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Giacinto Facchetti, il 3 per eccellenza sul tetto d’Europa con il 10 sulle spalle

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Il nome di Herbert Chapman a molti dirà poco, ma senza molte delle sue intuizioni il calcio oggi sarebbe probabilmente tanto diverso da come lo conosciamo.

E’ stato più di un semplice visionario, è stato una sorta di ‘uomo venuto dal futuro’, uno straordinario innovatore che ha lasciato dietro di sé un’eredità fatta di idee in alcuni casi fin troppo avanzate per i suoi tempi. E’ stato un calciatore mediocre, ma da allenatore ha vinto moltissimo, così tanto da guadagnarsi un posto tra le più grandi leggende della storia dell’Arsenal.

E’ stato uno dei primi tecnici moderni, oltre che uno dei primi ad assumersi il pieno controllo della squadra, sottraendo ai propri dirigenti le scelte tecniche. Ha letteralmente rivoluzionato il ‘gioco’ introducendo il ‘sistema’, ovvero il modulo che per anni sarebbe stato il più utilizzato in assoluto a livello mondiale (la cosa porterà alla necessità di dover rivedere la regola del fuorigioco). Ha imposto il concetto di regime alimentare per i calciatori, oltre che le figure dei fisioterapisti e dei massaggiatori, si è battuto per l’utilizzo dei riflettori negli stadi, ha lavorato attivamente ad una nuova elaborazione concettuale del mitico Highbury e, tra le innovazioni da lui portate c’è anche il pallone bianco a spicchi, ovvero uno ‘strumento di gioco’ molto più visibile rispetto a quelli che si usavano ad inizio ‘900.

Ha guidato l’Arsenal tra il 1925 ed il 1934, modificando di fatto l’intero corso delle cose, ma tra tutte le sue ‘visioni’ ce ne è stata una in particolare che pur nella sua apparente banalità si è rivelata un’autentica rivoluzione: l’introduzione dei numeri di maglia.

E’ il 25 agosto del 1928 quando l’Arsenal (modificherà anche i colori della sua maglia rendendole più di impatto alla vista dei suoi giocatori durante le partite) per la prima volta, in occasione di una sfida contro lo Sheffield, si presenta sul terreno di gioco con magliette numerate.

Nelle idee di Chapman i numeri sarebbero serviti a dare ai propri giocatori una maggiore consapevolezza della loro posizione sul terreno di gioco e avrebbero inoltre aiutato i tifosi e gli arbitri a riconoscere i protagonisti in campo.

La Federazione calcistica inglese in realtà osteggerà questa sua intuizione e solo nel 1939 le maglie numerate verranno effettivamente utilizzate ‘per regola’, dandogli di fatto ragione.

Da allora i numeri sono diventati i compagni di viaggio dei giocatori, ma per anni sono stati intesi in maniera diversa da oggi. Nel calcio moderno ognuno si sceglie il proprio e in molti casi riesce a portarlo con sé per un’intera carriera. Che si tratti dell’1 o del 99 poco importa, quello che conta è che in qualche modo rappresenti qualcosa.

In molti hanno visto nella nuova concezione delle numerazioni una sorta di resa incondizionata del calcio al mondo del marketing e questo perché è venuto meno quel ‘codice’ che per decenni è stato ‘legge’.

In passato l’1 era il portiere, il 2 il terzino destro, il 3 quello sinistro, il 4 il mediano, il 5 lo stopper, il 6 il libero, il 7 l’ala destra, l’8 la mezz’ala destra, il 9 il centravanti, il 10 la mezz’ala sinistra, l’11 l’ala sinistra ed il 12 il secondo portiere.

Ogni numero corrispondeva ad un ruolo preciso e anche il 10 come lo intendiamo oggi aveva un ‘significato’ diverso (pare che a modificarne la sua concezione sia stato il modo di giocare di un certo Pelé).

I calciatori erano quindi, per forza di cose, meno legati ai numeri di maglia, tuttavia le eccezioni non sono mancate. Ci sono stati dei campioni così grandi da risultare insostituibili nel corso delle loro intere carriere. Così intoccabili da diventare un tutt’uno con ciò che portavano sulle spalle.

