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GFX Jorge Caraballo

Caraballo, il ‘Caravaggio’ che non ha dipinto calcio a Pisa: da super flop a tassista

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E’ il calcio di chi vince poco… o non vince mai, quello di chi sa che partecipare ai grandi tornei spetta ad altri, quello di chi si accontenta, quello di chi deve metterci più tenacia perché quelli forti stanno dall’altra parte, quello di coloro che di solito devono recitare il ruolo delle comparse e che sanno di doversi godere il momento.

E’ il calcio di provincia, quello che i campioni possono permettersi di guardare dall’alto in basso, quello utile per far fare le ossa ai talenti delle ‘grandi’ e quello nel quale di soldi ce ne sono pochi ma tanti bastano per andare avanti.

Effettivamente il calcio di provincia è questo, ma è anche molto di più. La provincia, intesa in senso calcistico, è quel luogo nel quale si può ancora parlare di ‘miracoli’ e nel quale un giocatore normalissimo può diventare una leggenda.

E’ il caso, ad esempio, di Jorge Caraballo, un centrocampista uruguaiano al quale sono bastate dodici partite ‘fatte male’, per guadagnarsi l’immortalità calcistica. Questo almeno a Pisa, all’ombra della ‘torre pendente’, dove ancora oggi, a distanza di oltre quarant’anni dal suo arrivo in Italia, è per tutti coloro che hanno i colori nerazzurri nel cuore, una sorta di mito da amare, custodire, coccolare e raccontare a chi non ha avuto la possibilità di vederlo all’opera su un rettangolo verde.

Siamo nel 1982 e il calcio nostrano sta vivendo uno dei momenti più belli della sua storia. I goal di Paolo Rossi, le intuizioni di Bearzot, l’esultanza di Pertini, l’immagine di Zoff con la coppa in mano ed il trionfo della Nazionale Azzurra ai Mondiali, hanno spazzato via le macerie lasciate dallo scandalo del Totonero ed hanno portato una ventata di ottimismo e voglia di stupire.

Il calcio italiano scopre in Spagna di essere migliore di quello che pensava di essere e tutta quella euforia si trasforma in voglia di investire e fare le cose per bene. Si sogna in grande e tra le società che puntano a sorprendere c’è anche il Pisa che, grazie ad un terzo posto ottenuto nella stagione precedente in Serie B, si è guadagnato la possibilità di disputare, per la seconda volta nel dopoguerra, il campionato di Serie A.

Il piano di Romeo Anconetani, altro personaggio leggendario che solo la provincia poteva regalare, è chiaro: affidare la guida tecnica della squadra ad un allenatore esperto, prendere una punta a buon mercato e dall’ottimo potenziale, e soprattutto acquistare due stranieri in grado di fare la differenza.

Marco van Basten Romeo Anconetani Mario BeenTwitter.com

Per la panchina si sceglie dunque Luis Vinicio, che sostituisce Aldo Agroppi. Il giovane tecnico di Piombino ha condotto la squadra ad una storica promozione, ma quello con il suo presidente è stato un rapporto scandito da troppi litigi per poter proseguire (anni dopo rifiuterà un possibile ritorno a Pisa spiegando “Non torno, preferisco vivere”). Per l’attaccante di prospettiva la scelta ricade su Guido Ugolotti, possente centravanti prodotto del vivaio della Roma, mentre per gli stranieri (e lì all’epoca non erano ammessi errori), si punta su Klaus Berggreen e Jorge Caraballo.

Il primo è un esterno offensivo danese che poi si rivelerà essere uno dei giocatori più forti dell’intera storia del Pisa (pagato 270 milioni di lire, verrà venduto per 4 miliardi quattro anni dopo alla Roma), il secondo è un classico ‘numero 10’, che si è fatto le ossa in quella inesauribile fucina di talenti che è il Danubio e che prima di approdare in Italia ha fatto in tempo a condividere il campo con un ragazzino sedicenne che ha iniziato a far parlare di sé e che di lì a qualche anno si trasferirà nel Belpaese per consacrarsi come uno degli attaccanti più forti della sua generazione: Ruben Sosa.

