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Bora Milutinovic, 'Lo Zingaro' della panchina: 5 Mondiali con 5 Nazionali diverse

"Non sono mai stato campione del Mondo, ma dentro di me mi sento campione. Perché ho raggiunto livelli mai toccati prima e dopo. Sono felice così".

Ha sempre amato viaggiare per conoscere altri Paesi, nuovi popoli e nuove culture. Oltre, naturalmente, al gioco del calcio. Parla ben 5 lingue: serbo, inglese, italiano, francese e spagnolo, più, come precisa lui, "qualche parola di russo e di mandarino". E ha sempre avuto il gusto per le imprese impossibili.

Basterebbe questo per capire che Bora Milutinovic, 'Lo Zingaro' della panchina, da intendersi come 'tecnico giramondo', è un personaggio unico nella storia del calcio, se non fosse che l'allenatore serbo detiene anche un primato invidiabile: è riuscito infatti a partecipare ai Mondiali di calcio con 5 Nazionali diverse, record che spartisce con il collega brasiliano Carlos Alberto Parreira.

LE ORIGINI E L'ESPERIENZA DA CALCIATORE

Velibor Milutinovic, da tutti noto semplicemente come 'Bora', è nato a Bajina Basta, nell'attuale Serbia Nord-occidentale, ma all'epoca Jugoslavia, il 7 settembre di una data incerta: lui sostiene il 1944, ma sembra che l'anno più attendibile sia il 1940 e ci sono anche altre ipotesi.

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"Nessuno sa di preciso quando sono nato - afferma nel 2002 parlando con Matteo Bruschetta nel libro 'I Mondiali dei vinti' -. Nel 1939, nel 1940 o nel 1944? Dipende da chi me lo chiede".

La vita rende l'infanzia di Bora molto dura. Suo padre Orzad, infatti, muore nel corso della Seconda Guerra Mondiale, mentre la madre Darinka morirà di tubercolosi poco dopo il conflitto quando aveva sei anni. Rimasto orfano dei suoi genitori, Bora cresce dagli zii assieme alla sorella e ai suoi fratelli maggiori Milorad e Milos.

"Viaggiare è sempre stato nel mio destino. Assieme a mia sorella Milena e ai miei fratelli Milos e Milorad - racconterà -, sono andato a vivere da zio Milan e zia Draga a Bor, una città a 40 chilometri dal confine con Bulgaria e Romania, che aveva una delle più grandi miniere di rame d’Europa. Zio Milan era fornaio, dunque il pane in tavola non è mai mancato".

Entrambi appassionati di calcio, Milorad e Milos si affermeranno nel Partizan Belgrado e diventeranno i modelli di riferimento di Bora, che dopo esperienze nel Bor e nell'OFK, li raggiungerà nella squadra bianconera. I tre fratelli Milutinovic diventano così leggendari in Jugoslavia.

"Se mi volto indietro, nella mia infanzia, vedo solo gli scacchi e il pallone - dirà più volte il giovane di casa -. Giocavamo per strada, usando un pallone fatto con vescica di maiale, soffiata e riempita all’interno di un calzino. I miei modelli erano i miei fratelli, che giocavano nel Partizan Belgrado, la migliore squadra dei Balcani".

Per il resto Bora, come tutti i bambini jugoslavi, riceve una ferrea educazione socialista.

"Sono un pioniere di Tito - affermava spesso -, allora dovevamo ricostruire la Jugoslavia".

In campo, quando diventa un calciatore, è un interno di centrocampo intelligente ma non particolarmente dotato sul piano tecnico.

"Assomigliavo al Trap", dichiarerà.

Il più bravo in famiglia è suo fratello Milos. Lo chiamano 'Plava čigra' (il cicalino biondo) e su di lui mette gli occhi addirittura il mitico presidente del Real Madrid, Santiago Bernabeu.

"Lo vide al Mondiale 1958 in Svezia - ricorderà Bora -, dove la Jugoslavia arrivò ai quarti, ma allora non ti lasciavano espatriare".

Non andrà ai Blancos, ma farà comunque una bella carriera fra Bayern, Racing Parigi e Stade Français. Anche il buon Bora, dopo un'infanzia complicata e vissuta in miseria, farà comunque le sue esperienze fuori dal Paese con il Winterthur in Svizzera, e Monaco, Nizza e Rouen in Francia.

