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Cristiano Ronaldo darkGetty

Cristiano Ronaldo: come non gestire la fine della carriera di un dio del calcio

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Per nessuna ragione al mondo Cristiano Ronaldo, prima del 20 ottobre di un anno che verrà ricordato come quello d'inizio del definitivo declino di un dio del calcio, era mai stato messo fuori lista da una delle squadre che lo hanno visto protagonista nella sua carriera. Nessuna.

Il solo fatto di ritrovarsi a commentare la scelta del Manchester United di comunicare il suo allontanamento dalla prima squadra in vista della sfida al Chelsea, destinata a segnare uno spartiacque non solo nella storia specifica del portoghese, quanto in quella generale dell'intero sport, rende chiara l'idea dell'importanza del periodo che stiamo vivendo: in poche parole, stiamo assistendo alla fine di una delle esperienze più entusiasmanti che il calcio ci abbia donato negli ultimi decenni. Nella maniera più triste.

C'è di più, comunque, della semplice "ritirata" contro il Tottenham che ha portato alla decisione dei Red Devils di mettere fuori squadra il loro uomo simbolo per eccellenza: c'è innanzitutto un retaggio di quel movimento distruttivo che Cristiano Ronaldo ha messo in atto già dal suo addio alla Juventus, quasi sconfessando i suoi stessi ideali di professionismo.

Perché se la decisione stessa di lasciare il club bianconero, a pochi giorni dalla fine del mercato e con la reale e concreta di possibilità di accettare la proposta del Manchester City, i rivali per eccellenza delle "radici" del portoghese, difficilmente poteva far pensare, poco più di un anno fa, a un netto cambio di rotta di quello che Cristiano Ronaldo ha rappresentato, sempre in termini di "professionista esemplare", nel corso delle stagioni, la stessa scena d'addio, con tanto di "Grazzie a tutti" (con due Z), e tanti problemi arrecati ai bianconeri appare adesso quasi come il preludio di un disastro annunciato.

Cristiano Ronaldo Manchester UnitedGetty

No, nessuno avrebbe mai immaginato di ritrovarsi a osservare un giocatore ridotto a essere l'ombra dell'uomo sorridente che ha sollevato al cielo cinque Palloni d'Oro, riscrivendo i termini della contesa calcistica, fondata sull'etica del lavoro e sulla competizione sempre leale con Lionel Messi, e che negli anni ha ridefinito i concetti stessi di record, come nessuno d'altronde si sarebbe mai aspettato di commentare un Ronaldo con due sole reti siglate alla fine del suo trentasettesimo ottobre. Lui, che poche settimane fa ha raggiunto il traguardo dei 700 goal con i club. A fatica.

Ecco, "a fatica", quindi, gli amanti del calcio si sono ritrovati a dover digerire un Cristiano Ronaldo rimbalzato da questa o l'altra squadra in estate, snobbato persino da Ruben Amorim, che con il "Numero 7 per antonomasia" ha condiviso lo spogliatoio del Portogallo, ma che non avrebbe mai gradito un suo arrivo (ritorno) allo Sporting. E tutto questo, ripetiamo, "a fatica".

"A fatica" si prova dunque a dare una spiegazione realistica a quanto sta accadendo al portoghese, che a fine novembre parteciperà al suo quinto Mondiale e che pochi giorni fa si è classificato ventesimo in quella che potrebbe essere l'ultima lista del Pallone d'Oro. Una sorta di omaggio alla carriera, salvo imprese in Qatar.

"Cerco di vivere e giocare con rispetto nei confronti dei miei colleghi, dei miei avversari e dei miei allenatori: questo non è cambiato. Non sono cambiato".

La "ritirata" prima del fischio finale della sfida contro il Tottenham, un'immagine che lascia poco spazio all'immaginazione, ci permette però di osservare il lato umano di un campione quasi bionico, proteso costantemente al perfezionamento fisico e alla vittoria robotica. Cristiano Ronaldo è un uomo che ha provato a darsi un'altra possibilità in estate, ma a cui il destino sembra aver voltato le spalle, inspiegabilmente.

Cristiano Ronaldo QuotesGOAL

E' un trentasettenne che può dare ancora tanto, tantissimo al calcio (se è vero che l'anagrafica di un calciatore conta meno, nel 2022), ma che si ritrova intrappolato nella sua pesante figura, a pochi mesi dalla fine del contratto che lo lega al Manchester United: il suo più grande errore, forse.

Nella caduta di uno degli dèi calcistici ci si chiede se anche Ralf Rangnick prima ed Erik ten Hag dopo abbiano recitato un ruolo importante, se non decisivo: la risposta è inequivocabilmente affermativa. Perché Ronaldo avrà pure commesso degli errori (due, emblematici, sono sicuramente la scenetta con il tedesco nella gara contro il Brentford della passata stagione e il sorrisetto sarcastico nel corso dell'ultimo derby contro il Manchester City), ma la gestione dei due allenatori è stata talmente drastica da apparire, in alcuni frangenti, quasi una presa di posizione.

"Ho deciso di non inserirlo perché ho grande rispetto per Cristiano e per la sua carriera".

Quella di ten Hag, dopo la clamorosa debacle con i Citizens, è forse la dichiarazione migliore per comprendere quel che sta accadendo intorno a Cristiano Ronaldo: la decisione di non inserirlo sul risultato di 2-0 contro il Tottenham, preferendogli a 5 minuti dalla fine Elanga, ne è la conferma. Bisogna, davvero, credere dunque che il portoghese sia pagando l'estate trascorsa a proporsi a questa o l'altra squadra? Che "per rispetto" non sia stato mandato in campo perché, come nel caso del derby, si sarebbe trattato di un cambio umiliante?

Dove finiscono, quindi, le colpe di Ronaldo e dove iniziano, al contrario, le responsabilità di ten Hag? Dove, in definitiva, si colloca la fine di un dio del calcio? Nel passato, nel presente o in futuro ancora da scrivere? Nel sorriso del portoghese dopo il goal contro l’Everton, dopo essere subentrato a Martial poche settimane fa, o nella fredda espressione di resa che ha caratterizzato le sue ultime stagioni? Il fatto è che, ben al di là delle posizioni assunte (pro o contro), nessuno avrebbe mai voluto assistere a un simile finale di carriera. In attesa di una “Last Dance” che possa riconciliare tutti con l’idea e l’ideale di uno dei più importanti calciatori della storia.

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