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Stefano Fiore, dall’UEFA di Scala e Malesani al fallimento al Valencia di Ranieri

Quando si pensa a Stefano Fiore, non si può non immaginarselo subito con la maglia della Lazio indosso. Appena tre stagioni nella capitale gli hanno permesso di diventare un simbolo e parte della storia della squadra biancoceleste, anche grazie alla Coppa Italia vinta contro la Juventus. Una squadra che veniva da un periodo florido, quello dei primi anni del 2000, con la vittoria dello Scudetto, della Supercoppa Italiana e della Coppa Italia, e che andò ad arricchire il proprio centrocampo con Fiore, che prima di quella parentesi ricca di soddisfazioni aveva inserito nel proprio palmares per ben due volte la Coppa Uefa.

Fiore esordisce nel calcio professionistico con la squadra della sua città, il Cosenza. Dopo tutta la trafila nelle giovanili, nella formazione calabrese resta appena un anno, per poi essere notato e acquistato dal Parma, che nel 1994, nemmeno ventenne, lo porta nella massima categoria. È il Parma di Nevio Scala, quello con Gianfranco Zola in attacco, Lorenzo Minotti a indossare la fascia di capitano in difesa, accanto a Fernando Couto e Nestor Sensini, fino a Dino Baggio a centrocampo. È anche il primo campionato che assegna tre punti per una vittoria e non più due: un’epocale rivoluzione in ambito calcistico, che vede trionfare la Juventus al termine della stagione. Un’accesa sfida, che riporta lo scudetto a Torino dopo nove anni di assenza, dopo un barlume di speranza che aveva dato al Parma la possibilità di restare in vetta alla classifica per le prime giornate. In quel Parma c’è Stefano Fiore, che debutta nel mese di dicembre del 1994, in un Genoa-Parma che finisce a reti inviolate.

Nevio Scala quell’anno ingaggia un duello su tutti i fronti con la Juventus, perché anche in Coppa Italia le due squadre si ritrovano a battagliare, prima al Delle Alpi e poi al Tardini, per la finale d’andata e di ritorno della competizione di Lega. Porrini e Ravanelli, però, hanno la meglio sul tandem Zola-Branca, con Fiore che gioca da titolare la gara di ritorno e subentra nei minuti finali in quella d’andata. Se sfuma la Coppa Italia, Scala non cede il passo in Coppa Uefa: superato l’Athletic Bilbao agli Ottavi, l’Odense ai Quarti, il Bayer Leverkusen nelle semifinali (con un’andata giocata a Foggia), in finale contro la Juventus il Parma non molla la presa. All’andata finisce 1-0 con rete di Baggio, al ritorno Vialli prova a dire la sua, ma di nuovo il centrocampista ducale chiude la pratica sotto il cielo di Milano, sede scelta dalla Juventus per contrasti con il comune, all’epoca gestore del Delle Alpi. Fiore c’è in entrambe le partite, con una staffetta con Zola nella prima, e a vent’anni porta a casa il suo primo trofeo, che ha un bel peso internazionale.

In quegli anni Fiore viene schierato da centrocampista centrale, sta in mezzo al gioco, smista e pressa, poi lentamente si sposta nel ruolo di mezzala, quando il centrocampo inizia a essere rivisitato in una chiave più moderna. E Fiore risponde proprio alle caratteristiche dei centrocampisti moderni, quelli che sono in grado di spaziare su tutta la linea mediana, andando anche ad affondare sulla trequarti, ricoprendo un ruolo di raccordo con l’attacco: una caratteristica che Fiore ha, perché prima di spostarsi a giocare come esterno destro, qualche anno più avanti nella sua carriera, ricopre anche il ruolo di trequartista e di esterno sinistro, sempre a centrocampo. Se quindi Nevio Scala gli aveva dato la possibilità di inserire nel proprio palmares un trofeo internazionale già a vent’anni, l’anno successivo per trovare maggior minutaggio rispetto alle 20 presenze totali in maglia ducale, delle quali appena 8 in campionato, arriva il prestito al Padova.

