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Dal miracolo Catania, alla battaglia di Bologna: il Sinisa Mihajlovic allenatore

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Sinisa Mihajlovic allenatore lo è probabilmente sempre stato. Il calcio ha sempre fatto parte della sua vita, fin da quando era bambino, fin da quando ha probabilmente scoperto che in quel suo piede sinistro c’era un qualcosa di speciale.

E’ stato ’tartassando’ il portone del garage di casa, quando c’era ancora la Jugoslavia, che ha capito che poteva mettere il pallone dove voleva e con una potenza inimmaginabile anche per molti ‘grandi’, ma non è stato il fatto di aver avuto un dono prezioso dal ‘Dio del calcio’ e di averlo saputo sfruttare come pochi altri, a spingerlo verso la panchina.

‘Allenatori si nasce e non si diventa’, dice un vecchio adagio, ed il fatto di essere stato un grande calciatore può sì rendere la strada più in discesa, ma non basta. Servono attitudini particolari, serve saper leggere il gioco ed anche quella dose di carattere che ti permette di importi come leader all’interno di uno spogliatoio.

Sinisa Mihajlovic di carattere ne ha sempre avuto tanto (qualcuno direbbe anche troppo), e quindi anche da questo punto di vista non gli è mancata una dote fondamentale per ogni tecnico che si rispetti, ma ad aiutarlo per tutto il resto è stata la possibilità di essere guidato da veri e propri maestri e di aver giocato in più posizioni del campo.

Sebbene non fosse velocissimo nasce terzino (quel sinistro andava sfruttato), ma lasciando la Stella Rossa ed il suo Paese, quando è chiamato a confrontarsi con un calcio più competitivo, viene spostato anche in altre zone del campo. Gioca da anche centrocampista all’occorrenza, ma è con Svern-Goran Eriksson che scopre qual è il suo vero ruolo: il centrale di difesa.

Al tecnico svedese serve per la sua Sampdoria un giocatore capace di far ripartire l’azione e di comandare la retroguardia con personalità e chi quindi meglio di Sinisa, uno capace di servire l’attaccante ‘sui piedi’ con un lancio da cinquanta metri e di farsi rispettare in campo come pochi. Mihajlovic non solo accetta la sfida, ma si rende conto che da lì dietro il tutto assume un contorno diverso. Il campo si vede meglio e si capiscono tante cose: sono fattori fondamentali che daranno un senso diverso ad una carriera, che lo porteranno a vincere tantissimo con Lazio ed Inter, e che di fatto lo indirizzeranno verso la panchina.

Sinisa Mihajlovic inizia la sua avventura da allenatore nel 2006 dopo essersi messo alle spalle 626 partite da professionista e aver segnato qualcosa come 106 goal (un numero enorme per un difensore, figlio del fatto che in pochi nella storia abbiano calciato le punizioni come lui).

A volerlo al suo fianco è Roberto Mancini, che di Mihajlovic è stato compagno di squadra, allenatore e soprattutto amico. Gli riserva un ruolo di tecnico in seconda all’Inter (la sua ultima squadra da calciatore e la prima da allenatore) e la collaborazione frutterà al club nerazzurro due Scudetti ed una Supercoppa Italiana.

Chiusa l’avventura interista con l’avvento di Mourinho all’ombra del Duomo nel 2008, già nel novembre dello stesso anno il Bologna deciderà di puntare su lui per sostituire l’esonerato Arrigoni. L’avventura in rossoblù durerà ventuno partite, il tempo di mettere in cascina venti punti fondamentali per la salvezza, e si concluderà con un esonero e con quello che, allora nessuno può ancora saperlo, è solo un arrivederci.

Nella stagione successiva è chiamato a subentrare ancora in corsa, questa volta a Catania. Il club siciliano gli affida la panchina ad inizio dicembre 2009 per sostituire Atzori e per risollevare una squadra ancorata all’ultimo posto in classifica.

Sinisa Mihajlovic CataniaGetty

All’esordio è subito sconfitta interna contro il Livorno, ma la partita successiva sarà quella che darà il via ad un’incredibile rimonta: 2-1 sul campo della Juventus e prima vittoria etnea a Torino dal 1963.

Il tecnico serbo costruisce una squadra perfetta. C’è tanta argentina nel suo Catania e lui sfrutta la qualità che ha a disposizione come meglio non si potrebbe. La difesa è solida, il gioco è bello e sorprendentemente efficace, ai goal ci pensa Maxi Lopez, mentre Mascara si esalta in quel contesto. Si esalta anche una città intera che vedrà il gruppo etneo scalare pian piano la classifica fino ad issarsi ad un tredicesimo posto figlio di 45 punti totali (36 sono i suoi in 23 partite), che valgono uno storico record in A per il club.

