticabili anche i suoi due goal realizzati nei Derby capitolini con la Lazio, il più bello di testa al Flaminio nel 1989/90, a pareggiare una stracittadina che stava per essere molto amara per la Roma.
Poi però, sempre contro la Lazio, sbaglia anche un rigore pesante il 6 marzo 1994 concesso in pieno recupero per fallo di Negro su Totti. Giannini va su quel pallone pesantissimo, con i biancocelesti avanti 1-0, e si prende la responsabilità di calciare, ma Marchegiani si supera e respinge. Da vero capitano, il numero 10 ha comunque il coraggio di presentarsi in sala stampa.
"Ero il rigorista e sono andato sul pallone. Nessuna responsabilità ai miei compagni o all'allenatore".
Anche per questo i tifosi lo perdoneranno quasi subito e gli dedicano uno striscione.
"Il tuo coraggio di tirarlo, il tuo dolore di sbagliarlo, il nostro amore per dimenticarlo".
Mentre il tecnico Carlo Mazzone la butta sull'ironia:
"Mi ha preso alla lettera, Giannini - dichiara Sor Carletto - Gliel'ho spiegato dopo la partita: 'Guarda che scherzavo quando la settimana scorsa dicevo di non dare più rigori alla Roma perché tanto li avremmo sbagliati apposta' ".
Non così il nuovo patron giallorosso Franco Sensi, che nei suoi confronti non nutre particolare simpatia.
"Se uno ha un rigore e lo sbaglia, non è degno di stare in questa squadra", afferma a caldo.
È l'inizio di una frattura con la società che non si rimarginerà mai e andrà sempre ampliandosi, nonostante Giannini perdoni poi lo stesso presidente.
"All'epoca quella frase mi fece molto male - ammette in un'intervista ad 'Avvenire' del 2016 - ma poi ho capito che quella era una frase detta a caldo quando un presidente esterna l’amarezza del primo tifoso. Ci siamo parlati tempo dopo, e comunque io non serbo rancore per nessuno, figurarsi per uno come Franco Sensi che ha fatto le fortune della Roma".
Fatto sta che da quel momento le presenze in campo di Giannini si riducono, anche perché il calcio si trasforma, diventando sempre più fisico e muscolare, e la freschezza atletica del 'Principe' di Roma non può essere più quella dei tempi migliori, nonostante le geometrie e la classe restino immutate.
Getty ImagesNel 1994/95 segna di testa, contro la Reggiana, l'ultimo suo goal in Serie A con la maglia giallorossa, mentre il 1995/96, la 15ª stagione con una maglia che è diventata una seconda pelle, sarà anche l'ultima per lui, mentre Roma si apprestava a veder sbocciare il suo nuovo re calcistico, Francesco Totti, che già giocava in Prima squadra.
Il momento più bello, ma illusorio, il 'Principe' quell'anno lo vive in Europa. Si gioca all'Olimpico il ritorno dei quarti di finale di Coppa UEFA contro lo Sparta Praga. Giannini, davanti ai suoi tifosi, sfodera una prestazione sontuosa e a 7' dalla fine, su cross di Desideri, con un colpo di testa trova il 2-0 che potrebbe regalare ai giallorossi l'approdo in semifinale. Giannini esulta togliendosi la maglia e correndo come impazzito sotto la Sud. Nei supplementari Moriero, imbeccato da Totti, trova il 3-0.
La semifinale è a un passo ma Vavra, su rinvio lungo del proprio portiere, rovina tutto, segnando il 3-1 che trasforma in un incubo la favola del 'Principe' di Roma ed estromette la squadra di Mazzone dal torneo. Il numero 10 l'indomani annuncia:
"L'ambiente è troppo cambiato. Me ne vado".
A Giannini resta però un obiettivo: salutare come si deve i suoi tifosi all'Olimpico nell'ultima gara interna contro l'Inter. Ma il destino decide che non sarà così. Nel penultimo turno di campionato 'Peppe' trascina la Roma alla travolgente vittoria esterna per 4-1 al Franchi contro la Fiorentina, ipotecando di fatto la qualificazione alla successiva Coppa UEFA per i giallorossi, ma è diffidato e l'ammonizione 'crudele' che gli commina l'arbitro, il signor Pellegrino di Barcellona Pozzo di Gotto, gli preclude la possibilità di coronare il suo sogno.
Quella giocata con i viola, che lo vide protagonista assoluto in campo il 5 maggio 1996, è così l'ultima delle 437 presenze, condite da 75 goal, di Giannini con la Roma. Dopo il fischio finale 'Il Principe' va sotto la curva ospite per rendere l'ultimo saluto ai tifosi di una vita. Piange, si spoglia di tutto per lasciare un ricordo a chi era venuto al Franchi a sostenere la squadra. Il 12 maggio i giallorossi scendono in campo senza il vecchio capitano contro l'Inter. È Totti a prendere il suo posto il campo, quasi come in un simbolico passaggio di consegne. Sugli spalti dell'Olimpico uno striscione rende omaggio al vecchio guerriero:
"Solo chi la ama e chi soffre per la maglia ha il diritto di onorarla... per sempre. Grazie Capitano".
