Da giocatore era un talento che avrebbe potuto avere forse una carriera più importante, da allenatore è stato un innovatore e un grande motivatore. Eugenio Fascetti, nato a Viareggio il 23 ottobre 1938, ha scritto molte pagine importanti nel calcio italiano, in cui è rimasto per oltre 40 anni.
Burbero, a volte scontroso, sempre schietto senza paura di pagare le conseguenze per le sue idee e il suo pensiero anticonformista, Fascetti, pur essendo fin da giovane un tifoso interista sfegatato ha vinto uno Scudetto con la maglia della Juventus. Fra le esperienze fatte in panchina, invece, la più singolare è stata quella con la Fiorentina, durata appena qualche settimana.
LO SCUDETTO CON LA JUVENTUS
Toscano verace, Fascetti inizia la carriera da calciatore con il Pisa, che preferisce al Viareggio, la squadra della sua città. Il motivo?
"Ho scelto il Pisa perché aveva i colori nerazzurri della mia Inter", dirà a 'La Gazzetta dello Sport' nel 2018.
Il successivo passo lo vede protagonista in Serie A con il Bologna. Dopo 3 stagioni in cui mette insieme 25 presenze e un goal con la casacca rossoblù in campionato, nel 1960 passa a 21 anni alla Juventus dell'allenatore Carlo Parola e del Direttore tecnico Renato Cesarini, che decidono di puntare su di lui.
I bianconeri hanno appena vinto il titolo l'anno precedente e Fascetti, assieme al terzino destro Tarcisio Burgnich, prelevato dall'Udinese, è uno dei due rinforzi acquistati nel calciomercato estivo dal presidente Umberto Agnelli.
In quella Juve ci sono campioni come Omar Sivori, che tuttavia salterà buona parte dell'avvio di stagione per problemi fisici, il gallese John Charles, che diventa spesso rifinitore per aprire gli spazi al giovane Bruno Nicolè, e Giampiero Boniperti, che arretra il suo raggio di azione e agisce da regista. Senza la stella argentina, tuttavia, la squadra fa fatica e Cesarini è messo in discussione.
"Nella mia Juve - ricorderà a 'La Gazzetta dello Sport' nel 2018 - c’era Boniperti che già studiava da presidente e Sivori che si allenava part-time".
Dopo una pesante sconfitta con la Fiorentina, Agnelli corre ai ripari e ingaggia la forte ala Bruno Mora. Quest'ultimo sarà decisivo nel prosieguo della stagione. La Juventus perde di nuovo contro il Milan, ma da lì in avanti cambia decisamente passo. Fascetti, dal canto suo, in un'epoca in cui non sono ancora previsti i campi, ha poche occasioni per mettersi in mostra. Tuttavia ha modo di debuttare in bianconero da interno di centrocampo da titolare contro il Bologna il 20 novembre del 1960, quando i piemontesi travolgono 3-0 gli emiliani.

Disputa una bella partita, al termine della quale si porta a casa il pallone in segno di ricordo. Fascetti gioca titolare anche la gara successiva contro la Roma, ma la sconfitta per 2-1 della Vecchia Signora con i giallorossi sarà l'ultima apparizione per lui in quel torneo. A gennaio, con la squadra al 4° posto, Cesarini è esonerato e in sua sostituzione arriva lo svedese Gunnar Gren, 'Il Professore'.
Fascetti non viene più considerato e assiste dalla panchina alla lotta Scudetto con il Milan e con la sua Inter. La Juventus, ritrovato Sivori, che inizia a segnare a raffica, balza al comando della graduatoria e proprio il confronto con i nerazzurri il 16 aprile 1961 rischia di essere decisivo.
Ma un gruppo di tifosi senza biglietti sfonda i cancelli e fa irruzione sul campo dopo si trovano le due squadre. Al che l'Inter torna negli spogliatoi per poi chiedere la vittoria a tavolino. Con la posizione di Umberto Agnelli che fa inevitabilmente discutere (oltre ad essere numero uno della Juventus è anche Presidente federale, carica che lascerà a fine stagione), la Commissione giudicante assegna inizialmente il 2-0 a tavolino all'Inter, ma dopo il ricorso presentato dalla Juventus, la Corte d'Appello Federale, il 3 giugno, cambia il verdetto e comanda la ripetizione della partita il 10 giugno.