Con Nicola Amoruso, Carmine Nunziata, Michel Kreek e Stefano Nava, Fiore scende in campo 24 volte in campionato, trovando anche una rete nel 4-2 che il 28 gennaio stende il Napoli all’Euganeo. Una vittoria vana, perché la squadra veneta termina il campionato all’ultimo posto, con appena 24 punti, tre in meno della Cremonese, e retrocede in Serie B, mentre il Parma si conquista il sesto posto in classifica, a pari punti con la Roma e ad appena una lunghezza dalla Lazio terza. Per Stefano Fiore l’esperienza in maglia biancoscudata finisce dopo una stagione, ma per lui i ducali hanno altri piani: la Serie B la va a giocare comunque, con la maglia del Chievo Verona. Ad allenare i clivensi c’è Alberto Malesani e Fiore va a segno tre volte, di cui una in Coppa Italia. Con le ossa formate e con l’esperienza dalla sua, viene richiamato alla casa madre, a Parma, dove resta per due stagioni, da titolare. Nella prima il Parma prende le misure, arriva nuovamente sesto in classifica e guarda la Juventus di Marcello Lippi vincere lo Scudetto con Inzaghi e Del Piero in attacco, Zidane a supporto.

Nella stagione successiva, però, con Fiore che ritrova Alberto Malesani dopo l’anno insieme al Chievo Verona, il Parma cala l’asso della storia. Nel mercato estivo arrivano Veron e Boghossian, che vanno a comporre la nuova mediana titolare, con Fiore pronto a subentrare. Se il campionato spinge i ducali al quarto posto, con l’accesso alla Champions League, è in Coppa UEFA che Malesani compie una nuova grande cavalcata, ancora oggi nella storia: al debutto arriva la sconfitta con il Fenerbahçe, risultato poi ribaltato al ritorno. Da lì in avanti il cammino è trionfale, perché ai quarti di finale il Parma supera per 6-0 il Bordeaux, poi in semifinale cade anche l’Atletico Madrid. Il 12 maggio del 1999 a Mosca la finale è contro l’Olympique Marsiglia e Malesani riesce ad avere la meglio grazie alle reti di Crespo, Vanoli e Chiesa. È una formazione decisamente fuori dal comune quella che si ritrova ad allenare il tecnico dei ducali: Buffon, Thuram, Sensini, Cannavaro, Fuser, Baggio, Boghossian, Vanoli, Veron, Crespo, Chiesa, con Fiore, Asprilla e Balbo che subentrano a gara in corsa.

Stefano Fiore ParmaGetty Images

Fiore, da protagonista di quella stagione, viene acquistato dall’Udinese, che con Luigi De Canio in panchina lo rende protagonista e titolare inamovibile del suo centrocampo, permettendogli anche di trovare continuità sotto porta: in due anni trova 18 volte il goal, con un totale di 67 presenze in campionato. È a Udine che Fiore diventa un giocatore completo, in un ambiente che gli permette di essere importante. Al termine della prima stagione in maglia bianconera, la Lazio decide di acquistarlo, ma di lasciarlo in prestito al Friuli insieme a Giuliano Giannichedda, in attesa di poterlo portare nella capitale nel 2001. Un acquisto per il futuro, che permette a Dino Zoff di coltivare il talento del giocatore calabrese prima agli Europei del 2000, per i quali Fiore veste la maglia della Nazionale, e poi di traslare tutto in maglia biancoceleste.

Ed è proprio Euro 2000 la competizione che sancisce il debutto in Nazionale per Fiore, che nel periodo da febbraio a giugno si fa le ossa con tre amichevoli contro Svezia, Spagna e Norvegia, di cui solo la prima dice bene agli Azzurri. Poi la corsa al titolo europeo conduce l’Italia fino alla finale, con Fiore che gioca titolare contro la Turchia e il Belgio (gara nella quale va anche a segno), oltre che la semifinale contro i Paesi Bassi, in quella che a oggi è ritenuta essere la partita più sofferta della storia dell’Italia. In finale esce al 53’ e osserva dalla panchina il golden goal di Trezeguet al 103’, che gela l’Italia di Zoff, poi dimissionario dopo le critiche ricevute dal leader politico dell’opposizione e presidente del Milan Silvio Berlusconi.