Tra i vari esempi ce ne è uno che, per quasi un ventennio, in ambito prettamente calcistico in Italia è stato l’incarnazione stessa del 3: Giacinto Facchetti.

Herera facchetti

Con Herbert Chapman ha una cosa in comune: è stato un innovatore assoluto. Prima di lui la concezione di terzino era completamente diversa da quella che conosciamo oggi. Fuoriclasse assoluto e icona per eccellenza dell’Inter, è stato il primo ad intendere il ruolo in maniera offensiva.

Sapeva anche difendere, aiutato tra l’altro da un fisico straordinario, ma era quando spingeva a sinistra che diventava devastante. Partiva con la velocità e la potenza del grande atleta e, quando si creava lo spazio giusto, si accentrava per tentare la conclusione.

Di fatto era per l’epoca un attaccante splendidamente adattato al ruolo e la cosa non deve sorprendere. Quando arrivò all’Inter lo fece da attaccante appunto e quelle sue doti offensive verranno sfruttare al meglio da Helenio Herrera che, dopo averlo inizialmente schierato anche da punta, sarà spostandolo a sinistra che si ritroverà a portata di mano quell’ingranaggio necessario per rendere la sua ‘Grande Inter’ una delle squadre più forti di tutti i tempi.

Le idee calcistiche del ‘Mago’ (un altro rivoluzionario) contribuiranno a fare la fortuna del ‘Cipe’ (soprannome che lo accompagnerà per tutta la carriera e che sarà figlio di un errore dello stesso Herrera che storpiò il suo cognome in Cipelletti), il quale ricambierà con numeri offensivi incredibili: le sue 59 reti (76 saranno quelle complessive in nerazzurro) tutte segnate su azione, fanno ancora oggi di lui il difensore più prolifico della storia del campionato italiano.

Tra il 1960 ed il 1978, porterà in giro per il mondo il suo numero 3 vincendo quattro Scudetti, una Coppa Italia, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali, paradossalmente però, uno dei successi più importanti della sua gloriosa carriera, il titolo di Campione d’Europa vinto con la Nazionale Azzurra nel 1968, lo metterà in bacheca indossando la maglia numero 10.

Sì, Giacinto Facchetti, uno dei più grandi terzini della storia del calcio mondiale, è salito con l’Italia sul tetto d’Europa portando sulle spalle il numero di quelli che oggi definiremmo fantasisti.

La FIFA, nel 1954, in occasione dei Mondiali che si disputarono in Svizzera, introdusse una novità importante: ad ogni giocatore convocato per la competizione sarebbe stato assegnato un numero che poi avrebbe portato fino al termine del torneo.

Capitava ovviamente che in Nazionale si ritrovassero giocatori con lo stesso ruolo e la cosa impose un metodo di assegnazione dei numeri. Ogni rappresentativa ne adottò uno e se la Federazione italiana optò inizialmente di assegnare le maglie dall’1 all’11 ai titolari e le restanti alle riserve, dal 1966 decise di cambiare approccio.

FacchettiGetty Images

I numeri sarebbero stati stabiliti dall’ordine alfabetico. In occasione degli Europei del 1968, Albertosi, grazie alla sua ‘A’, riuscirà a conservare la classica 1 del portiere, ma già la 2 verrà assegnata a Pietro Anastasi, un centravanti di professione. Un grande centravanti.

*Si proseguirà quindi con Anquilletti, Bercellino, Burgnich, Bulgarelli, Castano, De Sisti e Domenghini, fino ad arrivare appunto a Facchetti: il decimo in ordine alfabetico.

Il ‘Cipe’, che di quella Nazionale era anche capitano, non verrà affatto condizionato dalla cosa, anzi si può ben dire che il 10 gli porterà una fortuna enorme.

L’Italia, che si era presentata al torneo da organizzatrice, ma anche da squadra reduce da un Mondiale del 1966 disastroso e culminato con la storica eliminazione per mano della Corea del Nord, dopo aver superato la fase dei gironi eliminatori e gli spareggi, in semifinale è chiamata ad affrontare una delle grandi favorite per la vittoria finale del torneo: l’Unione Sovietica.