Ad occuparsi dell’operazione Caraballo, ed era una cosa che al Pisa non capitava praticamente mai, non fu Romeo Anconetani (un presidente dal fiuto eccezionale per il talento), bensì suo figlio Adolfo.

E’ già da questo momento che la realtà si intreccia con la leggenda. Una versione della storia racconta che, volato in Sudamerica con l’obiettivo di scovare un talento nascosto, si sia fatto convincere da un tassista di Montevideo ad andare a vedere da vicino un ragazzo di ventitré anni che con il pallone tra i piedi faceva cose incredibili: Caraballo appunto. Suggerimento accolto e accordo per il trasferimento trovato nel giro di un paio di ore.

Lo stesso Adolfo Anconetani però, ha dato una versione molto diversa della vicenda e svelato come a consigliargli quel ‘Carneade’ uruguaiano fosse in realtà stato uno dei più grandi giocatori di ogni tempo.

“Ci venne segnalato da amici di mio padre e anche da Schiaffino - racconterà ai microfoni di ‘Dribbling’, storica trasmissione televisiva della Rai - Ci dissero che poteva fare sia la mezzala che il mediano di regia e che era un po’ lento. Vado a vedere una sua partita e lui fa bene”.

La chiusura dell’operazione viene accolta con grande eccitazione e ad alimentarla ulteriormente ci penserà proprio Adolfo Anconetani che pronuncerà una frase scolpita nella storia del Pisa.

Caraballo è il Caravaggio del pallone: usa i piedi come il pittore usava il pennello”.

Anche il talento uruguaiano si lascia trasportare dalle ali dell’entusiasmo e la cosa lo porta a sbilanciarsi in maniera importante.

“Vedrete, sarò il nuovo Schiaffino. So che in Italia sarà complicato segnare quanto in Uruguay, ma vi farò volare”.

A Luis Vinicio basta poco in realtà per capire che il ragazzo non è pronto. Gli dà spazio in Coppa Italia, ma la fiducia non viene ripagata ed inoltre emerge fin da subito un’amara verità: Caraballo non solo è lento e non particolarmente dotato dal punto di vista tecnico, ma non ha nemmeno quella ‘garra’ che solitamente è propria dei giocatori uruguaiani.

“Una volta Vinicio lo sostituì e lui si mise a piangere ed iniziò a dire che voleva andare via - ha raccontato ancora Adolfo Anconetani - Il suo inserimento fu un disastro”.

Caraballo è insomma un ragazzo troppo chiuso per poter giocare in Serie A. Non esce mai di casa, non riesce ad inserirsi nel gruppo ed anzi sfiora anche la rissa con alcuni compagni, colpevoli di avergli tirato addosso una palla di neve.

Colui che doveva essere il ‘Nuovo Schiaffino’, diventa sempre più un oggetto misterioso. Trascorre le domeniche in panchina e diventa il bersaglio dell’ironia dei pisani che per lui coniano una frase che ancora oggi all’ombra della Torre è di uso ricorrente.

“Caraballo, meglio perdilo 'he trovallo”.

Caraballo diventa sinonimo stesso di inaffidabilità dunque e tra i tifosi nerazzurri si inizia ad insinuare una certezza: “Caraballo, gio'a bene nell'intervallo”.

Il talento uruguaiano che aveva regalato un’estate di sogni, in campo non si vede quasi mai. Vinicio gli concede tre partite da titolare e qualche scampolo per farlo sbloccare, ma i risultati sperati non arrivano.

Il Pisa gioca bene e si porta anche nelle zone altissime di classifica ad inizio stagione, ma quando c’è Caraballo in campo si ha spesso la sensazione di giocare con uno in meno.

Quando ormai le speranze di un suo possibile exploit sono venute meno, il ragazzo però ha uno scatto d’orgoglio. E’ fine marzo ed il Pisa ospita il Bologna nell’andata degli ottavi di finale di Coppa Italia. Quando mancano pochi minuti al termine della sfida, alla compagine toscana viene assegnato un calcio di rigore. La battuta dal dischetto dovrebbe toccare a Berggreen, il miglior giocatore tra tutti i nerazzurri, ma Caraballo fa suo il pallone e non lo lascia più: vuole tirare lui.

