GOALUna vita nel mondo del calcio vissuta da autentico giramondo, prima nelle vesti di calciatore e poi in quelle di allenatore. Se il pallone ha spesso portato Dan Petrescu lontano dalla sua Bucarest, un filo sottilissimo l’ha viceversa legato all’Italia. Molte delle tappe di un lungo viaggio che ancora sta vivendo, l’hanno condotto a conoscere da vicino il nostro Paese, a volte da avversario, ma per alcuni anni anche da vero e proprio protagonista.
Cresciuto calcisticamente nel vivaio della Steaua, si è affacciato per la prima volta sul palcoscenico del grande calcio nel 1986, quando aveva appena 19 anni. La sua squadra solo un mese prima aveva sorpreso il mondo laureandosi campione d’Europa (fu la prima dell’Europa dell’Est a riuscirci) al termine di una drammatica finale di Coppa Campioni contro il Barcellona, quella nella quale Hemlmuth Duckadam - che da allora sarà per tutti l’’Eroe di Siviglia’ - nel corso della lotteria dei rigori si superò parando tutte e quattro le conclusioni dei giocatori blaugrana.
All’epoca in molti pensarono a quell’exploit come un qualcosa di irripetibile, ma le successive edizioni della massima competizione europea per club avrebbero raccontato un qualcosa di diverso. La squadra della ‘Stella’ riuscirà a spingersi fino alle semifinali nell’edizione 1987-1988 ed un anno dopo farà ancora meglio tornando in finale.
E’ il 24 maggio 1989 quando Dan Petrescu ha il primo contatto con il calcio italiano. Avversario della Steaua in quella finalissima che si giocò al Camp Nou di Barcellona, fu il Milan di Arrigo Sacchi. Quella guidata da Iordanescu era una formazione fortissima che poteva contare su campioni come Stoica, Lacatus ed Hagi, ma i rossoneri di Baresi, Maldini, Donadoni, Rijkaard, Van Basten e Gullit, quelli che in semifinale a Madrid annichilirono il Real con uno storico 5-0, erano un’altra cosa. Sulla carta non doveva esserci storia ed infatti non ci fu: 4-0 con doppiette di Gullit e Van Basten.
“Sacchi era il migliore allenatore al mondo e quello fu forse il miglior Milan di sempre. Noi non giocammo bene, ma penso che anche riuscendo a dare il massimo avremmo perso”.
La delusione è enorme, ma quello che i giocatori della Steaua non possono sapere è che le vite di molti di loro stanno per cambiare per sempre. Da lì a qualche mese la Romania si ribellerà alla dittatura di Ceausescu ed oltre alla libertà arriverà anche la possibilità di lasciare il Paese per trasferirsi nei più ricchi club europei.
Petrescu resterà alla Steaua fino al 1991, fino a quando cioè il calcio italiano torna a fare capolino nel suo destino. E’ già tutto fatto con il Fenerbahçe e si attendono solo i documenti da firmare che sanciscano il trasferimento ad Istanbul, quando si fa avanti il Foggia. Dan, che intanto è già diventato insieme ai vari Hagi, Dumitrescu, Raducioiu, Popescu e Belodedici uno dei rappresentanti di spicco di quella che in Romania viene ricordata come ‘La Generazione d’oro’, non sa nulla del club pugliese, ma c’è il suo agente che sta decidendo per lui.
“Avevo preso anche dei soldi in anticipo dal Fenerbahçe, era tutto fatto. Ero in aeroporto per volare a Istanbul quando arrivarono Giovanni Becali ed il presidente del Foggia, Pasquale Casillo. Ero già stato in Turchia, mi ero anche allenato per otto giorni in attesa che tutto si sistemasse e nel frattempo avevo firmato i miei primi autografi. Avevo preparato tutto per andare al Fenerbahçe, ma mi ritrovai su un aereo privato diretto in Italia”.
Il Foggia è una squadra che ha appena festeggiato il ritorno in Serie A dopo tredici anni di attesa. Il suo gruppo è composto soprattutto da giocatori semisconosciuti e la società, che non può contare su grandi risorse, ha deciso di scovare nell’Europa dell’Est, scandagliando quei mercati all’epoca poco battuti dalle big, gli stranieri che avrebbero garantito il salito di qualità. Con Petrescu arriveranno dalla Russia Kolyvanov e Shalimov, due ragazzi dei quali si sa poco, ma che sono perfetti per ciò che ha in mente il grande architetto di una compagine rimasta a suo modo nella storia: Zdenek Zeman.
Se il romeno deve infatti garantire corsa e dinamicità sull’out di destra, i due russi devono portare qualità e goal. Nessuno dei tre deluderà le attese.

