GOALDiciannove giorni che hanno cambiato tutto. Diciannove giorni nei quali racchiudere la prima convocazione in Nazionale e l’esordio in Champions League. Il tutto avendo giocato in precedenza appena 260’ tra i professionisti, in Serie B, con la maglia dell’Entella e prima di essere aggregato alla Primavera dell’Inter.
Tutto si può dire, tranne che quello di Nicolò Zaniolo sia stato un percorso lineare. Il cammino che l’ha portato ai più alti livelli è stato un susseguirsi si scatti in avanti, bruschi stop, passi indietro e nuove ripartenze.
Un po’ come accade nel ‘Gioco dell’Oca’, è passato prima sul ‘ponte’, poi si è fermato alla ‘locanda’, e poi ancora ha trovato sulla sua strada il ‘pozzo’, il ‘labirinto’ e lo ‘scheletro’ salvo alla fine, riuscire a centrare il giusto lancio di dadi che gli ha consentito di arrivare alla casella ’63’.
Che Zaniolo sia forte oggi non ci sono dubbi, ma fino al settembre del 2018 il suo nome era realmente noto a pochi. Si sapeva che era il figlio di Igor, prolifico bomber ‘di periferia’ che era arrivato anni prima a sfiorare ‘il calcio che conta’, che aveva fatto intravedere buone cose in Serie B e in Youth League e soprattutto che era stato inserito insieme a Santon nella trattativa (che poi si sarebbe rivelata un affare clamoroso) che aveva portato Radja Nainggolan dalla Roma all’Inter. Stop… o quasi.
Quando Roberto Mancini lo convoca per le sfide di Nations League contro Polonia e Portogallo, in molti si affrettano a fare ricerche per sapere di più su quel ragazzo che è reduce da un ottimo Campionato Europeo con la rappresentativa U19 e, a maggior ragione, la curiosità aumenta diciannove giorni più tardi quando l’allora tecnico della Roma, Eusebio Di Francesco, decide di schierarlo dal primo minuto al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid in una partita della fase a gironi della Champions League.
Getty ImagesNicolò Zaniolo si ritrova catapultato sotto i riflettori del grande calcio alla velocità della luce e prima ancora di aver debuttato in Serie A. Un’entrata in scena in grande stile, di quelle che ti trascinano nella storia (prima di lui solo Raffaele Costantino, Massimo Maccarore e Marco Verratti erano stati convocati in Nazionale maggiore senza aver mai messo piede su un campo della massima serie) e che fanno parlare di te come di un predestinato. Come del nuovo campione al quale affidare le speranze di un calcio italiano quasi in disarmo.
Così, mentre gli articoli su Zaniolo si moltiplicano, in una città in particolare i rimpianti crescono di pari passo: Firenze.
Sì perché se nel resto d’Italia di quel ragazzo poco più che diciannovenne si sa ancora relativamente poco, nel capoluogo toscano il suo nome dice a tanti molto più di qualcosa. Per anni Firenze è stata la seconda casa di Zaniolo, quella nella quale crescere calcisticamente e nella quale scoprire come si sta da soli al mondo.
Ha appena dodici anni quando si lega alla Fiorentina e mentre i suoi coetanei continuano a fare la vita che dovrebbero fare i ragazzi che frequentano la seconda media, lui comincia a capire che per arrivare dove anni prima è arrivato suo padre, o magari anche un po’ più su, bisogna fare dei sacrifici. Tanti sacrifici.
Zaniolo abita a La Spezia e dal lunedì al venerdì, con un pulmino fa la spola tra la sua città e Firenze. Il preside gli ha concesso il permesso di uscire ogni giorno da scuola quel quarto d’ora prima necessario per arrivare in tempo al campo di allenamento e per due anni la sua vita è questa: svegliarsi presto per andare a scuola e rincasare poco prima delle dieci di sera.
Quando finalmente compie di quattordici anni, gli viene concessa la possibilità di trasferirsi in convitto, ma ben presto si riscopre costretto a fare i conti con una realtà che non immaginava esistesse: la nostalgia di casa è un qualcosa di ben più duro che macinare chilometri su e giù dalla Liguria alla Toscana.
“I primi 2-3 mesi sono stati terribili - ha raccontato a ‘La Gazzetta dello Sport’ - Quando stavo a casa pensavo che fosse bello andare via con gli amici e giocare al calcio. In convitto magari ti divertivi il giorno sul campo ma quando andavi a dormire pensavi: ‘Sono lontano da casa, mi mancano mamma e papà’. I primi 3-4 mesi piangevo ogni sera, li chiamavo e loro mi dicevano ‘stai tranquillo che ti abitui e poi non ci chiamerai più’. Rispondevo ok. E piangevo. Però è andata proprio così, alla fine erano loro a chiamarmi per sapere come stavo…”.
Zaniolo lega soprattutto con Luca Ranieri e Giuseppe Caso, altri due ragazzi di La Spezia che, come lui, hanno trovato nella Fiorentina una società pronta a scommettere sulle loro qualità e che, come lui, cercano lontano da casa qualcosa che sappia di casa. I mesi in riva all’Arno non scorrono veloci, ma almeno c’è il calcio.