Lo Scudetto si decide prima, all'ultima giornata, alla quale la Juventus si presenta con 46 punti, seguita da Inter e Milan con 44. Se i bianconeri pareggiano a Bari, e il Milan, che chiude 2°, fa lo stesso a Vicenza, l'Inter cade 2-0 a sorpresa a Catania nella partita del 'Clamoroso al Cibali', espressione coniata in quell'occasione forse da un giornalista siciliano e poi fatta propria dal grande Sandro Ciotti.
A giochi fatti, Fascetti, che si laurea campione d'Italia in bianconero, assiste al recupero contro la sua Inter, che per decisione del presidente Angelo Moratti e del tecnico Helenio Herrera, in segno di protesta contro i rivali, scende in campo con 'L'Equipo de muchachos', la squadra giovanile composta da ragazzi che non avevano mai messo piede in Serie A.
La Juventus, invece, gioca con la formazione tipo e Sivori infierisce, segnando addirittura 6 goal. Finisce 9-1 per i piemontesi, con l'unica rete nerazzurra che porta la firma dell'esordiente Sandro Mazzola.
Una gioia per tutti i bianconeri, tranne per Fascetti, che vive con patos quei momenti da dietro le quinte. Nell'estate 1961 saluta la società torinese e passa al Messina. Il centrocampista diventa una bandiera dei giallorossi, con cui gioca in Serie A e in Serie B, poi disputa una stagione di A con la Lazio, gioca con il Savona e il Viareggio, in Serie C, riavvicinandosi a casa, nel 1969, e chiude con i Dilettanti del Fulgocarvi Latina nel 1971.
FASCETTI ALLENATORE E L'AVVENTURA LAMPO CON LA FIORENTINA
Pur avendo fatto una discreta carriera da calciatore, è da allenatore che Eugenio Fascetti si toglie le maggiori soddisfazioni. La nuova avventura parte dai Dilettanti del Fulgocarvi Latina, la squadra con cui aveva disputato l'ultima stagione da calciatore, che guida in Prima Categoria. Qui sviluppa le sue idee calcistiche, che ha modo poi di mettere in pratica al Varese, di cui assume la guida tecnica in Serie B nel 1979 dopo aver frequentato il Supercorso di Coverciano.
Nel 1981/82 la squadra lombarda, con il giovane Beppe Marotta nel ruolo di D.s. e Michelangelo Rampulla fra i pali, è protagonista di un grande campionato e sogna la promozione. Il calcio e i suoi metodi di allenamento sono assolutamente innovativi: il tecnico toscano introduce in Italia le ripetute in salita e la preparazione differenziata, adotta la psicocinetica per migliorare la concentrazione dei calciatori in campo ed è il primo a utilizzare il computer per programmare gli allenamenti.
La sua idea calcistica, che lo caratterizzerà negli anni, la mutua osservando in azione il campione di bridge Benito Garozzo.
"ll mio Varese- affermerà anni dopo - ha anticipato le teorie sulla zona e sul pressing. Zona o non zona, il calcio si fa senza palla. L’idea è semplice: creare un casino organizzato, una squadra senza punti di riferimento per gli avversari, un gioco basato sull’imprevedibilità e la sorpresa. La squadra ideale è quella camaleontica.Che sa adattarsi a ogni tipo di partita. Quindi cerco giocatori che sappiano adattarsi in ogni parte del campo, che non abbiano schemi fissi. A volte ci troviamo con il terzino che fa l’attaccante. Ecco spiegato come mai nella mia squadra non esiste un goleador. Voglio un contropiede di massa".
Ma la sfida decisiva con la Lazio è caratterizzata da due rigori 'generosi' assegnati dall'arbitro Agnolin, che determinano la fine delle speranze dei biancorossi. Fascetti non la prende benissimo e polemizza con il celebre fischietto di Bassano del Grappa.
"In serie A avremmo dato noie a tanti. - dichiara ai microfoni dei cronisti - È stata una vergogna, un furto autorizzato".
