
Nell’ultimo atto della stagione 2001-2002, con un colpo di coda in quel di Udine, la Juventus approfitta dell’harakiri dell’Inter contro la Lazio e si cuce sul petto il 26° Scudetto della sua storia interrompendo un digiuno da tricolore che durava dal 1998. Tra i protagonisti che hanno messo la firma in calce sul trionfo a tinte bianconere c’è un giocatore sbarcato proprio in quella stagione alla corte di ‘Madama’: Pavel Nedved .
Il numero 11 bianconero, dopo un difficoltoso apprendistato condito da prestazioni che definire anonime suona quasi come un eufemismo, compie il definitivo ‘switch’ alle soglie dell’anno 2002 quando l’intuizione di Marcello Lippi lo trasforma da esterno puro a rifinitore tra le linee. È la svolta. Da quel momento la Juve cambia passo e, trascinata dalla ‘Furia ceca’, avvicina sempre di più la vetta della classifica sino all’estasi finale datata 5 maggio.
Il piatto forte, però, arriva nella stagione successiva. La ‘Vecchia Signora’ campione in carica punta al bis-Scudetto ma soprattutto mette nel mirino il sogno europeo chiamato Champions League , trofeo che nella bacheca torinese manca dal 1996. Le premesse per un campionato da dominatore si scontrano, quantomeno inizialmente, con un primo segmento di torneo all’insegna dell’intermittenza: alla pausa natalizia i bianconeri girano con “sole” otto vittorie nelle prime quindici giornate. Nedved si sblocca il 6 novembre, alla prima giornata, spostata in inverno per il mancato accordo sui diritti TV. Sua la rete del definitivo 0-1 al ‘Granillo’ di Piacenza, proprio nello stadio dove l’anno prima segnò un altro goal importantissimo ai fini del piano inseguimento all'Inter progettato da Marcello Lippi.
Undici giorni più tardi arriva il bis in una notte mai banale, quella del Derby della Mole dominato 4-0 dai campioni d’Italia in carica. A dicembre, invece, Nedved mette nel mirino le romane: all’Olimpico l’ex giocatore della Lazio completa la rimonta che permette alla Juventus di strappare il 2-2 finale in casa della Roma dopo essere stata sotto 2-0. Sempre lui nella nebbia di Torino realizza il primo – seppur illusorio - goal da ex contro il suo passato calcistico, capace però d’imporsi in trasferta grazie alla doppietta di Stefano Fiore.
Di pari passo all’obiettivo nazionale, la truppa zebrata inizia anche la propria campagna europea in Champions League. La prima fase a gironi è pura formalità: la Juve domina il raggruppamento composto da Feyenoord, Newcastle e Dinamo Kiev – avversario quest’ultimo contro cui Nedved segnerà il primo centro europeo dell’anno – e approda agevolmente alla seconda fase. La vecchia formula della Coppa dei Campioni non prevede subito i confronti ad eliminazione diretta bensì un’altra fase a gironi con le sedici squadre rimanenti suddivise in quattro raggruppamenti. Questa volta l’asticella si alza e i bianconeri finiscono in un girone di ferro formato da Manchester United, Deportivo la Coruna e Basilea .
Si parte nell’inferno del ‘Riazor’ di La Coruna dove dopo 10’ da incubo la Juve è già sotto 2-0. Una magia di Birindelli riapre uno spiraglio, Nedved ci si infila e con il mancino fa 2-2. È un segnale. Nelle notte più importanti, quelle dove il pallone ‘pesa’, il timbro dell’ex Sparta Praga c’è sempre. È il leitmotiv che accompagnerà l’intera annata. Dopo il secco 4-0 al Basilea sotto la neve, la Champions finisce in naftalina sino a febbraio ed è di nuovo tempo di tuffarsi sul campionato.
Il girone di ritorno inizia esattamente come era iniziato quello di andata: tre punti e goal al Piacenza, giusto per tenere fede alla tradizione. Da quel momento la Juve cambia passo in campionato e scava un solco sulla concorrenza vincendo undici partite su diciassette nel girone di ritorno. Nedved è il trascinatore e la strada verso il secondo tricolore consecutivo è segnata. L'11 bianconero ne fa due anche al Modena, commentati a mo di profezia da Maurizio Compagnoni su ‘Telepiù’
“Se Nedved continua così, nonostante sia un po’ anti-personaggio, è un serio candidato al Pallone d’Oro e in questo momento uno dei più forti giocatori al mondo”.
I goal, come detto, arrivano sempre nelle sfide più affascinanti. Quelle dove solo i grandi campioni sanno esaltarsi: prima un centro al Milan e nel mezzo il sigillo d’autore realizzato contro l’Inter, poco dopo aver subito un duro colpo alla schiena che lo costringerà addirittura al ricovero in ospedale al termine del match per via di una contusione polmonare.
In A chiude con 9 reti in 29 presenze, eguagliando il suo primato personale fatto registrare nell’ultimo anno alla Lazio. Il bello però deve ancora venire. E come sottofondo ha la magica musichetta che risuona nelle serate di Champions League.
Dopo i quattro punti racimolati tra Deportivo e Basilea la formazione zebrata incassa un doppio ko per mano del Manchester United che complica maledettamente l'obiettivo quarti di finale: 2-1 a Old Trafford – con rete della bandiera di Nedved – e l’umiliante 0-3 del Delle Alpi. La qualificazione è tutta da giocarsi nel ritorno in casa contro il Deportivo. La Juve, inizialmente sotto 2-1, ribalta il match al 95° e stacca il pass per la fase finale concedendosi il lusso di perdere l’ultima gara del girone in casa del Basilea. Missione compiuta. La Juventus è ai quarti.
