GOALSe di questi tempi l'attenzione è catalizzata dalla favola Beto, dal KFC ai goal in Serie A con la maglia dell'Udinese, il calcio italiano per un buon decennio ha potuto apprezzare le qualità di un altro calciatore brasiliano che ha compiuto un percorso dalle fattezze simili a quello dell'attuale trequartista rossonero.
Il suo nome è AdrianoFerreira Pinto, uno di quelli cresciuti a pane e umiltà e avvicinatisi al calcio quasi per caso quando la vita sembrava avergli riservato altri scenari:
"Fino ai quindici anni ho lavorato con mio padre in campagna, dai quindici ai diciotto in una fabbrica di mattoni. Non avevo proprio il tempo per dedicarmi al calcio e fino a 19 anni non avevo mai giocato in una squadra. Poi feci un provino e sono stato fortunato, perché il mio datore di lavoro mi diede il permesso di andare. Io non volevo, avevo paura di perdere il lavoro. Mi rassicurò che se anche fosse andata male avrei mantenuto il posto". Ha dichiarato a 'GianlucaDiMarzio.com'
Adriano Ferreira Pinto nasce a Quinta do Sol, comune nello stato di Paranà, il 10 dicembre 1979 e il calcio, come detto, viene confinato a semplice hobby per i primi vent'anni della sua vita. Le partite con gli amici nel fine settimana rappresentano un mezzo per accantonare le difficoltà di una quotidianità minata dalla scomparsa del padre quando lui di anni ne aveva soltanto quindici:
"Le preoccupazioni erano tante perché a 15 anni mio padre ci lasciò, la perdita più grande della mia vita. Rimasi con mia madre, mia sorella e mio fratello. Sono stati momenti terribili, ci ho messo un mese a rendermi conto di quello che era successo, poi ho reagito. Non si supera mai ma dovevo farlo per la mia famiglia, da quel momento mantenerli era compito mio".
Lavoro e fatica durante la settimana e svago con il pallone tra i piedi nel weekend. Tutto così semplice, tutto così normale. Ma il destino ha in serbo qualcosa di inaspettato e sorprendente, come tutte le favole che si rispettino. L'occasione si materializza nel 2000 "quasi per scherzo", come tende a sottolineare lo stesso Pinto. Il club paulista dell'União São João gli offre un provino e lui risponde con due palloni infilati in fondo al sacco prima di trovarsi tra le mani una penna con la quale siglare il proverbiale nero su bianco.
La sua storia calcistica ha dunque inizio al terzo piano del calcio verdeoro e l'impatto è devastante: al primo anno in Serie C segna 28 goal in 34 partite attirando su di sè parecchie attenzioni, in patria e non solo.
A fare tremendamente sul serio è lo Standard Liegi che non esita a portarlo subito in Europa ma la famigerata 'saudade' manda tutto all'aria:
"Arrivai in un periodo sbagliato da un punto di vista emotivo, ma anche economico. La mia famiglia era in Brasile e contava su di me. Quando mi trovai lì senza avere lo stretto necessario per vivere allora ne ho risentito psicologicamente. Ci fu poco tempo per studiare e nessuno che potesse aiutarmi. Allora decisi di tornare a casa: non avevo proprio la testa per giocare e dimostrare il mio valore".
Come se non bastasse, al suo rientro in patria, anche l'União gli chiude la porta in faccia:
"L'esperienza mi è servita in negativo e in positivo. Una volta tornato pensavo che ci fosse la possibilità di giocare nuovamente per il mio vecchio club: non fu così. Tornai al lavoro normale, in fabbrica e in quel momento mi resi conto di chi era veramente amico e di chi lo era solo perché facevo il calciatore. Avevo perso la grande opportunità e mi ripromisi che se mai me ne fosse stata concessa un'altra non avrei fallito".
La seconda possibilità, però, busserà presto alla sua porta presentandosi con un biglietto di sola andata con destinazione l'Italia. L'amico Adriano Mezavilla, centrocampista brasiliano con trascorsi nei nostri campionati, all'epoca dei fatti torna in Brasile per ottenere la documentazione necessaria per perfezionare il suo trasferimento al Lanciano. Pinto gli fa avere un dvd con le sue giocate da recapitare al direttore sportivo del club abruzzese Carlo Colacioppo che, una volta presa visione del filmato, lo ricontatta immediatamente:
"Mi chiamò e fissammo un provino che andò discretamente e da lì è nato tutto".
E così nel 2001 inizia la sua lunga carriera italiana con la maglia del Lanciano in Serie C1. Vi rimarrà fino al 2004, realizzando 18 goal in 74 partite.
Dopo tre anni di gavetta al terzo piano del calcio nostrano, Ferreira Pinto sale un altro gradino e firma con il Perugia per disputare il suo primo campionato di Serie B.
In Umbria disputa un grande campionato e i suoi 8 goal - oltre che renderlo il miglior marcatore della squadra allenata da Colantuono - spingono i perugini sino alla finale playoff poi persa contro il Torino.
E' soltanto il primo boccone amaro di un'estate da autentico psicodramma per tutto il popolo biancorosso: nell'anno del centenario, il Perugia sparisce dalle carte geografiche del calcio a causa di una disastrosa situazione economica che sfocia nell'inevitabile fallimento societario.