Getty Images'Il Principe' capisce di non essere più amato dalla Principessa e decide così di separarsi, pur restandone per sua ammissione tremendamente innamorato. Firma un biennale con gli austriaci dello Sturm Graz, e il giorno della presentazione indossa la maglia bianconera del club austriaco ma porta al collo una sciarpa giallorossa.
Gli austriaci gli offrono un miliardo di lire l'anno, una lussuosa villa e una decina di viaggi aerei pagati per l'Italia e il presidente Kartnig gli offre anche la possibilità di diventare attore e modello. Riesce a lasciare il segno, vincendo Coppa d'Austria e Supercoppa d'Austria, ma dopo una sola stagione rientra in Italia, non riuscendo a mantenere fede alla sua promessa:
"Chiudo con la Roma, ma non andrò in un'altra squadra italiana".
Carlo Mazzone lo vuole infatti con sé al Napoli, ma i risultati della squadra sono deludenti, e dopo pochi mesi, quando il tecnico romano è esonerato, Giannini decide di seguirlo e lasciare la squadra, che a fine anno retrocede in Serie B.
"Rescissione consensuale del contratto, motivata dall’espressa e irrevocabile volontà del giocatore di concludere il rapporto", recita il comunicato ufficiale del club partenopeo.
"Fui convinto ad accettare la piazza partenopea da Mazzone - spiegherà 'Il Principe' anni dopo - ma appena il tecnico concluse il suo percorso in azzurro, decisi di seguirlo visto il legame che c’era con lui e non per un fattore ambientale visto che i tifosi mi hanno sempre fatto sentire il loro calore. Inoltre Ferlaino credeva che fossi un calciatore finito, poi è arrivato Galeone che portò Allegri".
Giannini si sente ancora calciatore e prima di appendere definitivamente gli scarpini al chiodo decide di accettare l'offerta del Lecce. Con la squadra salentina, che ha i colori della sua Roma, dopo la retrocessione nel primo anno, si toglie le ultime soddisfazioni da calciatore, e con 33 presenze e 4 reti in Serie B dà un contributo fondamentale alla squadra per risalire nella massima Serie.
Prima di affrontare la carriera da allenatore, il 17 maggio del 2000 Giannini organizza la sua partita di addio al calcio. Dovrebbe essere una serata di festa, in campo ci sono da una parte le vecchie glorie giallorosse, riunite nella Roma amarcord, che schiera fra gli altri Tancredi, Prohaska, Voeller, Righetti, Maldera e Bruno Conti, dall'altra l'Italia del 1990, con, fra gli altri, Franco Baresi, Bergomi, Schillaci e Vierchowod.
L'evento si svolge senza la partecipazione della società giallorossa, fatto che non può non dispiacere al giocatore romano. Ma il peggio accade nel corso della ripresa, dopo l'1-1 della prima frazione deciso dai goal di Voeller per le Vecchie Glorie della Roma e di Carnevale per la Nazionale del '90. Giannini veste la maglia azzurra nella prima frazione e inizia la ripresa con addosso quella giallorossa, che non può essere l'originale, ma una realizzata ad hoc per la partita.
Gli ultras, però, inferociti per lo Scudetto appena vinto dalla Lazio e in aperta contestazione con il club di Franco Sensi, prendono a pretesto la serata per dare sfogo alla loro violenza più becera. Così invadono il terreno di gioco, interrompono la partita e strappano zolle del terreno, divelgono i pali della porta, abbattono la traversa e distruggono le panchine.
La festa di addio del numero 10 è di fatto rovinata nel modo più assurdo. I giocatori rientrano negli spogliatoi, poi Giannini, abbracciato a Bruno Conti e a Totti torna in lacrime in campo e prende la parola al microfono.
"Scusate, sono emozionato, nervoso. Purtroppo, per un eccesso d’amore, per uno sfogo della rabbia di questi giorni… Vi ringrazio, non doveva finire così, ma con qualcosa di meglio".
Il sogno del 'Principe' di riabbracciare la sua Principessa per l'ultima volta era stato spazzato via dalla follia ultras.Mail suo amore viscerale per la Romasarebbe comunque durato in eterno. Mentre la società avrebbe rifatto pace con i suoi tifosi costruendo una squadra da titolo: un anno più tardi la Lupa avrebbe vinto il 3° storico Scudetto ad appena un anno dal trionfo biancoceleste.
