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Fabio Cannavaro Juventus Serie A 30082009Getty

Cannavaro e il ritorno alla Juve: un'avventura fallimentare

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Il primo Fabio Cannavaro alla Juventus è stato amato. Il secondo, invece, no. Un biennio all'insegna della manifesta superiorità, con tanto di Mondiale vinto e conseguente strada spianata verso il Pallone d'oro. Poi, un ritorno pressoché impalpabile, mal digerito dal popolo bianconero.

Nel mezzo tre stagioni trascorse al Real Madrid, nate dall'uragano Calciopoli, che portò l'ex difensore napoletano a lasciare la Vecchia Signora in piena tempesta. Impensabile, per lui, scendere di categoria forte dello status di miglior centrale al mondo. Impensabile, per la Juve, trattenere tutta l'argenteria, con annesso monte ingaggi insostenibile. 

Erano gli anni di Giovanni Cobolli Gigli, Jean Claude Blanc e Alessio Secco. Ma erano soprattutto anni duri per Madama, caratterizzati da una lenta e complicata ricostruzione. Diversi acquisti, tanti sbagliati, con una situazione funesta in termini di bilancio.

Dunque, nel maggio 2009, vinse il partito fondato sul ritorno di Cannavaro sotto la Mole. Nonostante le 35 primavere, nonostante i malumori di una piazza per nulla indulgente nei confronti di coloro che decisero di abbandonare la nave che affondava.

A proposito di filoni nostalgici. Alla ricerca della tanto agognata solidità dirigenziale, quella Juve tentò di far rientrare alla base una leggenda zebrata: Marcello Lippi.

Il viareggino, infatti, incontrò Blanc per valutare la fattibilità di un matrimonio che avrebbe dovuto portare il toscano a ricoprire il ruolo di direttore tecnico. Da questa traccia, quindi, nacque l'accostamento con Cannavaro, una delle colonne della Nazionale guidata proprio dal condottiero di Germania 2006.

Il progetto embrionale preveda che Lippi facesse da supervisore a Ciro Ferrara, mister scelto per portare avanti quanto di buono lasciato da Claudio Ranieri, esonerato poco - o per nulla - elegantemente a due giornate dalla fine del campionato in pienissima zona Champions. 

Tuttavia, per mille motivi, il Marcello tris alla Juve non andò in porto. La fumata bianca con Cannavaro, invece, sì. Un innesto di grido, d'esperienza, e che avrebbe dovuto fungere da vecchio saggio all'interno dello spogliatoio. 

"Tutti sanno perché sono dovuto andare via: era più una questione di stimoli che di altro. A 32 anni avevo ancora poco tempo per giocare a certi livelli e, sicuramente, non me la sentivo di andare un'altra esperienza in Italia. Ho deciso di andare all'estero perché volevo sfruttare gli ultimi anni di carriera al massimo delle mie potenzialità. Se andiamo a vedere l'operazione che fece la Juve, fu un affare buonissimo che portò alla società 10 milioni".

L'inizio fu promettente: quattro vittorie consecutive in campionato, di cui in trasferta contro la Roma, che illuse pesantemente il mondo juventino. In quell'1-3 segnarono Diego (doppietta) e Felipe Melo, volti nuovi di una campagna acquisti apparentemente azzeccata.

Dopodiché, i primi passaggi a vuoto. Dopodiché, una vera e propria crisi. Che portò all'allontamento di Ferrara, sostituito da Zaccheroni. Ma la musica non cambiò, con un spogliatoio rotto e risultati raccapriccianti, sfociati in una cocente umiliazione-eliminazione agli ottavi Europa League. 

In trasferta con il Fulham, infatti, la Juve cadde per 4-1. Una squadra arrendevole, che pochi giorni prima prese tre reti in rimonta dal Siena. E nella capitale inglese, sostanzialmente, andò in scena l'ultimo atto di un progetto allo sbando.

Al Craven Cottage, inoltre, Cannavaro si beccò pure un rosso: ulteriore segnale di una formazione giunta al capolinea. Al termine della stagione, la Signora chiuse al settimo posto. Rendendo pressoché impescindibile e spontanea una rivoluzione societaria, caratterizzata dall'avvento di Andrea Agnelli, che optò immediamente di rifondare l'area sportiva.

Nella vecchia sede di corso Galileo Ferraris, gli uomini mercato della Juve decisero di non esercitare l'opzione legata al rinnovo annuale di Cannavaro, mettendo la parola fine a un secondo atto caratterizzato da 33 presenze. Un quadro malinconico, che portò il campano a lasciare il calcio vero, cedendo alle lusinghe degli Emirati Arabi.

Un'esperienza fredda, la seconda nel capoluogo piemontese, finita rapidamente nel dimenticatoio. Alle volte, si sa, i rientri non sono cosa buona e giusta.

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