Dopo aver vinto 3 Scudetti jugoslavi con il Partizan, un campionato francese di Seconda Divisione con il Nizza e la Supercoppa di Francia, ecco la prima scelta 'esotica' della sua carriera, ma indiscutibilmente vincente: nel 1972 il serbo vola in Messico per giocare con i Pumas UNAM. Città del Messico segna la svolta della sua carriera calcistica e della sua vita.

MESSICO E NUVOLE

Bora Milutinovic nella sua militanza nel club dell'Università autonoma della capitale, dove nel 1968 era scoppiata la rivolta studentesca, repressa nel sangue con il massacro di Tlatelolco a Plaza de las Tres Culturas, nel quale rimase ferita anche la giornalista italiana Oriana Fallaci, si innamora follemente del Messico e della sua cultura.

Dopo 4 anni da calciatore, con 12 goal realizzati in 96 presenze, inizia infatti con i Pumas UNAM anche la sua seconda vita da allenatore nel 1977. Oltre a questo conosce e si innamora della donna della sua vita, Maria del Carmen Méndez, benestante e figlia di un ricco possidente.

Dopo averla sposata nei primi anni Ottanta, gli sarà attribuito uno dei suoi aforismi più celebri.

"Non è una colpa nascere poveri, è una colpa sposare una donna povera", o, secondo altre versioni, "avere un suocero povero".

Bora tenterà di smentirla, attribuendo il tutto a un fraintendimento di Bruno Pizzul.

"Nel 1985 giocammo un’amichevole Messico-Italia - racconterà Milutinovic -. Dopo l’incontro invitai Bruno Pizzul da me. Lui rimase impressionato dalla bellezza della casa. Ci trasferimmo poi da mia cognata che pure ha una villa. Così Pizzul mi attribuì quella frase, che in realtà non ho mai pronunciato. E che mi è rimasta addosso".

Fatto sta che proprio grazie all'agiatezza economica acquisita può permettersi di dedicarsi a tempo pieno alla carriera da allenatore e, successivamente, prendere anch'egli la nazionalità messicana.

I risultati in panchina saranno per lui subito importanti. Vince nel 1977 e nel 1981 lo Scudetto messicano, nel 1980 la Coppa dei Campioni della CONCACAF, battendo nel girone finale l'UNAH (Universidad Nacional Autonoma de Honduras) e lo Sport Vereniging Robin Hood del Suriname.

Sempre nel 1980 completa il ciclo con la vittoria della Coppa Interamericana, un trionfo di grande prestigio che arriva battendo 2-1 nello spareggio gli uruguayani del Nacional de Montevideo a Los Angeles dopo un doppio 3-1 per parte fra andata e ritorno. Quella squadra ha due giocatori che eccellono per il loro valore: si tratta dei due giovani attaccanti, il centravanti Hugo Sánchez e il suo partner d'attacco Alvaro Negrete. Se ne sentirà parlare.

Sulla scia di questi successi a livello di club nel 1983 Bora Milutinovic diventa Commissario tecnico della Nazionale messicana, che nel 1986 ospiterà i Mondiali. Ammesso di diritto alla fase finale come Paese ospitante, 'El Tricolor' sorprenderà tutti.

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La squadra di Milutinovic, inserita nel Gruppo B, batte 2-1 il Belgio all'esordio (reti di Quirarte e Hugo Sánchez) e pareggia 1-1 il secondo match con il Paraguay (goal di Romerito nel finale). La qualificazione agli ottavi di finale arriva battendo quindi l'Iraq 1-0 nella terza gara con un guizzo di Quirarte.

La classifica recita Messico primo con 5 punti, Paraguay secondo con 4 e Belgio terzo con 3, tutti ammessi alla fase ad eliminazione diretta. Agli ottavi 'El Tricolor' è opposto alla Bulgaria, terza nel Gruppo A, quello di Argentina e Italia.

I padroni di casa nel mitico Stadio Azteca danno spettacolo, e con un netto 2-0, che arriva con una sforbiciata spettacolare di Negrete e un goal di Servín, eguagliano il miglior risultato di sempre della loro storia, ottenuto nell'edizione casalinga del 1970, e si qualificano ai quarti di finale.