Per aver pronunciato la frase "Mi vergogno di come Bearzot fa giocare l'Italia", dopo la gara con il Camerun dei Mondiali 1982, la Federazione lo squalifica nel 1983 e costringe il Varese a dargli il benservito. Passato nell'anno seguente al Lecce, porta i salentini in Serie A per la prima volta e il 20 aprile 1986 il suo destino si intreccia di nuovo con la Juventus: i salentini da lui guidati, già matematicamente retrocessi, battono la Roma di Eriksson e spediscono di fatto lo Scudetto nelle mani della Juventus.
"Il Lecce vinse - ricorderà a 'Rai 2' - ma devo dire che far vincere lo Scudetto alla Juve mi è dispiaciuto".
Troppo forte la sua fede nerazzurra. "Mi sono appassionato all’Inter da bambino, quando giocavano campioni del calibro di Istvan Nyers, Lennart Skoglund, Faas Wilkes. - spiega in un'intervista a 'Passione Inter' - Quella squadra era fenomenale. Da allora sono diventato tifoso e non ho mai smesso".
La successiva esperienza alla guida della Lazio sarà esaltante, con il tecnico toscano che prima salva la squadra, partita da una penalizzazione di -9, dalla retrocessione in Serie C, poi la riporta in Serie A cogliendo la seconda promozione della sua carriera da allenatore. Le successive esperienze, fra alterne fortune, lo vedono sulle panchine di Avellino, Torino, che riporta in Serie A nel 1989/90 (3ª promozione in carriera), Verona, anch'esso trascinato nel massimo campionato (4ª promozione)e Lucchese.
Getty ImagesUn nuovo periodo d'oro il tecnico toscano lo vive con il Bari, che conduce per ben 6 stagioni, di cui 5 in Serie A e una in Serie B. Con i Galletti ottiene la sua 5ª e ultima promozione in Serie A nel 1996/97, riproponendo ad alti livelli il suo 'casino organizzato' e guidando anche talenti come Igor Protti, Klas Ingesson e il giovane Antonio Cassano, che lancia nel massimo campionato ancora giovanissimo.
Si toglie anche la soddisfazione di battere in più occasioni l'Inter, la squadra del suo cuore.
"Da allenatore avversario l’Inter è stata un mio talismano, un mio portafortuna, - racconta a 'Passione Inter' - perché l’ho battuta molto spesso: la prima volta col Verona, quando sulla panchina nerazzurra sedeva Suarez; poi col Bari, in casa o in trasferta. Ricordo ancora lo 0-1 inflitto all’Inter di Ronaldo, il fenomeno, suggellato dal 2-1 a Bari. L’anno successivo vincemmo di nuovo a San Siro per 2-3, per non parlare del 4-1 rifilato a Hodgson. Probabilmente se avessi allenato sempre contro l’Inter avrei vinto lo Scudetto (ride, ndr)".
Poi un'esperienza al Vicenza, chiusa anticipatamente, e quella che sembra l'occasione giusta, la Fiorentina, sulla cui panchina approda nell'estate del 2002. Resterà invece la grande illusione, perché da lì a poco la società di Vittorio Cecchi Gori, travolta dai debiti, fallirà, per poi risorgere in Serie C come Florentia Viola.
Neno, come lo chiamano dalle sue parti in Toscana, è serio e preoccupato fin dal giorno della sua presentazione ufficiale in Piazza Savonarola in un clima di tristezza generale. I suoi timori si riveleranno fondati, visto che la sua permanenza lampo sulla panchina viola durerà appena poche settimane, e sarà ricordata come la più breve in assoluto di un tecnico alla guida del club.
"Da allenatore mi sono preso tante soddisfazioni, il rimpianto più grande resta Firenze. - ammette in un'intervista a 'Quotidiano Sportivo' - Poteva essere un bel trampolino, splendida piazza ma difficile, impossibile da rifiutare per un allenatore".
Smaltita la delusione per l'occasione mancata, Fascetti prende in corsa nel novembre 2002 il Como in Serie A. Non riesce ad evitare la retrocessione, ma resta in sella ai lariani anche nell'anno successivo in Serie B. Sarà l'ultima esperienza calcistica di un allenatore innovativo e innovatore, che ha ottenuto importanti risultati partendo con umiltà dal basso, e di un uomo autentico, che nel bene e nel male ci ha sempre messo la faccia.