Di Mihajlovic a questo punto si parla come di uno tra i più bravi tecnici emergenti della Serie A e a concedergli la possibilità del salto di qualità è la Fiorentina. A Firenze ci si aspetta tanto da lui, ma il feeling con la città non si viene a creare ed i risultati non si rivelano all’altezza delle aspettative. Aiuterà giovani come Jovetic e Ljajic (in questo caso usando spesso il guanto di ferro da vero sergente qual è) a crescere e a consacrarsi, ma il club vive una fase transitoria, il gioco latita e l’avventura si chiude dopo un anno e mezzo di reciproca sopportazione.

Mihajlovic riparte dunque dalla sua Serbia con l’obiettivo, non centrato, di cogliere una qualificazione per i Mondiali del 2014 e nell’autunno 2013 torna in Italia per legarsi alla ‘sua’ Sampdoria. Con lui alla guida la squadra blucerchiata cambia passo e riesce a salvarsi in maniera tranquilla. Nella stagione successiva le cose vanno ancora meglio, visto che il Doria, dopo aver a lungo veleggiato in piena zona Champions League, chiude al settimo posto.

Mihajlovic sale nuovamente in cima agli indici di gradimento dei club italiani e per una volta nella sua carriera, l’unica, va contro i suoi stessi ideali per approdare finalmente sulla panchina di un top club.

A volerlo è il Milan e lui accetta nonostante un passato interista ed una promessa già volte ribadita.

“Io non allenerò mai il Milan. Sono fatto così, ci sono delle cose nelle quali credo”.

Sbarcato sull’altra sponda dei Navigli le cose non vanno come in casa rossonera in molti si aspettano. Il Milan non è più quello di un tempo ed il raggiungimento della finale di Coppa Italia non basterà per evitare un esonero ad aprile. La finale contro la Juve la vedrà da casa da semplice spettatore e i rossoneri falliranno l’occasione tornare a mettere in bacheca un trofeo.

Sinisa Mihajlovic MilanGetty

La tappa successiva della sua carriera da allenatore sarà rappresentata dal Torino e si chiuderà nel gennaio 2018 dopo un nono posto in classifica ed un esonero arrivato a metà della sua seconda stagione in granata, mentre non è nemmeno catalogabile l’esperienza allo Sporting Lisbona iniziata nell’estate dello stesso anno e chiusasi dopo appena nove giorni.

“Sono stato licenziato senza giusta causa quando il contratto non era neppure iniziato”.

Nel 2019, dopo dieci anni, il suo lungo girovagare lo porterà di nuovo a Bologna. Sostituisce a gennaio Filippo Inzaghi, il tecnico di cui aveva già preso il posto al Milan, esordisce con una vittoria in casa dell’Inter e conduce una squadra che sembrava quasi condannata ad una salvezza con un turno di anticipo.

E’ l’inizio di un rapporto solidissimo che si farà ancora più forte quando nel luglio del 2019 Sinisa Mihajlovic, nel corso di una conferenza stampa, annuncia di aver contratto la leucemia. La forma è acuta, ma le strade del tecnico del club non si dividono.

“Io ho pianto molto in questi giorni, ma l’ho fatto per commozione. Non sono uno che si piange addosso. Nessuno può pensare di essere invincibile e nel momento in cui ho saputo della malattia per me è cambiato tutto. Mai avrei pensato di potermi ammalare”.

Mihajlovic non prende parte al ritiro, ma la squadra è con lui e la città di Bologna fa di tutto per non farlo sentire solo. Il tecnico serbo, nel momento più duro, si riscopre in battaglia con un popolo intero ad aiutarlo.

Sinisa Mihajlovic BolognaGetty

Quando tornerà in panchina quarantaquattro giorni dopo il suo drammatico annuncio per guidare la sua squadra dal campo, è un uomo diverso nel corpo, ma se è possibile ancora più forte nello spirito.

Guiderà i felsinei al dodicesimo posto, nella stagione successiva bissa il risultato e nella quarta la classifica parlerà di una tredicesima posizione. All’ombra delle Due Torri non ha mai fallito l’obiettivo stagionale.

A porre fine alla sua più importante avventura da allenatore, a 1317 giorni dal suo inizio, sarà l’esonero deciso dal club il 6 settembre 2022. La sua ultima partita in panchina resterà uno Spezia-Bologna 2-2.

Da allenatore non ha messo trofei in bacheca, ma la dimostrazione di forza e coraggio che ha dato nello sfidare la malattia senza rinunciare al calcio, vale più di qualsiasi trionfo sul campo.

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