La sfida con la Germania Ovest di Franz Beckenbauer all'Estadio Universitario di San Nicolás de los Garza si chiude sullo 0-0 dopo i tempi supplementari, e sono necessari i calci di rigore per decidere chi fra le due squadre accederà alle semifinali. I tiri dal dischetto premiano però i tedeschi, che si impongono 4-1 e fanno finire il sogno messicano. Ma tutto il Messico e i suoi tifosi sono ai piedi del Ct. serbo per la bella impresa.

"Lanciai Hugo Sanchez, Negrete, Campos… Che soddisfazione vedere i miei giocatori, cresciuti lì da ragazzini, arrivare a ottimi livelli in grandi squadre. È un altro modo per definire le vittorie".
"Durante il torneo, il giorno prima della partita contro l’Iraq, nacque anche mia figlia Darinka- ricorderà Milutinovic -. Il governo messicano mi ha premiato con l’Aguila Azteca, il massimo onore per uno straniero, solo due sportivi prima di me avevano ottenuto quel riconoscimento. La più grande soddisfazione fu però le duemila persone che vennero a salutarmi all’aeroporto il giorno del mio addio. Piangevano tutti e scappò qualche lacrima anche a me".
"Con il Messico, nel 1986, entrammo fra le prime 8 dei Mondiali - ricorderà spesso a chi gli chiede conto di un palmarès scarno - perdendo ai quarti ai rigori con la Germania Ovest finalista. Ma i Pumas sono stati la miglior squadra che ho guidato, le squadre le fanno i giocatori".
"L’obbligo del tecnico - affermerà l'allenatore serbo - è circondarsi dei migliori e intuire. Il calcio è come gli scacchi: devi prevenire le mosse dell'altro, vedere oltre, leggere le giocate altrui... Anticipare, insomma".

Ottenuta la gloria ai Mondiali del 1986, Bora non si siederà sugli allori, avviando quella che sarà una carriera leggendaria da tecnico giramondo.

DALL'UDINESE AL COSTA RICA

Dopo i Mondiali '86, rassegnate le dimissioni da Ct., Milutinovic inizia dunque il suo giro del Mondo calcistico: San Lorenzo de Almagro (allenando, fra gli altri, il portiere paraguayano Chilavert) in Argentina, di nuovo Messico con Veracruz e Tecos, quindi Udinese in Italia, prima di diventare Ct. del Costa Rica e accettare un altro compito improbo, quello di provare a condurre i Ticos ai Mondiali di Italia '90.

"Andai a guidare la squadra di Papa Francesco, è il massimo - ricorderà a 'La Gazzetta dello Sport' -, tutto lì ruota attorno al pallone e alla passione".

A metà ottobre 1987 dice sì all'offerta del patron Giampaolo Pozzo di guidare l'Udinese in Serie B, dopo l'esonero di Massimo Giacomini. Milutinovic diventa il Direttore tecnico dei friulani, con Marino Lombardo come allenatore di campo.

La squadra, con lui al timone, ha due volti: molto bene in casa, dove ottiene 3 vittorie di fila su Piacenza, Barletta e Parma, male fuori, con 3 k.o. di misura con Triestina, Genoa e Catanzaro. Fra fine novembre e inizio dicembre il crollo, con tre sconfitte consecutive con l'Atalanta in casa, il Brescia e il Lecce in trasferta.

Visto un bilancio deficitario di 6 sconfitte e 3 vittorie in 9 gare, Pozzo lo solleva dall'incarico, chiamando al suo posto fino al termine della stagione Nedo Sonetti.

"Eravamo in B - racconterà a 'La Gazzetta dello Sport' -, marcavano ancora a uomo, e Davide Fontolan era infortunato. Non riuscii a cambiare quella filosofia e Pozzo mi licenziò dopo poche gare".

Ma Milutinovic si rifarà presto con gli interessi. Nell'aprile del 1990, infatti, fedele alla sua fama di 'Zingaro' della panchina, accetta una proposta che più esotica non si può, ma, che, evidentemente, lo stimola tantissimo. La Federcalcio del Costa Rica gli offre la panchina della Nazionale centroamericana, che si è appena qualificata ai Mondiali di Italia '90.

