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Carlos Vela Selección mexicanaGetty

Carlos Vela, il talento incompiuto a cui non piace il calcio

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“E pensate se gli piacesse il calcio...”. Jesus Ramirez, il “Chucho”, 63 anni, sorride amaro. Sta pensando a uno dei suoi grandi pupilli, con cui nel 2005, in Perú, ha raggiunto l'apice della propria carriera professionale di allenatore: la conquista del Mondiale Under 17 alla guida del Messico. Stella della squadra e capocannoniere di quel torneo: Carlos Vela. Il calciatore a cui il calcio non è mai piaciuto più di tanto. Il talento dei rimpianti, protagonista di una carriera fatta di troppi alti e bassi, di cadute e risalite, complessivamente non all'altezza delle vette che in tanti avevano pronosticato per lui.

Personaggio strano, Vela. Particolare. Un potenziale crack dalle possibilità enormi, ma anche un ragazzo introverso, poco affine alle copertine, non esattamente il prototipo del giocatore moderno. Forse è anche per questo che non ha mai davvero sfondato. Carlos è l'Andre Agassi del pallone: non ama il calcio. O meglio: in campo sta bene, è il suo percorso professionale, ma durante la vita di tutti i giorni non chiedetegli di parlarne o di assistere a una partita in televisione. “Preferisco mille volte guardare l'NBA”, ha detto un paio d'anni fa confermando la propria passione per il basket, sport praticato da ragazzino.

“Sono sincero, la verità è che il calcio non mi ha mai appassionato più di tanto – ha rivelato nel 2014 a 'Canal Plus' – Non sono mai stato tifoso di una squadra. Mi piace il Real Madrid, ma se non vince non è che mi cambi molto. Stare in campo mi piace, però quando termina la partita mi puoi parlare di qualsiasi cosa tranne che di calcio”.

Di Vela si è tornati a parlare a livello globale nel 2019. Alla guida dei LAFC, la seconda squadra - come anno di fondazione, almeno - di Los Angeles dopo i Galaxy, ha stracciato ogni record in MLS, guidando la squadra al primo posto nella stagione regolare e laureandosi capocannoniere con 34 reti, tre in più rispetto al precedente primato stabilito un anno prima da Josef Martinez, l'ex attaccante del Torino. Poi il messicano ne ha timbrate altre due nei playoff, persi però nella finale di Conference contro Seattle. Totale: 36. Una ventina più delle 16 collezionate nel 2013/14 in Liga, il suo career high europeo, giusto per rimanere nel linguaggio cestistico.

Un exploit inatteso, non soltanto perché Vela nell'annata precedente era andato a segno “solo” 14 volte, ma soprattutto perché a 30 anni, scegliendo di concludere la propria carriera negli USA, l'ex bambino prodigio dell'Arsenal pareva aver definitivamente deciso di abbandonare ogni ambizione di copertina. Vivacchiando su un passato felice, a tratti di gioia pura, ma mai davvero proporzionato al talento riversato nei suoi piedi da Madre Natura.

“Tecnicamente era fantastico – ha detto qualche tempo fa a 'Marca' Jens Lehmann, suo ex compagno di squadra all'Arsenal – e tutti potevano prevedere in lui un grande futuro. Solo che la gente diceva: 'Ok, sarà sicuramente una stella del calcio', e a volte questo ti penalizza. Ogni tanto non fa bene a un calciatore sentirsi dire che è molto bravo. Carlos non ha mai concretizzato davvero il proprio potenziale, ed è un peccato, perché aveva tutto. Aveva tecnica, era pericoloso davanti alla porta. Uno come lui avrebbe dovuto giocare nel Real Madrid”.

Lehmann Carlos Vela PSGoal

Lehmann ne parla al passato, ed in effetti è difficile resistere alla tentazione di guardarsi alle spalle quando si pensa a Vela. Guardare al Mondiale di categoria regalato al Messico 16 anni fa, nel quale lui vince la classifica dei cannonieri e il miglior giocatore è un'altra promessa non completamente mantenuta come l'ex viola Anderson. Guardare all'arrivo nel grande calcio per giocare con l'Arsenal, che dopo quel torneo anticipa una folta concorrenza e lo strappa ai Chivas di Guadalajara per due milioni e mezzo di dollari. Guardare a quel che accade in quegli anni, e non è che siano momenti troppo piacevoli, perché Carlos con i Gunners non gioca praticamente mai.

Una serie di ostacoli che ha inizio con le severe leggi sugli extracomunitari presenti in Inghilterra, leggi che non risparmiano nemmeno il calcio e la Premier League. Così Vela deve essere forzatamente sballottato altrove. In Spagna, in particolare. Quella che in breve tempo diventerà la sua seconda casa. Solo che al Salamanca, in Segunda Division, è ancora troppo acerbo per combinare qualcosa: tre presenze, zero reti. Va meglio l'anno dopo all'Osasuna, che al termine di quel 2007/08 si salverà per un punto: 33 e 3.

