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Arrigo Sacchi, il 'Profeta di Fusignano' che ha rivoluzionato il calcio italiano: dal grande Milan alla Nazionale

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"Per me il calcio era tutto: saper attaccare e saper difendere" - Arrigo Sacchi

Pressing a tutto campo, difesa a zona in linea per mandare gli avversari sistematicamente in fuorigioco e 4-4-2 come sistema base erano il suo credo. Con queste idee calcistiche, mutuate dal grande Ajax di Johan Cruijff, Arrigo Sacchi ha rivoluzionato il calcio italiano, rendendolo più europeo, ed è stato l'artefice del Grande Milan, dove è approdato nell'estate del 1987 dopo una lunga gavetta in panchina e una modesta carriera da calciatore dilettante.

Vince praticamente tutto, soprattutto fuori dall'Italia: in quattro anni conquista uno Scudetto, una Supercoppa italiana, 2 Coppe dei Campioni, 2 Supercoppe europee e 2 Coppe Intercontinentali. Fioccano anche i premi individuali, con l'assegnazione per due stagioni consecutive del Seminatore d'Oro come miglior allenatore italiano. Poi però il rappporto con i big si incrina e nel 1991 c'è la separazione dai rossoneri.

Ma a lui pensa la Federcalcio, che lo sceglie come nuovo Ct. azzurro dopo la fine dell'era Vicini. Con  la Nazionale italiana  però non riesce a ripetersi, ed è 2° ai Mondiali di USA '94. Gli Azzurri sono battuti nella finale di Pasadena dal Brasile di Romario ai calci di rigore. Torna in rossonero, ma le cose sono cambiate e gli anni d'oro sono già alle spalle. Fa un'esperienza all'estero con l'Atletico Madrid, senza grandi risultati, chiusa con l'esonero.

Il calcio gli causa problemi di salute e stress, così nel 1999 il tecnico delle grandi vittorie in rossonero annuncia il suo ritiro dal calcio. Ma nel 2001 ci ripensa e il 9 gennaio approda sulla panchina del Parma, salvo dimettersi già a fine mese e dare il suo addio definitivo alla carriera da allenatore.

Va quindi a fare il Direttore dell'area tecnica per il Real Madrid, chiamato da Florentino Pérez, e ricopre questo ruolo per circa un anno. Per circa 3 anni ha lavorato infine con la FIGC come Coordinatore tecnico delle Nazionali giovanili azzurre. Stimato professionista, con le sue opinioni spesso taglienti ha spesso partecipato come opinionista a trasmissioni televisive, senza timore di esprimere opinioni anche dure sul Mondo del calcio. Nel 2011 è stato inserito nella Hall of Fame del Calcio italiano.

DAL CALZATURIFICIO ALLA PANCHINA

Arrigo nasce il 1° aprile 1946 a Fusignano, comune romagnolo che diventerà famoso proprio per avergli dato i natali. I suoi genitori sono Augusto Sacchi e Lucia Montanari. È un figlio d'arte, perché papà ha giocato nella SPAL e nella Gallaratese.

Da ragazzo studia Ragioneria e gioca a livello dilettantistico nel Baracca Lugo.

"Facevo il difensore di fascia - racconterà - Il mio allenatore Gino Pivatelli diceva sempre 'Quando hai la palla, passala a Pollini che è il regista'. Ma a me non piaceva quel modo di giocare, capivo già che il leader di una squadra non è solo il regista. Ogni giocatore lo diventa quando ha la palla e tutti devono essere capaci di fare gioco". 

Coetaneo di Fabio Capello, colui che gli succederà anni dopo alla guida del Milan, un giorno lo incontra in una partita contro la SPAL.

"Al Baracca Lugo, da numero 4, marcai Fabio Capello, il 10 della Spal  - racconterà Sacchi a 'La Gazzetta dello Sport' - Nel primo tempo mi fece due tunnel a chiamata. Annunciava: ‘tunnel!’, e mi faceva puntualmente passare tra le gambe. Nell’intervallo giurai: se lo rifà, lo picchio". 

