Festeggiare il compleanno lavorando, lontano centinaia di chilometri da casa e poi scoprire che tra i regali ricevuti, il più bello di tutti è quello che ti sei fatto da solo.
Detta così la cosa assume contorni abbastanza tristi, ma le cose mutano nella forma e nella sostanza se il tuo lavoro è quello di calciatore, se la sede ‘scelta dal calendario’ per festeggiare è San Siro e se il regalo che ti sei fatto è una doppietta contro una squadra che di lì a pochi mesi vincerà prima la Champions League e poi la Coppa Italia: il Milan di Carlo Ancelotti.
E’ il 2 marzo 2003 e Fausto Rossini, nel giorno in cui compie venticinque anni, vive la domenica più indimenticabile della sua carriera e lo fa vestendo la maglia dell’Atalanta, che è più di una seconda pelle per lui.
E’ a Bergamo infatti che si trasferisce quando è poco più di un bambino da Grosseto per formarsi come giocatore. Cresce in un settore giovanile, quello del club orobico, che in quel momento è semplicemente il migliore d’Europa e lo fa sotto lo sguardo attento di Giovanni Vavassori, il tecnico che lo guiderà dalla panchina anche nel giorno di quel suo incredibile venticinquesimo compleanno.
Si impone come uno degli attaccanti più forti d’Italia a livello giovanile, vince un Campionato Primavera con una squadra che, tra gli altri, comprende i vari Pelizzoli, Zenoni, Natali, Bellini, Dalla Bona e Colombo (tutta gente che approderà in Serie A), si spinge fino alla Nazionale Under 21 e si merita anche paragoni importanti: per Mondonico, l’allenatore che lo farà esordire in Serie A, è l’erede naturale di un certo Christian Vieri.
Rossini in realtà certe vette non le toccherà mai, anche perché frenato da una lunga serie di infortuni, ma ad inizio anni 2000 si costruirà una solida fama di attaccante vecchio stampo, un ariete forte di testa, non particolarmente prolifico, ma bravissimo nel reggere sulle sue spalle il peso di un intero reparto, nel far salire la squadra e nel creare spazi per i compagni.
Un giocatore generoso, di quelli che tanto fanno comodo agli allenatori, perché sempre pronti a mettersi a disposizione della squadra, cosa che d’altronde Rossini fa anche per tutta la stagione 2002-2003. L’ha vissuta da titolare inamovibile, agendo da unica punta o da essenziale partner d’attacco per i vari Vugrinec, Pià e Comandini, dando sempre il suo contributo.
Normale dunque che Vavassori, che lo conosce meglio di chiunque altro, decida di non rinunciare a lui in una sfida importante come quella con il Milan. L’Atalanta è reduce da una lunga striscia positiva scandita da ben nove partite senza sconfitte, ma il fatto che pareggi moltissimo e vinca poco, l’ha relegata nelle zone pericolose di classifica. Un’eventuale vittoria a San Siro varrebbe platino dunque, ma degli oltre sessantamila accorsi quella domenica al mitico impianto meneghino, sono in pochi a credere realmente nell’impresa.
In realtà basteranno appena quarantasei secondi per capire che quella che è iniziata alle ore 15,00 agli ordini del signor Farina, non è una gara come tutte le altre: palla rimessa in gioco da Tramezzani direttamente da fallo laterale, Paolo Maldini, uno dei più grandi difensori dell’intera storia del calcio, svirgola malamente in area uno di quei palloni che generalmente controlla anche ad occhi chiusi, e mette incredibilmente alle spalle di Dida. E’ il più clamoroso degli autogoal: Milan-Atalanta 0-1.
GettyCon il passare dei minuti diventa sempre più evidente il fatto che i rossoneri non sono in giornata e al 29’ ci pensa Rossini a confermare le peggiori sensazioni dei tifosi rossoneri: cross dalla destra di Gautieri, il 9 nerazzurro controlla di testa in area, vince un duello con Maldini (che in ogni modo prova a trattenerlo e spostarlo) e con una mezza rovesciata batte Dida. E’ un goal stupendo, di quelli da bomber vero e il Meazza è gelato. Milan-Atalanta 0-2 e non è ancora finita.
Appena un paio di minuti più tardi Cristiano Doni penetra in area rossonera dalla destra e pennella un cross verso il centro dove c’è ancora Rossini che sovrasta Costacurta e di testa trafigge ancora il portiere rossonero. E’ il goal che vale lo 0-3 dopo appena mezzora di gioco, oltre che una splendida doppietta personale.
L’Atalanta si è spinta fino ad un soffio dall’incredibile impresa e Rossini si è regalato il più impensabile dei compleanni, ma proprio nel momento in cui tutto sembra meravigliosamente perfetto, il Milan si ricorda di essere una grande squadra. Prima accorcia con Inzaghi (l’attaccante che proprio Rossini ha sostituito il 15 maggio 1997 nei minuti finali di una sfida con la Roma nel giorno del suo esordio in Serie A), poi fallisce un rigore con Rivaldo (palo alla sinistra di Taibi) e colpisce una traversa con Rui Costa, poi pareggia grazie alle reti di Tomasson e Inzaghi (ancora lui) e sfiora anche il clamoroso sorpasso negato solo dai miracoli di Taibi. Milan-Atalanta 3-3 al termine di 90’ folli.
