
È il 26 luglio 2003 e al Rheinpark Stadion di Vaduz, nel Liechtenstein, l’Italia U19 guidata da Paolo Berrettini si laurea campione d’Europa per la prima e fino ad ora unica volta nella sua storia. Di quella squadra fanno parte anche ragazzi che poi avrebbero avuto carriere molto importanti come Giorgio Chiellini, Alberto Aquilani, Raffaele Palladino e quel Giampaolo Pazzini che con un suo goal metterà la firma nel 2-0 imposto in finale ai pari età del Portogallo.
Dell’undici titolare disegnato quella sera dal commissario tecnico azzurro fa parte anche Damiano Ferronetti, uno dei punti fermi della squadra, un prospetto che nel corso del torneo ha saltato un’unica partita: quella ininfluente con i padroni di casa dei Liechtenstein, valida per l’ultima giornata per la fase a gironi.
Per il resto era sempre stato sempre titolare e con Andrea Mantovani, che di quella rappresentativa era il capitano, è andato a formare una coppia centrale di difesa che rappresenta tra l’altro uno dei grandi punti di forza di quella squadra.
Giocatore molto duttile e dalle qualità importanti, poteva già contare su una discreta esperienza. Cresciuto nel settore giovanile della Roma, era riuscito ad attirare le attenzione di Fabio Capello che, dopo averlo osservato più volte da vicino, lo aveva fatto esordire in Serie A nel corso di un Parma-Roma del novembre del 2002, facendolo entrare in campo in sostituzione di una leggenda giallorossa come Aldair.
Quello che torna da Vaduz con un titolo di Campione d’Europa nel palmares è un ragazzo sul quale sono in molti a scommettere. Ha avuto modo di allenarsi con alcuni dei migliori giocatori al mondo, ovvero quei campioni che sono riusciti a riportare la Roma sul tetto d’Italia, ed ha ampiamente mostrato di saperci fare. E’ insomma uno di quei gioielli sui quali vale la pena lavorare con dedizione, ma è anche un talento che per emergere ha bisogno di quello spazio che un diciottenne solo lontano dalla Capitale può trovare.
È nell’estate del 2003 che si trasferisce insieme a Mantovani ed Aquilani (altro giallorosso che con lui dividerà la casa), due ragazzi con i quali condividerà le gioie di quella storica notte di Vaduz, alla Triestina. E proprio con la maglia deglialabardati, sotto la guida di Attilio Tesser, vivrà una delle più belle stagioni della sua carriera: quella che gli consentirà di acquisire quell’esperienza della quale ha bisogno. Una delle poche che non sarà contraddistinta da problemi fisici.
Purtroppo infatti non si può raccontare il percorso calcistico di Ferronetti senza ricordare la lunghissima serie di infortuni che l’hanno segnato. Quando nell’estate del 2004 passa in compartecipazione al Parma, è da tutti ritenuto uno dei migliori prospetti del calcio italiano. Riesce a ritagliarsi uno spazio importante in Serie A ed esordisce anche in Coppa UEFA, ma l’appuntamento con il destino è già stato fissato. E' il 21 gennaio del 2005 quando è costretto a fare i conti con quello che sarà solo il primo di una lunga serie di lunghi stop: un grave infortunio ad una vertebra pone fine con largo anticipo alla sua prima stagione da protagonista nella massima serie.
GettyÈ da questo momento che la vita calcistica di Ferronetti cambia decisamente volto. Tutti gli allenatori che incontra sulla sua strada, e a Parma vale anche per Beretta e Pioli, vedono in lui un titolare in difesa ma, a causa di forza maggiore, le presenze saranno sempre poche. Il motivo sarà sempre lo stesso, ovvero quello che anni dopo lo costringerà ad appendere presto gli scarpini al chiodo.
“È stata una decisione forzata quella di smettere, per via di tanti infortuni - ha ricordato nel 2018 in un’intervista pubblicata su un ‘Match Program’ della Roma in vista di una gara con l’Udinese - Troppi davvero. Non volevo rassegnarmi, però alla fine c’è stato poco da fare. Una pubalgia cronica e una serie di problemi tutti a un solo ginocchio”.
Sì, perché se il primo grave problema in carriera sarà quello patito alla vertebra, saranno poi le ginocchia, ed il destro in particolare, ad essere martoriate da tanti problemi.
“Nel corso degli anni, ho subìto sei interventi - ha raccontato nella stessa intervista - Tre per il menisco, due volte ai crociati e un’operazione di pulizia. Mi sono sempre rialzato, ogni volta riprendevo e ad un certo punto sono arrivato alle porte della Nazionale, stavo per essere chiamato per uno stage in azzurro. Ma fui costretto a fermarmi pure in quella circostanza”.