La carriera da calciatore di Sacchi è del resto breve e modesta. Del resto una delle caratteristiche, che lo renderanno particolare rispetto agli altri allenatori, è che non è stato un grande calciatore.

"Per diventare un buon allenatore - affermerà spesso - non bisogna essere stati, per forza, dei campioni; un fantino non ha mai fatto il cavallo".

Deve dedicarsi infatti al lavoro nell'azienda di famiglia.

"Un giorno, all’improvviso, papà viene ricoverato in ospedale con un grave problema al fegato. - racconterà al 'Corriere della Sera' nel giugno 2019 - È accomandatario e socio dell’Iper, calzaturificio a Fusignano.  Non ci penso su due volte. Interrompo la scuola e l'attività calcistica per entrare in fabbrica: lo faccio per senso del dovere, certo, ma anche perché so che a papà farà piacere".

Quando Augusto si riprende e torna a dirigere l'azienda, trova che l'attività è raddoppiata: Arrigo ne ha infatti acquisita un'altra, l'Iperflex, altra fabbrica di scarpe romagnola. Intanto Arrigo deve assolvere agli obblighi di leva.

"Mi spediscono nell’ufficio dell’Ospedale militare di Torino. - ricorda - È vicino al vecchio stadio, così vado spesso a vedere allenamenti e partite. Il Colonnello è un grande tifoso della Juve: mi lascia uscire a patto che poi gli faccia il resoconto degli incontri".

Su consiglio di Arrigo, la famiglia Sacchi apre un'agenzia di vendite. Quest'ultima apre il 1° ottobre 1967 e la prende in carico il fratello Gilberto, di 6 anni più grande di Arrigo. Ma appena 6 giorni dopo perde la vita in un drammatico incidente stradale vicino a casa.

"Mi sono chiesto: chiudo l’agenzia o ci vado io? Ho 21 anni, e scelgo la seconda strada. Mi ci tuffo con il solito impegno però ogni volta che devo partire è un dispiacere enorme. Cerco di abbreviare i viaggi ma il 90% delle scarpe lo vendiamo in Europa: sono costretto ad andare in Germania quasi tutte le settimane". 

A 25 anni arrigo sposa Giovanna, colei che diventerà sua moglie e la compagna di una vita. E arriva la svolta inaspettata della sua vita.

"Le mie giornate diventano più ordinate. - racconta al 'Corriere della Sera' - Il bibliotecario del paese, Alfredo Belletti, uomo di cultura e intelligenza infinite, è anche il Direttore del Fusignano Calcio, che lotta per non retrocedere dalla seconda categoria. 'Dai Sacchi, dacci una mano, vieni a giocare', mi dice. Perché bisogna sapere che da ragazzo ho anche giocato difensore; male ma ho giocato. Torno in campo e ci salviamo. L’anno dopo Belletti mi chiede di allenare. È il 1973. Per tre anni lavoro e alleno".

Massimo Agostini Sebastiano Rossi Arrigo Sacchi Cesena Primavera 1981/82

DAGLI ESORDI AL RIMINI

Per Arrigo è amore a prima vista. Il tecnico romagnolo gira un po' di squadre: "Dopo il Fusignano, l'Alfonsine, squadra con cui percepisco il primo stipendio da tecnico, poi Bellaria e le Giovanili del  Cesena".

Qui arriva il primo importante risultato: nel 1982 conquista con la formazione bianconera il prestigioso Scudetto Primavera. In quella squadra ci sono fra gli altri i giovani Sebastiano Rossi e Massimo Agostini, ma anche Davide Ballardini. Sacchi è entusiasta, ma arrivano anche i primi segnali inconfutabili di uno stress eccessivo di cui tende a farsi carico.