“Se ci avessero detto prima della partita che avremmo portato a casa un punto, saremmo stati tutti contenti - dirà Rossini dopo il triplice fischio finale - Abbiamo rischiato di portarne a casa tre, ma siamo comunque contenti così”.
Quello che Rossini non può sapere è che non segnerà più nel corso di quel campionato, fermandosi dunque a tre reti in venticinque partite, e che quei punti ‘persi’ a San Siro costeranno carissimo all’Atalanta. La Dea infatti, chiuderà il campionato a quota 38, come Modena, Empoli e Reggina e la classifica avulsa la costringerà ad un doppio spareggio, proprio con i calabresi, che la vedrà sconfitta e retrocessa in Serie B.
Rossini ripartirà dal Bologna (un solo goal in campionato), poi si legherà alla Sampdoria dove si guadagnerà in qualche modo un posto nella storia del club segnando il duemillesimo goal ufficiale dei blucerchiati (due saranno le reti in stagione), all’Udinese (annata senza reti), al Catania (dove di goal ne segnerà solo due, ma uno dei quali decisivo in una sorta di spareggio con il Chievo che varrà la prima storica salvezza degli etnei in Serie A) e poi si trasferirà al Livorno dove, dopo una prima stagione avara di soddisfazioni in A, in Serie B contribuirà all’immediata promozione con sette reti in venticinque partite: mai era andato così tante volte a segno in un torneo.
GettyA trentuno anni, Rossini è ormai un attaccante che ha girato in lungo e in largo l’Italia e che ha già dato il meglio di sé. Chiusa l’avventura a Livorno riceverà offerte dalla Serie C, dalla terza divisione inglese, dagli Stati Uniti, dall’Australia e dalla Corea, ma intanto è diventato padre da poco e non se la sente di allontanarsi troppo da casa.
Dopo sei mesi di inattività proverà a rilanciarsi al Bellinzona in Svizzera, ma un infortunio ad un ginocchio lo costringerà ad un lungo stop, mentre un anno dopo, appenderà gli scarpini al chiodo al termine di un’avventura in Lega Pro al Como giunta al suo capolinea con ampio anticipo nel gennaio del 2011.
A porre fine alla sua carriera sarà un ennesimo infortunio (ancora al ginocchio), ma ad attenderlo ci sarà fin da subito una panchina: quella degli Allievi della Trevigliese.
Come accaduto molti anni prima, Rossini parte ancora dal settore giovanile per regalarsi questa volta una seconda vita nel mondo del calcio, ma nel frattempo molte cose sono cambiate e in un certo modo di fare semplicemente non ci si vede.
“Tornerei solo per allenare una squadra professionistica - ha spiegato nel 2021 a 'SportWeek' - Lo facevo con gli allievi nazionali della Trevigliese, poi ho avuto problemi con i dirigenti, che pretendevano di ordinarmi cosa fare. Ho avuto Prandelli, Vavassori, Novellino, che mi hanno insegnato l’attacco e la difesa. Ma oggi abbassi la testa e obbedisci o non vai avanti. Io non ci stavo e me ne sono andato”.
Rossini ha avuto la forza di mettersi alle spalle quello che per vent’anni è stato un ambiente del quale conosceva fino al più piccolo segreto, per reinventarsi e dare a tutto un senso diverso lontano dal rettangolo verde.
Si è buttato in una nuova avventura e lo ha fatto con la stessa forza con la quale si fiondava sui traversoni che spiovevano in area. Ha messo, almeno per il momento, il pallone in soffitta, per dedicarsi a ciò che in un certo senso c’è di più distante dal calcio: i cosmetici.
“Ricordo che stavo per smettere di giocare perché non ce la facevo più - ha svelato a ‘Il Posticipo’ - La famiglia di mia moglie operava già in questo settore così abbiamo deciso di aprire un ramo tutto nostro dedicato alle mani e alle unghie. Abbiamo cominciato da zero”.
Gli anni delle luci dei riflettori e dei compleanni festeggiati a San Siro sono lontani e le priorità oggi sono altre, ma fondamentalmente tutto sta nel saper leggere nel giusto modo ogni capitolo della propria vita.
“Il mio distacco dal calcio non è stato terrificante. Mi mancano la partita e lo spogliatoio, il gioco e il pubblico. Tutto il resto non mi manca per niente”.
La strada che conduce dai trucchi in area di rigore ai trucchi (nel senso più colorato del termine) non è propriamente di quelle brevi, ma meglio percorrerla tutta per inseguire un sogno condiviso in famiglia, piuttosto che abbassare la testa.
Quella Rossini, in ambito calcistico, ha sempre preferito usarla per fare una sponda o, come successo il 2 marzo del 2003, per mettere la palla in rete.