Quando torna all'Arsenal, vuole giocarsi le proprie carte. Ma la concorrenza è troppa e la voglia di emergere troppo poca. Sono gli anni di Nasri, di van Persie, di Fabregas. Non è più l'Arsenal degli invincibili, ma non è ancora la squadra a volte sgangherata e piena di problemi di oggi. Vela gioca poco e quasi mai riesce a gettare sul campo le tonnellate di talento di cui è in possesso. Fino ad andarsene altre due volte, sempre in prestito: prima al West Bromwich Albion e poi alla Real Sociedad. Che nel 2012, dopo un'ottima stagione da 35 presenze e 12 goal in Liga, decide di acquistarlo a titolo definitivo. Fine del sogno inglese.

“Prima del Mondiale Under 17 del 2005, non ero che un ragazzino che inseguiva il sogno di esordire nella Primera Division messicana e fare qualcosa di buono nel calcio – ha confessato recentemente Vela – Ma poi sono andato a Londra per giocare con l'Arsenal. E non ero pronto. Tutto è accaduto troppo velocemente, ero molto giovane. Per me è stato un periodo molto difficile. Mentalmente non ero preparato per tutto questo”.

All'Arsenal sono poche le serate da salvare veramente. Il 23 settembre del 2008 è una di queste. Terzo turno di League Cup, 6-0 allo Sheffield United, Vela ne fa tre. Il secondo con un tocco sotto sul portiere, tanto pigro all'apparenza quanto geniale nella realtà, che fa venir giù l'Emirates Stadium. Rimarrà un'illusione pura e semplice. Il suo scopritore Francis Cagigao, il capo dell'area scout dell'Arsenal che nel corso degli anni ha scovato gioielli – o potenziali tali – in giro per l'Europa e per il Mondo, ci è andato giù abbastanza pesante al 'The Athletic': “Vela aveva il 100% di talento e lo 0% di attitudine”.

Alla Real Sociedad è tutta un'altra storia. L'anno in prestito a San Sebastian è la luna di miele di un matrimonio felice. Il prestito si trasforma ben presto in acquisizione a titolo definitivo, perché l'Arsenal non vede l'ora di lasciarsi alle spalle quello sbaglio di mercato e la Real di contare sul messicano. Il sodalizio porta frutti maturi praticamente da subito. Vela forma una coppia d'attacco sensazionale con tale Antoine Griezmann, andando costantemente in doppia cifra alla pari del francese. Nel frattempo la Real Sociedad torna in Champions League a 10 anni di distanza dall'ultima volta, quando in campo c'erano Darko Kovacevic e Nihat Kahveçi e i txuri-urdin lottavano alla pari col Real Madrid per il trono della Liga.

“Arrivavo da tre anni a Londra, dove non ero riuscito ad adattarmi – ha raccontato alla rivista GQ – Facevo fatica a fare tutto, non ho grandi ricordi. Volevo andarmene e San Sebastian è stata la mia salvezza. Lì ho cominciato a divertirmi di nuovo. Non sapevo nulla dei Paesi Baschi, ma non ci ho dato troppa importanza. Avevo così tanta voglia di andarmene da Londra che quando è arrivata l'offerta ho detto: 'Mi piace, ci vado'”.

Alla Real Sociedad Vela mette assieme numeri spaventosi per uno come lui, alla prima vera fase di continuità della carriera. 250 sono le presenze complessive in sei stagioni e mezza, 73 i goal. Segna al Barcellona e al Real Madrid, all'Atletico Madrid e nel derby con l'Athletic, e a un certo punto gli danno pure la fascia di capitano. Il suo rendimento si abbassa non tanto dopo la partenza di Griezmann, quanto per un'operazione al menisco che lo tiene lontano dai campi per un paio di mesi all'inizio del 2015.

Idolo della tifoseria, se ne va nel dicembre del 2017, quando è ormai scalato a riserva. L'ultima serata con la maglia della Real Sociedad è un sogno: alla duecentocinquantesima presenza segna una delle tre reti – peraltro l'unica di quella parte d'annata – con cui la squadra di Eusebio Sacristan supera il Siviglia. In un Anoeta illuminato in suo onore, i tifosi espongono uno striscione: “Eskerrik asko”, ovvero, semplicemente, “grazie”. Vela entra in campo con moglie e figlio, riceve l'ovazione della gente, alla fine viene portato in trionfo dai compagni. Tutto perfetto.