"In questi anni cominciai ad avvertire anche i primi segni della tensione e dello stress. - scrive nella sua autobiografia 'Calcio totale' - Per un certo periodo soffrii anche di labirintite. Mi piaceva allenare, ero concentrato sul lavoro, cercavo di dare molta della mia energia ai giocatori. Ma tutto questo aveva un prezzo. Nel 1981/82 vincemmo il nostro girone a andammo in semifinale battendo l’Inter; la finale dovevamo giocarla con l’Avellino, dove andammo per la partita d’andata. A novembre in Campania c’era stato un tremendo terremoto che aveva sconvolto tutta la regione, con quasi tremila morti".

"La nostra squadra alloggiava in un albergo che ospitava una donna che, per la paura, non riusciva più a dormire a casa sua. - racconta Sacchi - La notte prima della partita ero molto agitato e non riuscivo a prendere sonno. Mi rigiravo nel letto pensando ai giocatori, alla finale. Ero continuamente in dormiveglia, e i sogni si mescolavano alle azioni de ragazzi. Come capita spesso in queste situazione, devo aver fatto un sogno che mi portò a urlare, come facevo spesso da bambino. Mi ritrovai seduto sul letto, nel buio della stanza, il cuore a mille".

"Allora la signora che dormiva nello stesso albergo sentì l’urlo e, per la paura, scappò nuda in strada temendo il terremoto. Qualcuno poi si lamentò credendo che avessimo fatto uno scherzo, in realtà ero io che già cominciavo a manifestare forti segni di disagio. E non ebbi il coraggio di confessare che le urla di quella notte nascevano dalla parte più oscura e profonda della mia anima".

Il Cesena batte due volte l'Avellino con il risultato di 1-0 e si laurea campione d'Italia Primavera. Il nome di Sacchi inizia a circolare ad alti livelli.  Il tecnico di Fusignano decide che avrebbe fatto l'allenatore professionista e lo comunica a padre e moglie.

"Devo parlarvi. Ho capito che vivrò una volta sola e vorrei fare quello che più mi piace: l'allenatore. Vi comunico che smetto di lavorare".

Alberto Rognoni, fondatore del club romagnolo, presenta il giovane tecnico ad Italo Allodi. Sacchi entra nelle simpatie di quest'ultimo e viene iscritto al corso di Coverciano. Consegue il patentino e viene chiamato da Dino Cappelli, presidente del Rimini, per guidare la squadra in Serie C1. 

In due anni non continuativi con i biancorossi (1982/83 e 1984/85) Sacchi ottiene due quarti posti,  gettando le basi di quello che sarà il suo calcio. In mezzo, per volontà di Allodi, un'esperienza nelle Giovanili della Fiorentina.  Il dirigente pensa infatti di riportarlo in viola una volta acquisita la giusta esperienza.

Non accadrà perché Allodi passa al Napoli alla fine della seconda annata di Sacchi al Rimini. Dove allena, fra gli altri, due giovani di belle speranze: l'avellinese Fernando De Napoli, acquistato proprio dagli irpini, e Marco Pecoraro Scanio. Entrambi, soprattutto il primo, avranno una carriera importante.

Alessandro Melli Arrigo Sacchi Parma Serie C1 1985-86Wikipedia

LA SVOLTA AL PARMA

È il 1985/86 e Sacchi è scelto personalmente dal presidente Ceresini  e dal Direttore sportivo Sogliano.  L'obiettivo è riportare la squadra emiliana in Serie B. Approdato alla guida dei gialloblù, Sacchi vende quasi tutti i componenti della rosa che l'anno precedente era retrocessa, tenendo unicamente il giovanissimo Sandro Melli e Roberto Mussi.

Arrivano tre suoi fedelissimi: il terzino Walter Bianchi, il centrocampista Augusto Gabriele e l'attaccante Marco Rossi.  Spinge quindi per l'acquisto dalla Cavese di un giovane libero: è Gianluca Signorini. Con lui in squadra, estremizza la sua idea calcistica impostando una difesa totalmente in linea. 