Quello con il calcio italiano sarà un impatto complicato, ma Petrescu si riscoprirà ingranaggio essenziale di quella che ancora oggi è ricordata come Zemanlandia, ovvero semplicemente una delle squadre più belle e rivoluzionarie che si siano mai viste in Serie A.
“Con Zeman ci allenavamo moltissimo. Ho lavorato di più con lui in due anni che in tutto il resto della mia carriera. Se proponessi oggi allenamenti di quel tipo mi caccerebbero dopo tre partite. Non è stato semplice, ho avuto difficoltà anche con il cibo. Ero abituato a mangiare bistecche e patatine fritte e in Italia mi sono ritrovato davanti pasta, insalata ed acqua naturale. Non avevo mai visto cose del genere a tavola, ma poi ho portato queste abitudini anche in Nazionale”.
Non solo metodi di allenamento diversi, a Foggia Petrescu scoprirà anche un modo di giocare che poco aveva a che fare con quello al quale era abituato. Zeman e il suo calcio ultra offensivo si scatenarono sulla Serie A come un qualcosa che non si era mai visto e che mai più si sarebbe visto.
“Non gli interessava la fase difensiva. Ci teneva sul campo quattro ore al giorno, quattro ore nelle quali provavamo solo schemi d’attacco. Ricordo una partita a Bergamo contro l’Atalanta, eravamo avanti 4-1 quando venni espulso al 70’. Ero sotto la doccia quando arrivarono gli altri e non sapevo che intanto la partita era finita 4-4. Non ci si rende conto, andava solo difeso il risultato, ma continuammo ad attaccare”.
Petrescu lascerà il Foggia dopo due annate da protagonista nel 1993 per vivere un'ultima stagione italiana al Genoa, prima di trasferirsi in Inghilterra. Messosi in luce con lo Sheffield Wednesday, nel 1995 si guadagnerà l’interesse del Chelsea.
Quello dei Blues non è ancora il club di Roman Abramovich, ma le ambizioni non mancano. A Londra trova un allenatore che crede fortemente in lui, avvero Glenn Hoddle, e che gli affida fin da subito la proprietà quasi esclusiva della fascia destra. L’anno dopo la squadra viene rafforzata con gli acquisti di Vialli, Di Matteo e Zola e anche con Ruud Gullit nella veste di giocatore/allenatore, per l’esterno romeno le cose non cambiano: tanti minuti in campo impreziositi dal trionfo in FA Cup.
Getty ImagesL’idillio sembra poter continuare a lungo ma per l’’Agente Mulder’ (così era stato soprannominato dai tifosi dei Blues data la sua somiglianza con l’attore che impersonava uno dei protagonisti di X-Files) c’è ancora un pizzico d’Italia a rappresentare l’ennesimo ‘sliding doors’ della sua carriera. Quando Vialli diventa il tecnico del Chelsea per lui le cose cambiano e nell’aprile del 2000 si arriva alla rottura.
Non viene schierato nei quarti di finale di Champions League contro il Barcellona e la cosa non gli va giù, tanto che quando qualche giorno dopo segna in campionato contro il Manchester United decide di non esultare. E’ la goccia che fa traboccare il vaso, da quel momento in poi non verrà più convocato.
“Ogni anno Vialli mi diceva che non avrei giocato, ma io sono sempre rimasto a lottare per il mio posto in squadra. La cosa è andata avanti così per due o tre stagioni, finché non sono arrivato al punto di non poterne più. Non riuscivo a capirlo, quando eravamo compagni di squadra eravamo buoni amici, poi tutto è cambiato. Mi fece male non giocare contro il Barcellona e non ricevere una spiegazione”.
Petrescu ripartirà dal Bradford per poi trasferirsi al Southampton, prima tornare in patria per chiudere la carriera al National Bucarest. A convincerlo ad accettare l’approdo in un’acerrima rivale della sua Steaua è Walter Zenga. Lo conosce bene perché contro di lui ha giocato la prima di 95 partite in Nazionale, oltre che la prima in Serie A, ma anche perché gli ha segnato contro in uno storico Foggia-Inter finito 2-2 (i nerazzurri erano avanti di due reti allo Zaccheria quando mancavano 7’ al termine della sfida).
Il rapporto tra i due si fa fin da subito molto intenso, tanto che Petrescu inizierà la sua carriera da allenatore facendo il vice di Zenga.
Da lì in poi il suo lungo girovagare lo porterà anche in Russia, in Qatar, in Cina e negli Emirati Arabi, prima di tornare in Romania per vincere quattro campionati alla guida del Cluj, club con cui ora sfida la Lazio in Conference League. Una vita da giramondo, fatta di tanti bivi e di tanta Italia.