Bora firma un accordo di 3 mesi a 30 mila dollari di ingaggio complessivo, tanti secondo i dirigenti della Federazione, visto che il Presidente della Repubblica nel Paese ne guadagna 150 mila all’anno, e sufficienti per creare fra i tifosi un ambiente scettico attorno alla Nazionale.

"L’opinione pubblica mi accolse male perché esclusi dai convocati alcuni senatori - racconterà a Matteo Bruschetta nel libro 'I Mondiali dei vinti' -. A me non è mai importato essere popolare quando arrivavo, ma quando me ne andavo. Il calcio è un po’ come un circo, ci sono i pagliacci e i maghi. Prima di Italia ’90 in Costa Rica ero un pagliaccio, dopo ero diventato un mago".

E pensare che una volta giunti nella penisola l'esordio non è entusiasmante. Il Costa Rica, che ha in rosa pochi professionisti e diversi dilettanti, perde infatti 2-1 in amichevole contro la Lazio. Invece, inseriti nel Girone C, apparentemente proibitivo con Brasile, Scozia e Svezia, i Ticos compiono l'impresa e ottengono la qualificazione agli ottavi di finale.

L'esordio allo Stadio Luigi Ferraris di Genova, l'11 giugno del 1990, è da brividi. I centroamericani superano infatti di misura la favorita Scozia. Tengono bene definitivamente, anche grazie alle parate del portiere Luis Gabelo Conejo, determinante con un salvataggio d'istinto su Mo Johnston al 65', e trafiggono la retroguardia avversaria con Juan Cayasso, centrocampista del Saprissa e fra le stelle della squadra.

Finisce 1-0 e il risultato lancia il Costa Rica in vetta alla classifica del Girone, a pari merito con la Seleção, vittoriosa a sua volta per 2-1 sulla Svezia grazie ad una doppietta di Antonio Careca.

La notte mille persone festanti aspettano il rientro dei centroamericani nel ritiro di Mondovì con bandiere e cori, mentre a San José, la capitale del Paese, tutti scendono in piazza, compreso il presidente della Repubblica, Calderon Fournier.

L'asticella si alza alla seconda giornata, dato che il 16 giugno del 1990, al Delle Alpi di Torino, la squadra di Milutinovic affronta il Brasile di Lazaroni, fra le favorite alla vigilia per la vittoria finale.

Un piccolo giallo accade prima dell'inizio della partita: il Costa Rica dovrebbe infatti scendere in campo con la terza maglia, ma la squadra, griffata Lotto, ne era sprovvista.

"Io avevo comprato le scarpe da calcio per tutti, mia moglie Maria al ristorante pagava i conti della squadra. La Federazione non aveva i soldi per far realizzare la terza maglia - spiegherà molti anni dopo Milutinovic a 'Il Corriere dello Sport' -, sarebbe dovuta essere bianconera a strisce verticali, come il 'mio' Partizan. Allora chiamai la segretaria di Montezemolo, una donna magnifica, e lui mi fece contattare da Boniperti. Fu meraviglioso: Giampiero mi fece arrivare 44 maglie bianconere e con quelle giocammo contro il Brasile. Mi ricordo, entrando nello stadio, che tutti gridavano: 'Juve! Juve!'. E qualcuno si montò la testa...".

Forse anche grazie alla trovata cromatica il Costa Rica tiene botta al quotato avversario e alla fine perde solo di misura.

Costa Rica 1990 Copa do Mundo 08 11 2017
"Quando entrammo in campo contro il Brasile tutto lo stadio era con noi - dirà Bora di quella sera a 'La Gazzetta dello Sport' -. Prendemmo solo un goal, segnato da Müller".
"Dopo la partita - rivelerà 'Lo Zingaro' Millutinovic a 'La Repubblica' - andammo comunque tutti in pellegrinaggio a Superga: il Grande Torino doveva essere onorato".

La terza gara è un vero spareggio per i Ticos, che affrontano la Svezia al Ferraris di Genova il 20 giugno. Solo i verdeoro sono certi della qualificazione a quota 4 punti, mentre in lizza per il passaggio del turno ci sono anche gli scandinavi, in quel momento ultimi ancora a quota zero, e soprattutto la Scozia, che ha vinto 2-1 lo scontro diretto con questi ultimi.