Signorini è l'ultimo baluardo ma anche il primo regista della squadra. Il Parma, dopo uno 0-0 con il Trento al debutto, vola, praticando un calcio offensivo e spettacolare, con le linee dei reparti che si muovono in perfetta sincronia. Il 1° dicembre 1965, battendo 2-0 il Modena con doppietta di Marco Rossi, i gialloblù si confermano in vetta alla classifica e non la mollano più.

Lo scontro diretto di ritorno, il 13 aprile 1986, si conclude 2-2 e il 1° giugno 1986, con una vittoria per 2-0 sulla Sanremese, grazie ai goal del baby Melli e del solito Rossi, gli emiliani di Sacchi festeggiano il ritorno in Serie B.

Nasce la leggenda del 'Profeta di Fusignano', che è protagonista in gialloblù anche nella stagione successiva. Il Parma tenta il doppio salto, lottando per la promozione in Serie A, ma si piazza 7° a un passo dalla metà: 4 i punti che lo separano a fine anno da Pisa e Pescara, le squadre vincitrici del campionato, e 3 da Cesena, Lecce e Cremonese, formazioni che si contendono la promozione agli spareggi.

Ma i gialloblù, rafforzati dall'arrivo a centrocampo del regista Mario Bortolazzi, danno spettacolo anche in Coppa Italia. La squadra di Sacchi affronta il Milan di Liedholm prima nel girone eliminatorio a San Siro, e poi in doppia sfida negli ottavi di finale. Ebbene, il Parma espugna per due volte il campo dei rossoneri, senza mai subire reti, ed estromette la squadra allenata da Liedholm dalla competizione. 

SACCHI AL MILAN: LA LEGGENDA DEGLI 'IMMORTALI'

Berlusconi, diventato da poco presidente del Milan, resta impressionato dal gioco espresso dal Parma, pur essendo una squadra di Serie B, così manda il suo amministratore delegato, Adriano Galliani, a contattare Sacchi.

Il 'Profeta di Fusignano' firma un contratto in bianco e approda a Milanello fra lo scetticismo generale, in particolare dei sostenitori del calcio all'italiana. Dovranno ricredersi. Arrivano gli olandesi Gullit e Van Basten, il suo vecchio pallino dai tempi di Parma, Mussi, e Angelo Colombo dall'Avellino. Dalla Primavera è promosso in Prima squadra Alessandro Costacurta. Manca però qualcosa, e quel qualcosa il tecnico di Fusignano la individua in Carlo Ancelotti.

"Chiamai Berlusconi e gli dissi: 'Se mi prende Ancelotti vinciamo il campionato'. 'Ma Ancelotti ha un'inabilità del 20% al ginocchio'. Ed io replicai: 'Sì, però ha il 100% di abilità nel cervello. Il Cavaliere ci pensò e lo prese".

"Una volta Maradona mi disse, - ricorda ancora Sacchi - 'Ma corre forte anche Ancelotti?'. Io gli risposi 'No, pensa veloce' ".

Sacchi innova i metodi di allenamento, lavora sulla mentalità dei singoli e della squadra e costruisce un gruppo che scende in campo sempre per vincere. Cambia anche le abitudini dei giocatori, per esempio mette in stanza assieme quelli dello stesso reparto o che giocano nello stesso ruolo. 

"In stanza io ero spesso in camera con Maldini. - racconterà a 'Rai Sport' Mauro Tassotti - Sacchi passava nelle camere prima della buonanotte per parlarci. Qualche volta abbiamo spento le luci e fatto finta di dormire per non sentirlo".

In avvio di stagione il Diavolo tentenna. Perde in campionato con la Fiorentina, e in Coppa UEFA esce ai sedicesimi con l'Espanyol, che lo batte sul neutro di Lecce e, già in precedenza era stato battuto sullo Sporting Gijón. I risultati sembrano dar ragione ai detrattori del Vate di Fusignano. Qualcuno pensa a un esonero, invece Berlusconi conferma la fiducia nel suo allenatore:

"Quando ero in difficoltà, il primo anno, fece un discorso alla squadra per difendermi: 'Questo è l’allenatore che ho scelto. Chi lo seguirà, resterà qui. Chi non lo seguirà, andrà via'. - disse, parlando al gruppo giocatori - Trenta secondi, i più efficaci che abbia mai sentito".