Una lunga serie di tornanti e sempre in salita, con poche discese che possano rappresentare dei momenti di sollievo e quindi di continuità calcistica. Nel 2007 si trasferisce all’Udinese, un club al quale resterà per sempre profondamente legato, ma nella stagione 2008/09 sarà costretto a fermarsi già a febbraio e impiegherà tredici mesi prima di rientrare in campo, mentre l’annata 2010/11 la salterà completamente a pié pari.
Quando lascerà nell’estate del 2012 il club friulano, lo farà dopo aver totalizzato appena 68 presenze in cinque anni. Troppo poco per un giocatore nel pieno della maturità che per qualità può sognare l’approdo nel giro della Nazionale maggiore.
Se i minuti in campo sono pochi, gli estimatori comunque non mancano, ed è il Torino a provare ad anticipare tutti e a piazzare uno di quei colpi potenzialmente dalla ‘poca spesa’, ma anche dalla ‘grande resa’. La compagine granata può rappresentare un importante trampolino di lancio, o meglio di rilancio, ma anche questa volta le cose non vanno per il verso giusto. In questo caso gli infortuni non c’entrano e quello che viene a consumarsi è un divorzio reso ancor più clamoroso dal fatto che la stagione non è ancora iniziata.
GettyLascia il ritiro di Sappada e rescinde il contratto che aveva firmato solo pochi giorni prima. C’è chi parla di problemi con Ventura ed il suo staff tecnico, chi di carichi di lavoro troppo pesanti per un giocatore con una ’storia’ come la sua. Le polemiche non mancano e a provare a fare chiarezza è lui stesso nel giorno in cui viene presentato dal Genoa: il suo nuovo club.
“Non c’era sintonia con chi guida la squadra e la società, mi hanno preso senza conoscermi. Avevo firmato un buon contratto di due anni, ma non c’erano i presupposti per andare avanti. Hanno messo in discussione la mia professionalità, ma io non mi sono mai lamentato per i carichi di lavoro. Ho avuto tanti infortuni nella mia carriera e se sono riuscito sempre a rialzarmi è stato proprio grazie alla voglia di lavorare e alla mia costanza. Potevo restare lì a fare il parassita per due anni, ma io non sono fatto così”.
Quella all’ombra della Lanterna sarà la sua ultima avventura in Serie A e sarà scandita da appena quattro presenze e dalla rottura del menisco esterno del ‘solito’ ginocchio destro che lo costringerà ad altri quattro mesi di stop.
Quando tornerà in campo lo farà per vestire la maglia della Ternana in Serie B. Ritroverà in Attilio Tesser un tecnico che lo conosce dai tempi di Trieste e che riesce a recuperarlo al punti di garantirgli tanto campo ed un ruolo importante. La prima annata con le Fere sembra quella del possibile rilancio, la seconda però coinciderà con problemi di pubalgia e con un ennesimo intervento al ginocchio che lo porteranno alla più inevitabile delle scelte: a trentuno anni non ancora compiuti deciderà di ritirarsi.
Ferronetti in realtà tornerà in campo un paio di anni dopo per giocare tra i dilettanti con la Risanese ed il Rivignano, ma ormai le luci dei riflettori del calcio che conta sono lontani.
Il pallone d’altronde ha smesso di essere la parte più importante della sua vita e quello che resta è solo un sentimento fatto di rabbia mista a delusione. La rabbia di chi è stato costretto a confrontarsi con un avversario che si è rivelato imbattibile: la sfortuna.
“Ormai seguo poco il calcio, ho cambiato vita. Mi capita a volte di guardare delle partite in televisione, ma un piccolo magone dentro non mi abbandona. I primi tempi era peggio, ora riesco a gestirlo meglio”.
Lasciato quello che per una vita è stato il suo mondo, Ferronetti ha deciso di dedicarsi a tutt’altro ma, ironia della sorte, è rimasto in un ambito che conosce molto bene. Ha iniziato a lavorare presso uno studio medico da amministratore sanitario, quasi ci fosse da sempre un sottile filo trasparente che lo legasse a quell’ambiente.
La sua è la storia di chi è stato costretto a rialzarsi troppe volte. Così tante che ha visto il suo sogno svanire infortunio dopo infortunio. Per tutti era destinato ad una grande carriera, ma il ‘Dio del calcio’ prima gli ha donato tanto talento e poi gli ha voltato le spalle.