Ancora una volta leggenda e realtà diventano un tutt’uno: chi ha assistito alla partita giura di aver visto l’uruguaiano calciare direttamente in curva, in realtà pare che la sfera sia finita docilmente tra le braccia del portiere avversario Zinetti. Quello che è certo è che non ha segnato e che da quel momento in poi non lo si rivedrà mai più in campo con la maglia del Pisa.

Come ogni storia che merita di essere raccontata, anche quella di Caraballo ha un finale memorabile. Il giocatore che era stato accolto in maniera trionfale, saluterà l’Italia senza nemmeno avvertire della sua partenza.

“Andammo in trasferta e Vinicio non lo convoca perché aveva male alla caviglia - ha svelato ancora Adolfo Anconetani a ‘Dribbling’ - Torniamo la domenica sera e la mattina chiamano dicendo che Caraballo non si era presentato all’allenamento. Chiamiamo a casa e niente… . Avevamo un mazzo di chiavi di riserva e una volta arrivati non troviamo più niente, tranne una gabbia sul terrazzo nella quale c’erano polli, piccioni e conigli vivi”.

Di Caraballo si perdono le tracce e, mentre il Pisa si salva centrando uno storico undicesimo posto in campionato, sulle sue sorti si inizia dire di tutto.

Romeo Anconetani definirà “Oscene” le sue uniche sette partite in Serie A, ma la curiosità resta tanta. In un’epoca nella quale non c’è ancora internet, riuscire a capire cosa è stato del ‘Nuovo Schiaffino’ diventa una vera impresa e quindi prendono vita una serie di leggende metropolitane che lo vogliono in Uruguay a fare tutto, tranne ovviamente il calciatore: tassista e camionista sono le professioni più accreditate.

Cercare Caraballo diventa una vera a propria missione e anche il minimo indizio raccolto da chi è volato in Sudamerica anche solo per turismo, diventa oro.

La lunghissima ed estenuante ricerca si chiude solo nel 2019, a trentasei anni dal suo addio all’Italia. A rintracciarlo è l’avvocato Cristina Polimeno che, in occasione di una serata organizzata per rendere omaggio a Romeo Anconetani a vent’anni dalla sua morte, il ‘Galà Romeo 20’, riesce ad ottenere una videointervista che viene curata da Beatriz Rodriguez Varela.

“Sono molto felice di essere stato contattato. Oggi la mia attività principale è essere proprietario di un taxi, ma sono rimasto legato al mondo del calcio perché alleno una squadra locale e ogni tanto gioco, anche se in maniera non professionale. L’avventura al Pisa è stata una delle più belle nel mondo del calcio per me. Sono rimasto legato a Romeo Anconetani, a suo figlio Adolfo e a sua moglie. Anconetani è stato come un papà per me perché ero giovanissimo quando sono venuto in Italia. Non vedo l’ora di tornare”.

L’intervista a Caraballo ha rappresentato il momento più sorprendente dell’intera serata, quello atteso da decenni da tanti tifosi, a dimostrazione del fatto che sul campo avrà anche deluso, ma alla fine un posto nel cuore di tutti è riuscito a guadagnarselo lo stesso.

Il Pisa, nel corso dell’epopea Anconetani, ha accolto grandi giocatori stranieri come il già citato Berggreen, come Kieft (super bomber dell’Ajax campione d’Europa con il PSV e con la Nazionale olandese), come Dunga (che poi vincerà un Mondiale da capitano con il Brasile), come Diego Simeone (una leggenda del calcio argentino) e José Chamot (che vincerà una Champions League con il Milan), ma nessuno si è meritato un posto nella leggenda come Caraballo.

Una cosa del genere è in fondo possibile solo in provincia. E’ lì, dove il calcio è rimasto più semplice e leggero, che uno come Jorge Washington Larrosa Caraballo alla fine ’è comunque sempre meglio trovallo…’.

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