Superate le difficoltà iniziali, il Milan di Sacchi ingaggia un testa a testa entusiasmante con il Napoli, e nel girone di ritorno, la vittoria nello scontro diretto segna il sorpasso in classifica. I rossoneri si impongono 3-2 al San Paolo e i lombardi mantengono poi il vantaggio acquisito, tagliando poi il traguardo dello Scudetto con due successivi pareggi contro Juventus e Como.

"Al San Paolo sembrava quasi una guerra. Passammo in vantaggio con Virdis, ma una magia di Maradona su punizione permise al Napoli di pareggiare. Andammo a riposo sull'1-1. Tutti i nostri giocatori erano impauriti. Così nello spogliatoio li dissi: 'Sono convinto a tal punto che siamo superiori a loro, che nel secondo tempo giocheremo con tre punte: tolsi Donadoni e misi in campo Van Basten. La squadra giocò con tre attaccanti, Gullit, Virdis e Van Basten. Andò bene".

Arrigo Sacchi Milan Serie A 1988/89Wikipedia

La seconda stagione vede l'arrivo del terzo olandese, Frank Rijkaard, che Sacchi chiede a gran voce preferendolo al talentuoso argentino Claudio Borghi, rientrato dopo il prestito al Como.

"Prendemmo Rijkaard e fu un atto di coraggio anche da parte di Galliani. Quando loro riuscirono a prenderlo, i tifosi dello Sporting picchiarono i dirigenti e Galliani e Braida entrarono nella toilette nascondendo il contratto".

Il Milan nel 1988/89 inizia la stagione vincendo la Supercoppa Italiana contro la Sampdoria. Poi è grande protagonista in Coppa dei Campioni, dove trova attuazione il sogno di Berlusconi di primeggiare in Europa vincendo e al contempo divertendo.

I rossoneri eliminano i bulgari del Vitocha, poi devono affrontare gli jugoslavi della Stella Rossa agli ottavi. A Milano l'andata termina 1-1 e al ritorno tutto si decide nell'inferno del Marakàna di Belgrado. In uno stadio tutto esaurito, il 9 novembre i biancorossi passano a condurre a inizio ripresa con Savicevic, ma una fitta nebbia avvolge Belgrado.

"Stavamo perdendo 1-0 e l'arbitro espulse Virdis. - ricorda Sacchi - Ma nessuno se n'era accorto. Quando entrai nello spogliatoio, dopo la sospensione, lo vidi lì e gli dissi: 'Tu cosa ci fai qui?'. 'Mister, sono stato espulso', rispose lui".

L'arbitro alla fine sospende la gara e il replay della partita si gioca il giorno seguente alle 13.00 orario locale. Secondo il regolamento vigente, si riparte dallo 0-0.

"Sentii un po' cosa pensavano tutti i giocatori e Van Basten mi disse: 'Siamo fuori dalla Coppa'. Io, che non avevo potuto sentire Berlusconi, mi inventai: 'No, no. Guarda, mi ha detto il dottore che non è disposto a spendere 100 miliardi per uscire al 2° turno. Il giorno dopo giocammo una grandissima partita".

Il Milan segna su autogoal, ma l'arbitro non vede che la palla è entrata. È allora il solito Van Basten a firmare l'1-0, ma Stoijkovic fa 1-1. Si va ai calci di rigore e il Milan passa, grazie a 2 parate di Giovanni Galli e alla freddezza dal dischetto di Rijkaard, che trasforma il penalty decisivo. È la gara della svolta.

"Per avere successo nel calcio servono och, pazienza, e bus del cul (occhio, pazienza e fortuna)", amava del resto ripetere il Profeta di Fusignano, citando un detto del suo paese.