L’urna riserva lo scoglio Barcellona. A Torino Saviola risponde a Montero e rimanda il discorsoal match di ritorno. E’ il 22 aprile del 2003. Nella bolgia del Camp Nou l'equilibrio si spezza al 53', ovviamente nel segno di Pavel Nedved che si incunea in area dalla destra ed esplode il piazzato che non lascia scampo a Bonano. Sembra tutto in discesa, ma il pareggio di Xavi e il rosso a Zambrotta complicano i piani della Vecchia Signora. I bianconeri, però, hanno sette vite e non solo resistono sino ai supplementari con l'uomo in meno ma a quattro minuti dai rigori è la zampata vincente di Marcelo Zalayeta a proiettare i suoi in semifinale.
GettyIl destino riserva poi un altro incrocio con una spagnola: il Real Madrid campione d’Europa in carica. Il primo atto si gioca al Bernabeu e l’asse verdeoro Ronaldo-Roberto Carlos sembra indirizzare la qualificazione. Nel mezzo c’è spazio per il blitz di Trezeguet. Buono per tenere accesa la speranza in vista del ritorno.
Arriva il 14 maggio. Una serata destinata a rimanere scolpita nel firmamento juventino. Trezeguet e Del Piero mandano in estasi un Delle Alpi gremito in ogni ordine di posto confezionando la festa, ma al 73° c’è spazio anche per il punto esclamativo. La firma è sempre la solita, quella del calciatore più determinante:
Gianluca Zambrotta dalla destra pesca Nedved in profondità con un lancio chirurgico. L’11 brucia Hierro in campo aperto, lascia rimbalzare il pallone per due volte e scarica un destro in corsa ad incrociare che fulmina Casillas: 3-0.
Il ‘Delle Alpi’ è in delirio e Nedved esulta a braccia alzate inginocchiandosi di fronte alla propria curva. È un abbraccio ideale a tutto il popolo bianconero. È il tripudio.
La prova di Nedved è una trasposizione di onnipotenza calcistica. Tecnica, forza, leadership e una condizione psicofisica a dir poco straripante. C’è tutto in un calciatore che ad anni 31 ha avuto il merito di plasmare la miglior versione di se stesso. Sembra filare tutto per il verso giusto ma la più tremenda delle beffe incombe dietro l’angolo.
È l’82' e Nedved, diffidato, aggancia Salgado da dietro a centrocampo venendo ammonito dall’arbitro Meier. Cala un silenzio surreale. Nedved si inginocchia un’altra volta ma questa volta è pura disperazione: il cartellino giallo appena ricevuto lo costringerà a saltare la finalissima contro il Milan .
“Ho pianto tanto. Sognavo questa finale già da bambino, è il mio vero obiettivo da quando gioco al calcio ed ero venuto alla Juve soprattutto per vincere la Champions League. Ho pagato per la scarsa lucidità. Sono stato ammonito perché quelli del Real lo hanno chiesto all'arbitro. Non meritavo di saltare la finale, dopo tutta la fatica fatta per conquistarla. Del Pallone d'Oro non me ne frega niente, sognavo di alzare la coppa con le orecchie grandi: spero che i compagni me la facciano toccare. Loro mi hanno già promesso di dedicarmi la vittoria. E pensare che avevo segnato il goal più importante della mia carriera”, lo sconforto del calciatore riportato da ‘Repubblica’.
A fine gara festeggiano tutti – tifosi, calciatori e dirigenti – lui no. Gli occhi sono rigonfi di lacrime e raccontano il dolore di chi ha appena visto sfuggire un treno che non passerà mai più.
“Se mi guardo alle spalle, momenti tristi non ne vedo. Forse la cosa peggiore che mi è successa è di non aver giocato la finale di Champions; però la Juventus era in campo. Anche quando penso alla retrocessione non riesco a essere triste, perché la Juventus c’era e c’è sempre. Quel che resta, alla fine, è la felicità di giocare per la Juventus. Perché noi giocatori passiamo e la Juventus rimane. Per sempre", il pensiero dell’ex vicepresidente juventino riportato da ‘TuttoJuve.com’.
Quella finale se la aggiudicherà il Milan ai calci di rigore e per lo juventino la coppa dalle grandi orecchie rimarrà una lacuna incolmabile. La consolazione - scusate se è poco - arriverà qualche mese dopo con la vittoria del Pallone’Oro. Un plebiscito da 190 voti e due mostri sacri come Paolo Maldini e Thierry Henry alle spalle.
Il 6 gennaio del 2004 effettua un giro di campo con il dorato trofeo, prima di stendere il Perugia con un sinistro micidiale all’incrocio. Con un goal alla Nedved, insomma.
“In quel mio 2003 quasi perfetto segnai 14 gol, 9 in campionato e 5 in Coppa, vinsi lo Scudetto, arrivai alle porte della finale e portai la mia Nazionale alle fasi finali dell’Europeo, diventando il secondo calciatore ceco a vincere il Pallone d’Oro dopo Masopust. Giuro che sono onesto quando dico che lo baratterei con la Coppa dei Campioni, ma solo con quella, perchè il Pallone d’Oro è qualcosa di unico, che regala popolarità e visibilità e ti fa entrare in un club ristretto di campioni”, il pensiero post consegna del Pallone d'Oro riportato da ‘FootballPassion 24’.
Un anno da padrone, insomma, che lo conduce di diritto nel gotha del club piemontese e a cui seguiranno l’ingresso in società prima come consigliere d’amministrazione e successivamente come vicepresidente. Una crescita esponenziale e una repentina scalata nel cuore degli juventini. Un cuore che ancora oggi sanguina quando con la mente si torna a quel minuto 82 del 14 maggio 2003.