Di fatto tutto è ancora aperto e il primo tempo sorride ai gialloblù di Olle Nordin, che conducono 1-0 con rete di Jonny Ekström. Ma nel corso della ripresa le mosse del Ct. Milutinovic si riveleranno vincenti.

All'ora di gioco, infatti, Bora richiama in panchina Roger Gomez e getta nella mischia Hernan Medford, uno dei pochi professionisti del gruppo, che milita anche lui nel Saprissa. E la partita cambia. 'Il Pellicano', come viene soprannominato in patria, parte dalla fascia per accentrarsi ed è in una di quelle giornate in cui per gli avversari risulta imprendibile.

Al 75' una delle sue accelerazioni palla al piede produce il calcio di punizione dal quale arriva l'1-1: battuta di Cayasso per il colpo di testa vincente di Flores. Nel finale, poi, il capolavoro: con la Svezia riversata in attacco alla ricerca della vittoria, Medford si invola in contropiede, buca la difesa scandinava con la sua velocità e batte Ravelli.

Il capolavoro di Milutinovic è servito: 2-1 per il piccolo Costa Rica e storica qualificazione agli ottavi di finale (resterà a lungo il miglior risultato di sempre della Nazionale centroamericana in un Mondiale, battuto soltanto nel 2014 in Brasile con il raggiungimento dei quarti).

Pazienza se poi agli ottavi contro la Cecoslovacchia i Ticos vengono travolti 4-1 e la favola finisca. Il Ct. Venglos ringrazia le palle alte e il gigante Thomas Skuhravy, autore di una tripletta, che poi approderà anche in Italia in forza al Genoa. Al ritorno a San José, Bora Milutinovic e i 22 componenti della rosa saranno accolti come eroi.

"Negli ottavi a Bari la Cecoslovacchia ci batte 4-1 - dirà il carismatico Ct a 'La Gazzetta dello Sport' -, ma torniamo a casa da eroi e il pagliaccio è ora un mago”.

GLI ANNI NOVANTA: DAGLI USA ALLA NIGERIA

L'impresa con i Ticos a Italia '90 vale a Milutinovic una nuova chiamata avvincente: stavolta ad affidarsi al serbo sono gli Stati Uniti, che nel 1994 ospitano i Mondiali.

"La loro prima scelta era Franz Beckenbauer - rivelerà Bora - , l’allenatore Campione del Mondo con la Germania Ovest. 'Il Kaiser' rifiutò e, quando Henry Kissinger (il segretario di Stato americano, ndr) gli chiese un suggerimento, Franz fece il mio nome".
"Quando fui incaricato di guidare la Nazionale americana, il soccer negli USA non era popolare, dovevo partire da zero e scovai diversi giocatori nelle università, come Cobi Jones a UCLA o Alexi Lalas a Rutgers".
"Lalas - ricorderà Bora - aveva una lunga chioma di capelli rossi e la prima cosa che gli dissi fu di tagliarsi i capelli: 'Ci sono i ragazzi che ti guardano in tv e dobbiamo dare il buon esempio’. All'inizio protestò, poi capì. Non ero un tipo militaresco, volevo solo testare i miei calciatori e trovai un gruppo disposto a tutto".

Da cui un'altra delle sue celebri massime:

"Ho sempre creduto nel dialogo. È sempre stato il mio metodo: l'allenatore come una figura paterna e uno psicologo".
"È fondamentale motivare i giocatori - spiega ancora Milutinovic -, io usavo i film. Ai messicani mostrai Rocky; agli americani la biografia di John Wooden, il mitico coach di Ucla. Funzionò. In Costarica invece fu un’esperienza diversa. Un giorno dissi ai ragazzi: 'le partite sono battaglie'. Il mio vice si avvicinò e mi disse: ‘Mister, guardi che qui non c’è l’esercito'. Insomma, devi conoscere il Paese dove lavori".

Gli Stati Uniti, sotto la sua guida, vincono subito una Gold Gup nel 1991: gli americani in finale hanno la meglio ai calci di rigore per 4-3 sull'Honduras. Ai Mondiali '94 logico che le aspettative siano molto alte. Inseriti nel Gruppo A, gli USA pareggiano la gara inaugurale con la Svizzera (1-1), poi a Pasadena, il 22 giugno 1994, nella gara tristemente passata alla storia per l'autorete che costerà la vita ad Andrés Escobar, si superano e battono 2-1 la Colombia.