Ai quarti è il Werder Brema a cedere il passo, poi i rossoneri travolgono il Real Madrid in semifinale e nella finalissima di Barcellona, il 24 maggio, sommergono di goal la Steaua Bucarest con un netto 4-0 targato Gullit-Van Basten. È il primo di una lunga serie di successi internazionali per Sacchi e il Milan.

"Van Basten e Gullit sono stati due attaccanti straordinari,- dirà Sacchi a 'Sky Sport' - non li avrei cambiati con nessuno. Avevamo quasi sempre nove italiani. Il primo anno addirittura 10. Era un gruppo molto amalgamato, persone che davano tutto quello che potevano dare. Ronaldo il brasiliano aveva sicuramente un talento superiore a tutti, ma non lo avrei mai preso. Io guardavo prima di tutto l'umanità e gente che aveva una condivisione di sentimenti comune. Un giocatore come Gullit mi ha aiutato molto a dare una mentalità vincente alla squadra".

Negli anni seguenti i rossoneri vincono una seconda Coppa dei Campioni (1-0 sul Benfica), 2 Coppe Intercontinentali sconfiggendo Nacional de Medellìn e Olimpia Asunción e 2 Supercoppe europee. Sacchi trasforma in realtà il sogno di Berlusconi di una squadra bella e vincente.

"Nel calcio non basta vincere, - sottolineava spesso Sacchi ai suoi calciatori - bisogn

"Ci sono vittorie che rimangono soltanto negli almanacchi, - affermerà Sacchi a 'Rai Sport' -altre che rimangono nella mente di tutti, anche di chi non è tifoso di quella squadra. Il merito, la bellezza, le emozioni, lo spettacolo, il vincere da dominus... Quando non si vince in questo modo, dominando l'avversario, significa che al di là del risultato devi migliorare".

Arrigo Sacchi-

GLI SCONTRI CON VAN BASTEN E L'ADDIO AI ROSSONERI

I primi scricchiolii nel suo rapporto con il gruppo Sacchi li registra alla fine del terzo anno. Il Milan vede sfumare la possibilità di vincere il 2° Scudetto della sua gestione, a causa della famosa monetina di Bergamo e della 'Fatal Verona' che lanciano il Napoli verso il titolo.

I giocatori si sentono pressati e in un certo senso appagati e sorgono contrasti fra il suo modo di vedere il calcio e quello di alcuni suoi giocatori. Qualcuno non è più disposto a sacrificare la gloria personale per il gruppo. Celebri sono rimasti gli scontri con Marco Van Basten.

"Sacchi parla continuamente di tattica, non ne ha mai abbastanza... - dirà del tecnico il 'Cigno di Utrecht' nella sua autobiografia 'Fragile' - È una persona garbata, perbene. La sua era una presenza particolare nel mondo del calcio. Se ne stava in mezzo al campo con quelle sue gambe sottili e un paio di Ray-Ban scuri sul naso, nonostante, si può dire, non sapesse neanche stoppare un pallone. Quando Berlusconi volle portarlo dal Parma al Milan, Sacchi stava ancora muovendo i primi passi nel calcio che conta, doveva ancora dimostrare il proprio valore". 

"Ciascuno di noi giocatori sapeva cosa fare in ogni singola situazione e, a partire dalla stagione 1988-89, la seconda di Sacchi al Milan, i suoi schemi erano riconoscibili anche durante le partite. Ce li sognavamo la notte. Ci parlava di quel sistema in ogni momento, deve avermelo spiegato così tante volte che a un certo punto ho pensato: dai, guarda che l’ho capito. E se non l’avessi ancora capito, vuol dire che non lo capirò mai. C’è da dire che all’inizio non ci intendevamo molto bene, il mio italiano era ancora scarso, e anche il suo inglese lasciava a desiderare".