Carlos Vela, Real Sociedad,Getty Images

Lo aspetta un'altra sfida affascinante: il Los Angeles FC, pronto per la sua prima partecipazione della MLS dopo essere stato fondato tre anni prima. L'allenatore è Bob Bradley, papà di Michael ed ex commissario tecnico della Nazionale a stelle e strisce, che su di lui ha aspettative leggermente alte, come emerso in un documentario in cui compaiono immagini di una riunione video con la squadra, nella quale l'argomento di discussione è proprio il messicano:

“Con Carlos abbiamo parlato di basket, di Los Angeles, del LAFC. Poi gli ho detto: 'Conosci Messi?'. E lui: 'No'. 'Sul serio, conosci Messi?'. 'Ok, sì'. E così gli ho detto: 'Tu sei qui (alza la mano a mezz'altezza, ndr), sei un grande giocatore, e Messi è un gradino più in alto rispetto a te. Voglio che tu sia forte come Messi'. Forse sarò pazzo, ma credo che questo faccia parte del nostro rapporto”.

Vela non può chiaramente rispettare le irreali aspettative di Bradley, ma non si può nemmeno dire che le tradisca. Anzi. Nell'annata d'esordio in MLS segna 14 volte, il LAFC chiude a un sorprendente terzo posto in Western Conference ma viene poi eliminato al primo turno dei playoff. Il capolavoro si compie nella stagione successiva, quella dell'esplosione. Sono 36 i goal di Vela, che trascina la squadra al primo posto della stagione regolare regalandole la (platonica) MLS Supporters' Shield, ma soprattutto vince la sfida a distanza con Zlatan Ibrahimovic, fermo a 31. Ed è lì che nasce la rivalità con il gigante svedese, che più volte arriva a stuzzicarlo davanti ai giornalisti.

“Ho un grande rispetto per Vela – dice ad esempio Ibra – È un buon giocatore, però voi fate un errore: lo paragonate a me. Ecco qual è il vostro errore più grande”.

Il 25 ottobre 2019 i due si ritrovano uno contro l'altro. Non è la prima volta, però diventa una serata storica. E amarissima per Ibrahimovic. Il Los Angeles FC vince per 5-3 il derby contro i Galaxy e li elimina dai playoff. Vela, manco a dirlo, segna. Non una, ma due volte. Zlatan, che pure il proprio marchio a sua volta lo lascia, esce dal campo toccandosi le parti basse per rispondere alle provocazioni dei tifosi di casa. E al termine della gara, mentre parla alla stampa di un possibile addio agli Stati Uniti, ne ha anche per il messicano:

“Se ho contribuito a creare la rivalità con il LAFC? Li ho resi famosi, no? Ho reso perfino Vela famoso. Per cui dovrebbero essere felici. Immaginatevi se non dovessi più giocare qui”.

Ibrahimovic lascia effettivamente la MLS al termine di quel 2019. E pure Vela rischia di andarsene, una volta chiuso il campionato dei record. Lo reclama la Liga. Lo reclama – squilli di trombe! - addirittura il Barcellona, che già ha pensato a lui qualche mese prima. L'offerta è chiara: contratto valido per metà stagione, fino all'estate. Carlos ci andrebbe, è chiaro, ma il LAFC gli mette i bastoni tra le ruote e non lo lascia partire, frustrando il suo sogno di tornare nel calcio più importante dalla porta principale.

“Il LAFC non mi ha facilitato le cose ed è comprensibile, ognuno cerca il meglio per se stesso. Ci ho provato, non è andata e va bene, non succede nulla. Qui sono più che felice”.

Il vero rimpianto, semmai, è il rapporto piuttosto controverso con la Nazionale messicana. Oltre al trionfo con l'Under 17 c'è di più, molto di più. Nel 2010 Vela e il compagno Efrain Juarez vengono sospesi per sei mesi per un presunto festino a luci rosse in un hotel. Nei mesi seguenti Carlos non viene chiamato, e quando il ct De la Torre decide di bussare alla sua porta trova un muro: io in Nazionale non ci torno. È una vera e propria telenovela, che va avanti per mesi e poi per anni. L'apice dello strappo si raggiunge alla vigilia dei Mondiali del 2014: il Piojo Herrera decide di puntare su di lui per la spedizione brasiliana, ma ancora una volta Vela è irremovibile.

"Il giocatore ha fatto ancora una volta presente – comunica ufficialmente la FMF, la Federazione messicana – di non sentirsi al 100% dal punto di vista mentale ed emotivo per affrontare un impegno come il Mondiale. Per cui il nostro staff tecnico ha deciso di non convocarlo”.

Vela tornerà finalmente a indossare la casacca della Tri dopo i Mondiali, segnando due volte in un'amichevole vinta per 3-2 contro l'Olanda. Perché Carlos è così: quando gli dai fiducia, è spesso capace di lasciare il segno. Lo ha fatto in quel lontano 2005 in Perú, lo ha fatto in Liga, lo ha fatto negli Stati Uniti. Non è Messi e non è nemmeno un gradino sotto l'argentino, come ha sparato Bradley, ma un suo posto nel mondo del pallone se l'è ritagliato. E immaginate se solo gli fosse piaciuto il calcio.

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