La qualificazione è in tasca e arriva nonostante una sconfitta di misura (0-1) con la Romania. Ma agli ottavi gli americani pescano il Brasile, non proprio un cliente comodo: la squadra guidata da Carlos Alberto Parreira, in un match che si rivela comunque scorbutico, a lungo inchiodato sullo 0-0, si impone di misura con un goal di Bebeto, ponendo fine al sogno a stelle e strisce di Bora.

Per Milutinovic è comunque il terzo Mondiale con tre Nazionali diverse. E nel 1998, dopo due anni nuovamente alla guida del Messico, con cui vince una seconda Gold Cup nel 1996 (2-0 sul Brasile in finale) e ottiene un terzo posto nella Copa America 1997, arriva anche il quarto: ad affidarsi al serbo giramondo pochi mesi prima di Francia '98 è stavolta la Federcalcio nigeriana.

Garba Lawal and Bora MilutinovicAlexander Hassenstein/Bongarts/Getty Images

La Nigeria ha bisogno di un condottiero che metta un po' d'ordine in una squadra ricca di prime donne: ci sono Jay-Jay Okocha, Babayaro, West, Okpara, Oliseh, Kanu, Amokachi, Babangida, Finidi e Ikpeba, solo per citare i nomi più noti.

Inserite nel Gruppo D, le Super Aquile partono con il botto, e battono in una partita epica per 3-2 la Spagna. Segnano Adepoju e Oliseh, in mezzo l'autugoal di Zubizarretta. Non bastano alle Furie Rosse i punti di Hierro e Raúl.

Nella seconda partita, ecco il contraccolpo: gli africani cedono 1-3 al Paraguay (goal di Oruma per i biancoverdi). Decisiva per il passaggio del turno è allora il 19 giugno 1998 la gara con la Bulgaria: le Super Aquile passano per 1-0 e volano agli ottavi addirittura come prime nel Girone precedendo la Albirroja.

Milutinovic, ancora una volta, approda agli ottavi di finale: è la quarta volta su quattro partecipazioni ai Mondiali con quattro Nazionali differenti. La partita con la Danimarca appare tutt'altro che impossibile, ma sul più bello ancora una volta la Nigeria si sgretola e tornano a prevalere le tante individualità.

I danesi, trascinati dai fratelli Laudrup, vanno sul 2-0 dopo 12 minuti, e nella ripresa incrementano il vantaggio portandosi sul 4-0. Solo sotto di 4 reti gli africani si svegliano e firmano il goal della bandiera con Babangida. Allo Stade de France di Parigi finisce 4-1 per la Danimarca, risultato che segna un'eliminazione molto amara.

"Il gruppo era il meno unito fra quelli che ho guidato - racconterà Milutinovic -, in ritiro giravano troppi dirigenti, stregoni e personaggi loschi. Negli ottavi contro la Danimarca tutti pensavano sarebbe stata una passeggiata. Dopo 12′ invece eravamo già sotto 2-0, la troppa sicurezza ci giocò un brutto scherzo e siamo stati sconfitti 4-1. Un vero peccato, è stata l’unica volta in cui pensavo di avere chances di alzare la Coppa".

CON LA CINA PER IL RECORD

Ma quella di Bora in panchina è quasi una missione e non c'è tempo per fermarsi: torna così negli Stati Uniti per guidare i MetroStars di New York nei playoff MLS. Ma la squadra, precedentemente allenata dallo spagnolo Alfonso Mondelo, è eliminata al Primo turno dai Columbus Crew (sconfitta per 5-3 all'andata, pareggio 1-1 al ritorno).

Ancora una volta il campo dice che Milutinovic è più Ct. da Nazionale che tecnico di club. Così nel 2002, quando gli arriva la proposta della Federazione cinese per guidare la Cina, non può dire di no.