"Io ero abituato ai metodi di Cruijff. Non c’è nessuno al suo livello. Ma il fatto che fra me e Sacchi non ci fosse molto feeling non aveva a che fare soltanto con una diversa concezione del calcio.  Di sicuro c’entrava la tattica. Il modulo che mi aveva portato ad alti livelli all’Ajax era stato il 4-3-3, con tre attaccanti, un esterno destro e un esterno sinistro che rifornivano con i loro cross la punta centrale. Sacchi giocava con il 4-4-2, schierando solo due attaccanti e un solidissimo blocco arretrato. Sosteneva fosse un sistema rivoluzionario, offensivo, cui diede persino un nome: 'zona-pressing' ".

Secondo Van Basten, il Profeta di Fusignano non sarebbe stato affatto un rivoluzionario.

"Al Milan rilasciava molte interviste ed entrò in ottimi rapporti con vari giornalisti. Tutto ciò gli ha permesso di rivendersi la 'zona' come qualcosa di innovativo, di antiitaliano... Tutti i giornali lodarono questo nuovo sistema di gioco per nulla italiano e così rivoluzionario, la spettacolare 'zona-pressing'. La faccenda mi infastidiva, perché non lo era affatto, rivoluzionario, né era offensivo. Era difensivo, era la difesa che ci faceva vincere le partite. Ma chi vince ha sempre ragione".

A livello personale la situazione fra i due peggiora nel 1990/91. La squadra esce dalla Coppa dei Campioni dopo il brutto episodio dei quarti di finale a Marsiglia, con i rossoneri fatti rientrare negli spogliatoi dopo lo spegnimento di alcuni dei riflettori del Velodrome. In tutta l'annata, nonostante un 2° posto finale in campionato, i rossoneri non brillano e a febbraio Sacchi si mette d'accordo con la Federazione per diventare il futuro Ct. azzurro.

"Fra me e Sacchi mancò qualcosa a livello personale. - sottolinea Van Basten nel suo libro - Può succedere. Lui mi definiva lunatico, ricollegava il mio comportamento alle fasi lunari. Pensava fossi sfuggente, non capiva dove andassi a parare. Per me, invece, Sacchi non era abbastanza diretto. Era sempre troppo morbido con le star della squadra".

"Ad esempio quando in allenamento andavo troppo piano, - racconta l'olandese - lui urlava a qualcuno dei più giovani: 'Ehi, su, diamoci una mossa!'. Ma in realtà ce l’aveva con me. Io preferisco il confronto diretto, sono per la schiettezza". 

"Da Sacchi potevi aspettarti garbo, gentilezza, ma soprattutto l’ennesimo sermone sugli schemi di gioco. Mai una volta che giocassimo una partitella in libertà, senza discutere di soluzioni tattiche, senza interruzioni. A volte avrei voluto semplicemente fare la mia partitella, a un calciatore serve anche questo. Sacchi era completamente votato al suo gioco e al suo sistema, diventava maniacale. Stava a pensarci ogni giorno della settimana, nessuno escluso, anche di notte. Quando dormivamo in hotel prima di una partita, capitava che chi aveva la stanza vicina a quella di Sacchi venisse svegliato dalle sue urla notturne: 'Fuorigioco, fuorigioco' e altre frasi del genere. Succedeva ogni volta".

Apprese le parole del suo ex calciatore, Sacchi, è quasi incredulo.

"Mi rifiuto di pensare che Marco possa aver detto queste cose. - dice in un'intervista su Youtube - Ha vinto tre volte il Pallone d'Oro, ha vinto due Coppe dei Campioni, a volte sono stato un po' duro con lui, perché volevo che ognuno giocasse con la squadra, per la squadra, a tutto tempo. Mi chiese: 'Perché a noi non basta mai vincere, ma bisogna sempre vincere e convincere?". Quando ha fatto l'allenatore ha capito: 'Mi rendo conto di quanti problemi ti ho creato', mi disse. E gli risposi: 'Se ti può consolare me ne hai risolti anche molti'. Per me è stato uno dei più bravi in assoluto, non lo avrei cambiato con nessun altro".