Ferreira Pinto è di nuovo punto e a capo, senza squadra. Dopo poche settimane si accorda con il Cesena e anche in Riviera si distingue come uno dei migliori elementi presenti in cadetteria dove segna più goal della stagione precedente: 11.
I bianconeri raggiungono i playoff, ma è ancora una volta il Torino a spegnere le velleità di massima serie dell'esterno verdeoro. Tuttavia si tratta soltanto di un appuntamento rimandato.
GettyQuel campionato da protagonista verrà vinto dall'Atalanta del suo mentore Stefano Colantuono. E sarà proprio il tecnico romano a chiamarlo a rapporto l'anno successivo, schiudendogli, all'alba dei 27 anni, le porte della Serie A.
"Ogni giocatore ha un sogno, arrivare al massimo e l'Italia all'epoca era il massimo e io ho, come si dice in questi casi, 'toccato il cielo con un dito'. Avevo fatto la C, la B, mancava la A. Dopo un primo anno di adattamento sono entrato nel cuore dei tifosi bergamaschi e questa città è diventata casa mia".
Dopo un primo campionato di apprendistato, nel quale comunque si guadagna i galloni da titolare, il suo potenziale raggiunge la massima espressione quando al timone dei bergamaschi arriva Luigi Delneri, fautore di un 4-4-2 che punta a valorizzare gli esterni e nel quale Ferreira viaggia a gonfie vele.
La stagione 2007-2008, infatti, è la migliore della sua carriera: segna 4 goal in campionato ma soprattutto conclude il torneo disputando tutti e 38 gli incontri in programma, sempre schierato da titolare nonché unico giocatore di movimento del campionato sempre presente nell'undici iniziale:
"La miglior stagione è stata quella con Del Neri (2007-2008), dove ho fatto 38 partite su 38 dal primo minuto, unico giocatore di movimento. C'era anche Javier Zanetti, ma un paio le fece da subentrato. Una grande soddisfazione per me".
GettyRaggiunto velocemente l'apice, però, inizia la graduale discesa: a marzo 2009 la rottura del legamento crociato lo mette fuori dai giochi per otto interminabili mesi. Al suo rientro in campo, sulla panchina della Dea non c'è più Delneri bensì quell'Antonio Conte che non lo prende quasi mai in considerazione.
Il tecnico leccese si dimette a inizio 2010 e, con l'arrivo di Bortolo Mutti, il brasiliano si riappropria della corsia di destra ma la situazione di classifica della Dea è ormai irreversibile: dopo cinque stagioni consecutive in A gli orobici scendono nuovamente negli inferi della Serie B.
Per l'operazione risalita la famiglia Percassi si affida all'usato sicuro, ossia a Stefano Colantuono, allenatore con il quale Adriano ha sempre brillato, ma nel ritiro estivo il ginocchio operato l'anno prima fa nuovamente crack e arriva un altro stop. Una volta tornato a pieno regime, contribuirà all'immediato ritorno in A dei nerazzurri.
Nonostante la nuova presa di contatto con la Serie A, la sua avventura in quel di Bergamo si avvia verso i titoli di coda: dall'estate del 2011 al gennaio del 2013 gioca appena 7 partite e nel mercato di riparazione matura l'addio: saluta la Città dei Mille dopo 152 partite e 14 goal.
Nella sessione di gennaio viene ceduto a titolo definitivo al Varese, ma dopo una sola stagione in B fa nuovamente le valigie destinazione Serie C dove sottoscrive un contratto di durata annuale con il Lecce. Con i salentini disputa un campionato di alto livello conquistando i playoff ma a sorpresa la società giallorossa decide di non dare continuità al sodalizio.
La mancata conferma è un duro colpo e di chiamate da squadre professionistiche nemmeno l'ombra. A questo punto Adriano decide di far rientro in quella che ormai è diventata la sua Bergamo, deciso più che mai a rimanere aggrappato al suo sogno.
Si allena tutti i giorni da solo, con la voglia di sempre, ma con il desiderio di condividere questa magia con nuovi compagni. E una nuova opportunità si materializza ad una manciata di chilometri da casa:
"Due amici mi hanno presentato Andrea Quaglia, allenatore dei giovanissimi dell'Albinoleffe. Lui, a sua volta, mi ha presentato Marziale Bonasio, il presidente del Ponte San Pietro. A pelle abbiamo avuto subito un gran feeling e mi ha dato la possibilità di giocare per la sua squadra".
Adriano accetta senza remore la nuova sfida chiamata Serie D. Un mondo completamente diverso rispetto a quello che ha conosciuto per oltre un decennio, ma umiltà ed entusiasmo continuano a fare parte del pacchetto facilitandone il suo inserimento. E il resto è storia.
All'imbocco della stagione 2022-2023, Ferreira Pinto è giunto al suo nono anno di militanza con la maglia del Ponte San Pietro, di cui è diventato capitano e nel quale rimane tutt'ora un titolare inamovibile nonostante le 43 primavere sul groppone. E pensare che dodici anni prima era nato tutto quasi per scherzo...