"La prima volta che ho incontrato il presidente della Federazione, Nan Yung, non credo di essergli piaciuto - dirà -. I miei capelli erano troppo lunghi e chiedevo troppi yuan d’ingaggio. Mi chiesero quante chances aveva la Cina di qualificarsi. Gli risposi che c’erano quaranta squadre in competizione, almeno dieci più forti della Cina, ma se avessero scelto me avrei conquistato uno dei due posti disponibili".

E così sarà. Dominato il girone del primo turno, i Dragoni si ripetono nel Gruppo 2 finale delle Qualificazioni asiatiche, nel quale ottengono 6 vittorie, un pareggio e una sconfitta, e battendo 1-0 l'Oman il 7 ottobre ottengono la prima storica qualificazione ad una fase finale dei Mondiali.

Bora MilutinovicOLIVER HARDT/AFP/GettyImages

La classifica finale recita Cina 19, Emirati Arabi 11. Milutinovic ce l'ha fatta ancora una volta: a Pechino è acclamato come un eroe. Poco importa se poi, al torneo in Corea del Sud e Giappone, stavolta non riuscirà a superare l'ostacolo del Primo turno.

La Cina, inserita nel Gruppo C con Brasile, Turchia e Costa Rica, non riuscirà a segnare nemmeno un goal. Arrivano dunque tre sconfitte con i Ticos (0-2), il Brasile (0-4) e la Turchia (0-3) e l'ultimo posto nel Girone. Ma quella partecipazione è sufficiente a consegnare alla leggenda 'Lo Zingaro' Milutinovic. Perché l'impresa, in fondo, era già esserci.

"Non abbiamo superato la Prima fase - ricorderà - ma nel Paese asiatico è allora che è scoppiata la passione per il calcio".

LE ULTIME AVVENTURE IN PANCHINA

Cinque Mondiali con 5 Nazionali diverse rendono universale la popolarità di Bora Milutinovic. L'allenatore serbo, tuttavia, proverà, senza riuscirci, ad incrementare il suo primato, che sarà eguagliato nel 2010 dal brasiliano Carlos Alberto Parreira: Kuwait 1982, Emirati Arabi 1990, Brasile (campione) 1994 e 2006, Arabia Saudita 1998 e Sudafrica 2010. Resta oggi l'unico, comunque, ad aver guidato in due occasioni la Nazionale del Paese organizzatore: il Messico nel 1986 e gli Stati Uniti nel 1994.

Continua ad insegnare calcio ai quattro angoli del globo, guidando le Nazionali di Honduras, Giamaica e Iraq e il club qatariota dell'Al-Sadd. Lo fa per puro gusto, senza essere ossessionato dal demone della vittoria.

"Mourinho non ha scelta: è costretto a vincere ad ogni costo. A me, invece, è sempre piaciuto insegnare", dirà per sintetizzare la sua filosofia.

Con l'Iraq partecipa alla Confederations Cup 2009, ma non riesce a superare lo scoglio della fase a gironi, nonostante una sola sconfitta di misura con la Spagna (1-0 per le Furie Rosse).

Bora MilutinovicGetty

Quella in Medio Oriente sarà l'ultima esperienza da allenatore nella sua lunga carriera. Si ritira ma resta nel Mondo del calcio, la sua vita, e lo ritroviamo come consulente nel Comitato organizzatore di Qatar 2022.

"Fin dall'inizio ero nell'organizzazione dei Mondiali di Qatar 2022. Adesso faccio da ambasciatore - spiega a 'La Gazzetta dello Sport' - vado in giro, vedo le cose che funzionano in qualsiasi settore e faccio le mie raccomandazioni agli organizzatori".

Personaggio amato pressoché ad ogni latitudine, nel suo cuore c'è spazio anche per l'Italia, nonostante la breve esperienza da tecnico con l'Udinese.

"Ha ricchezza di talento e di intelligenza tattica, la chiave dei suoi 4 titoli mondiali. Fra i miei maestri ci sono Sacchi per la sua filosofia di gioco. Ancelotti per gli esercizi e la capacità di correggersi, Capello per la grinta e il ritmo, Trapattoni per la mentalità e Mancini per l’organizzazione degli allenamenti".

In tanti hanno vinto senza essere ricordati. Lui, Bora Milutinovic da Bajina Basta, ha saputo farsi ricordare ovunque vincendo poco, ma sfruttando il calcio come uno strumento per arricchire la propria cultura e le proprie conoscenze.

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