La gara, che si gioca il 5 giugno 1968 allo stadio San Paolo di Napoli, è di quelle drammatiche. Nessuna delle due squadre riesce a prevalere sull’altra e si arriva dunque al 120’ con il risultato fermo sullo 0-0. Non essendo previsti i calci di rigore, si deve ricorrere al lancio della monetina e la scelta della ‘faccia’ sulla quale puntare tocca proprio a capitan Facchetti.

I giocatori delle due squadre, accompagnati dall’arbitro Tschenscher, tornano negli spogliatoi lasciando agli oltre settantamila spettatori assiepati sugli spalti (dati ufficiosi parlano di oltre centomila spettatori), oltre che i milioni di italiani incollati alle radio e alle televisioni, lo ‘straziante dolore’ figlio dell’attesa.

Prima di lanciare la moneta da 5 Franchi svizzeri, il direttore di gara tedesco concede proprio a Facchetti la scelta. Il capitano azzurro propende per ‘testa’.

Il primo lancio va a vuoto, poiché la moneta si incaglia in posizione verticale tra due mattonelle: è una cosa assurda, ma va ripetuto tutto.

Il secondo sarà il lancio che varrà l’accesso alla finale.

“Scendemmo negli spogliatoi con l’arbitro, con il capitano dell’Unione Sovietica Shesternev e con i dirigenti delle due squadre - svelerà Facchetti - Io chiamai ‘testa’ e uscì ‘testa’. L’Italia andò così in finale. Feci di corsa le scale verso il campo, c’erano oltre settantamila persone che stavano aspettando con il fiato sospeso. Fu la mia gioia il segnale che l’Italia aveva vinto”.

Secondo molti dei presenti sugli spalti, decisivo fu l’aiuto di San Gennaro, quello che è certo è che comunque la chiamata vincente fu del 10 azzurro.

L’Italia poi si laureerà per la prima volta nella sua storia campione d’Europa, battendo la Jugoslavia in una finale ripetuta, visto che il primo confronto tra le due squadre si era concluso sull’1-1. Decisive saranno le reti di Riva e di Anastasi, ma il vero trascinatore di quella Nazionale fu Giacinto Facchetti, che venne tra l’altro nominato miglior giocatore della competizione.

“Per la Nazionale si trattava del primo successo dal 1938 - racconterà Facchetti - Allora si pensava che l’Italia non potesse raggiungere grandi traguardi perché inferiore alle altre squadre dal punto di vista fisico. Fu una grande vittoria e per me fu una grandissima soddisfazione vincere il premio di miglior giocatore di quegli Europei”.

La Federazione italiana, nel 1978, rivedrà il metodo dell’assegnazione dei numeri di maglia. Verrà ancora stabilita dall’ordine alfabetico, ma per ruolo, garantendo ai portieri l’1, il 12 ed il 22.

Facchetti, che aveva già disputato i Mondiali d’Inghilterra con il 6 sulle spalle nel 1966, indosserà il suo 3 nei Campionati del Mondo del 1970 e del 1974, quando invece non verrà dato peso all’ordine alfabetico.

Del numero 10 aveva poco, ma come i fantasisti di solito i falli li prendeva e non li faceva, tanto che l’unica espulsione rimediata in carriera (nel 1975 e per un applauso di troppo all’arbitro) verrà accolta con una standing ovation da tutto San Siro.

Facchetti si è guadagnato uno posto tra le più grandi leggende del calcio mondiale ed è stato un terzino probabilmente ‘inarrivabile’. L’Italia potrà annoverare altri straordinari interpreti del ruolo come Cabrini e Maldini, due fuoriclasse assoluti, ma è stato il ‘Cipe’ a rivoluzionare il concetto del ruolo stesso.

Dopo la sua morte, avvenuta il 4 settembre 2006, l’Inter, dalla quale è stato anche presidente, lo omaggerà con il ritiro della maglia, e la cosa farà di Burdisso (che passerà subito al 16) l’ultimo nerazzurro ad aver indossato il numero 3.

“Per me è un orgoglio essere stato l'ultimo calciatore dell'Inter ad aver indossato la maglia numero 3 - dirà l’argentino ai media ufficiali nerazzurri - Per me è un onore cambiare oggi il numero in rispetto di Giacinto Facchetti”.

Giacinto Facchetti sarà per sempre il numero 3 dell’Inter. Il caso ha voluto che sia entrato nella storia del calcio italiano anche con il 10 sulle spalle.

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