Quando oggi pensiamo a Stefano Fiore non possiamo non immaginarlo con la maglia della Lazio, dicevamo. A Roma è il 2001, per iniziare a vedere il centrocampista che conosciamo e che si è ritagliato grande spazio nel calcio italiano bisogna attendere l’arrivo di Roberto Mancini in panchina. Nelle due stagioni in cui l’ex attaccante della Sampdoria è sulla panchina della Lazio, i biancocelesti arrivano in semifinale di Coppa UEFA, una competizione che Fiore conosce bene e che ha vinto già due volte nonostante la giovanissima età, e quarta in campionato. Segna 6 reti in 33 presenze e quella qualificazione alla Champions League è anche sua. Nella stagione successiva Mancini porta a Roma la Coppa Italia: Fiore segna la doppietta decisiva contro la Juventus nella gara d’andata e il 2-2 finale di quella di ritorno, superando la squadra di Lippi e portando il trofeo in biancoceleste. Quell’anno diventa anche capocannoniere della Coppa Italia, con sei reti in sette presenze. Con la maglia biancoceleste, nella sua parentesi a Roma, si toglie anche la gioia di andare a segno nel derby contro la Roma nella stagione 2002/03, segnando e poi scatenandosi in una corsa adrenalinica sotto la Curva Nord, facendo esplodere i tifosi.

Poi nell’estate del 2004 termina anche l’idillio con la Lazio: una separazione che spinge Fiore all’estero, chiamato da Claudio Ranieri che prova a costruire una colonia di italiani al Valencia. In quella squadra ci sono Amedeo Carboni, Emiliano Moretti, Bernardo Corradi e Marco Di Vaio. Il primo trofeo che mette in bacheca è la Supercoppa UEFA, battendo il Porto che aveva vinto la Champions League con José Mourinho pochi mesi prima. Per Fiore la scelta è infelice, perché al di là di quella vittoria, gli italiani che decidono di andare in Spagna vengono dimenticati: Fiore manca la convocazione per i Mondiali del 2006 e Lippi gradualmente lo lascia nel dimenticatoio. La sua ultima presenza in Nazionale risale a 20 minuti giocati contro la Slovenia nell’ottobre del 2004, nella seconda gara di qualificazione alla kermesse che poi vede l’Italia trionfare e salire sul tetto del mondo. In Spagna il progetto di Ranieri non trionfa.

“Ho molti rimpianti, primo perché la squadra era molto forte e secondo perché il calcio spagnolo per caratteristiche mi si addiceva parecchio solo che, ahimè, non fu cosa e poi non legai con Ranieri, cosa che può succede nel nostro lavoro” - Fiore a “90min”.

È l’inizio di una parabola discendente nella carriera di Fiore, che viene ceduto in prestito alla Fiorentina. In viola va a giocare da titolare, ritrovando la continuità che gli serviva: oramai la Nazionale è persa, ma in Italia continua a essere decisivo. Segna 6 reti e gioca 38 partite, ma è poi costretto a rientrare al Valencia, con l’accordo per la cessione che sfuma. Gli iberici non lo vogliono più nel progetto e negli ultimi giorni di calciomercato estivo arriva un nuovo prestito, stavolta al Torino. Gioca solo il girone d’andata in maglia granata, perché poi a gennaio si trasferisce al Livorno, fino alla fine della stagione. In estate, una volta tornato al Valencia, riesce a rescindere il proprio contratto con gli iberici e si accorda con il Mantova in Serie B. La stagione non gli regala grandi emozioni, se non per i tre goal che segna: terminato il contratto annuale resta di nuovo svincolato. Dopo un flebile tentativo con il Lecce, che si appresta a giocare in Serie B, Fiore compie una scelta di cuore e di chiudere un cerchio iniziato quando non aveva nemmeno vent’anni: firma un biennale con il Cosenza appena promosso in Prima Divisione, ritornando nella sua Serie C.

In quei due anni diventa il trascinatore di una realtà che sta soffrendo per i numerosi problemi societari e, indossata la fascia da capitano, si fa carico di una rincorsa alla salvezza che non arriva. Segna contro il Pisa, poi col Benevento, siglando il provvisorio vantaggio dei Lupi, poi ancora con il Gela e con il Lanciano. Scende in campo nei play-out con il Viareggio, ma il suo impegno non vale e alla fine il Cosenza retrocedere in Seconda Divisione. Si riparte dalla Serie D e Fiore decide di appendere le scarpe al chiodo, diventando responsabile dell’area tecnica della sua città, per cominciare un nuovo capitolo, una nuova strada. Con una carriera che avrebbe potuto dire di più e un palmares che a oggi, però, farebbe invidia a tanti nel suo ruolo.

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