In Nicolò, in realtà, sono in pochi ad intravedere il ragazzo destinato ad arrivare più lontano di tutti. Dal punto di vista fisico è piccolo e a catalizzare le attenzioni di molti sono altri talenti.
Galleggia tra gli Esordienti e gli Allievi, arriva a compiere l’intera preparazione estiva con la Primavera e, quando finalmente si appresta a compiere il penultimo passo, quello che rende il calcio professionistico decisamente più vicino, arriva quell’imprevisto che poi ha cambiato il volto intero di una carriera: la casella ’58’ del ‘Gioco dell’Oca’, quella che ti costringe a ricominciare tutto daccapo.
La Fiorentina gli comunica che per lui non c’è più posto e che quindi deve trovarsi un’altra squadra dalla quale ripartite.
“Se quell’episodio mi ha demoralizzato? Sì - ha spiegato al sito ufficiale della Roma - Dopo sette anni trascorsi lì mi ero fatto i miei amici, mi sentivo in famiglia. È stata una doccia fredda e ci ho pianto una settimana intera”.
Zaniolo si sente crollare il mondo addosso e inizia a pensare che quello del calcio può non essere il suo mondo. Dopo sette anni di impegno e duro lavoro si ritrova costretto ad affrontare la prima vera grande delusione della sua vita e, alla sua età, non è certamente la cosa più semplice da mettersi alle spalle.
“Il momento più difficile è stato quando la Fiorentina ha chiamato mio marito per avvertirlo che Nicolò era stato tagliato dalla Primavera - ha svelato la mamma di Zaniolo, Francesca Costa, a ‘La Gazzetta dello Sport’ - Io scoppiai a piangere perché sapevo come avrebbe reagito mio figlio. Piangeva. Lo abbiamo visto star male. Poi Igor è stato lungimirante e lo ha portato via da Firenze”.
La decisione della Fiorentina di tagliare Zaniolo nel 2016 non desta in quel momento scalpore, ma viene semplicemente vista come la storia di uno di quei tanti ragazzi che non sono riusciti a coronare il proprio sogno. Le cose cambiano invece nel 2018, quando di lui si inizia a parlare come di un gioiello di caratura internazionale. E’ allora che in tanti si chiedono come sia stato possibile non scorgere in lui i tratti del campione e, paradossalmente, il dito viene puntato contro chi della scoperta di giovani talenti ha fatto quasi una ragione di vita: Pantaleo Corvino.
“Nicolò è andato via dalla Fiorentina nel momento di transizione tra Pradè e Corvino - racconterà Igor Zaniolo a ‘Radio Bruno’ - Se le cose non fossero andate così, difficilmente sarebbe stato svincolato. Non rientrava più nei piani del club e quindi venne liberato”.
La versione di Pantaleo Corvino sarà diametralmente opposta.
“Quando arrivai io, Zaniolo per motivi extra calcio e non tecnici, aveva già raggiunto un accordo con la società - dirà a ‘Radio Sportiva’ - Non giocava e la famiglia decise di mandarlo altrove. Io trovai questa situazione, la sua famiglia voleva che andasse via per giocare”.
Sull’addio di Zaniolo alla Fiorentina ci sono dunque verità diverse e probabilmente non potrebbe essere altrimenti. Per alcuni si è trattato di un vero e proprio taglio figlio di scarsa lungimiranza, per altri invece si è palesata una differenza di vedute. La volontà del club viola era probabilmente quella di mandare il ragazzo in prestito altrove continuando a mantenerne il controllo, mentre magari quello della famiglia era quella di tracciare la strada da seguire in autonomia.
GettyLa ‘vera verità’ probabilmente è nel mezzo, e forse non la si conoscerà mai. Quello che è certo è che simili decisioni, con tutte le conseguenze che hanno avuto, non potevano comunque non lasciare dietro di loro una scia di polemiche.
“Non mi piace la parola rifiutato - ha spiegato lo stesso Zaniolo al ‘Daily Mail’ - Preferisco dire che sono stato sottovalutato. Io non mi sono sentito rifiutato e non ho nessun sentimento di rivalsa. La mia prima squadra è stata l’Entella e da allora è cambiato tutto, ma io conservo bellissimi ricordi. Non dimentico le mie radici”.
Nel momento stesso in cui ha lasciato la Fiorentina, Zaniolo avrà avuto certamente la sensazione di aver fatto un passo indietro, ma la storia, la sua storia, ha invece raccontato che in quel preciso istante ha fatto un passo avanti e decisivo verso quei traguardi che si era imposto di raggiungere.
Alla fine i rimpianti sono tutti colorati di viola e sono quelli di una società che magari avrebbe potuto schierare un tridente composto da Zaniolo, Vlahovic e Chiesa, ovvero tre ragazzi cresciuti all’ombra della ‘Torre di Maratona’ che, in modi e tempi diverse, hanno trovato altrove il loro angolo calcio nel quale sognare ed esaltarsi.
Magari un giorno giocheranno realmente insieme nella stessa squadra e faranno esultare milioni di tifosi, ma non lo faranno di certo a Firenze. Per loro la Fiorentina rappresenta il passato e a chi ha il giglio ‘tatuato’ nel cuore, non può che restare quel retrogusto amarissimo di ciò che sarebbe potuto essere… ma che non è stato.