Smentita anche la leggenda del: "O me o lui".

"Non è vero il fatto che io abbia detto: 'O via io, o via lui', avevo già firmato per la Nazionale a febbraio. Ho firmato perché non ce la facevo più, ero venuto al Milan per fare un anno, ci rimettevo di salute. Smetterò prima per questo".

Alla fine della stagione 1990/91 il prolifico rapporto fra Arrigo Sacchi e il Milan può dirsi concluso. Il Profeta di Fusignano ripartirà in autunno dalla Nazionale, mentre i rossoneri saranno affidati alle cure di Fabio Capello.

Arrigo Sacchi n'est pas un grand fan de BalotelliGetty

SACCHI IN NAZIONALE: IL 2° POSTO A USA '94

Dopo la mancata qualificazione ad Euro '92, il presidente della FIGC, Giuseppe Matarrese, decide di porre fine all'era di Azeglio Vicini in Nazionale e di affidare il ruolo di Commissario tecnico ad Arrigo Sacchi, reduce da annate di grandi successi a livello di club. La firma sul contratto arriva nell'ottobre 1991, mentre a novembre il romagnolo debutta sulla panchina azzurra contro la Norvegia a Genova.

L'avventura azzurra è altalenante, seguono prestazioni convincenti della squadra a parite decisamente brutte. I risultati sono però lusinghieri: la squadra si qualifica ai Mondiali di USA '94. Qui rischia di uscire al primo turno, ma viene ripescata dopo tre pareggi e accede alla fase ad eliminazione diretta arrivando fino alla finalissima di Pasadena, persa tuttavia ai rigori con gli errori di Baresi, Massaro e Baggio.

Dopo aver estromeso dal giro azzurro, fra gli altri, giocatori come Gianluca Vialli e Walter Zenga, Sacchi ai Mondiali finisce nell'occhio del ciclone per alcune scelte. Fra queste quella di schierare di fatto Signori terzino, e il famoso cambio di Roberto Baggio, richiamato in panchina dopo l'espulsione di Pagliuca contro la Norvegia per far entrare il secondo portiere Marchegiani. 

"Chi, io?", si chiede incredulo il numero 10.

Preso atto che la sua partita finisce lì, il Divin Codino lascia il terreno di gioco con un labiale eloquente:

"Ma questo è matto", dice, mentre abbandona il terreno di gioco ed è immortalato dalle telecamere.

Tutta Italia difende l'allora giocatore della Juventus e critica aspramente Sacchi. Che ribatte:

"A Usa '94 lo convocai anche se non stava giocando bene con la Juve. Pensi che ero andato a vedere una partita a Torino, nell’intervallo parlai con l’Avvocato Agnelli e gli chiesi chi dei suoi avrebbe chiamato in azzurro. Mi rispose: 'Kohler e Moeller'. 'Ma sono tedeschi! E Baggio?' gli feci. Mi sorrise, e da quel sorriso capii molte cose". 

"Perché lui e non un altro? Per una semplice questione tecnica. - si difende nella sua autobiografia il campione di Caldogno - Avevo bisogno di gente che corresse molto e di un attaccante che 'allungasse' la squadra avversaria partendo nello spazio, senza palla. I norvegesi erano stati schierati in modo da schiacciarci, quindi a me serviva uno che attaccasse lo spazio in profondità in modo da allontanare la linea di difesa avversaria dai loro centrocampisti. Avevo bisogno di un attaccante che partisse aprendo delle falle nel loro sistema di difesa e distanziando i difensori così da poter mettere un nostro giocatore tra le linee".

Di certo presunta fortuna che qualcuno attribuisce a Sacchi, lo abbandona sul più bello. In finale i verdeoro trionfano ai calci di rigore sugli Azzurri. Sacchi, che ha il merito di lanciare campioni come Zola e Del Piero in azzurro, resta in carica e qualifica la squadra anche ad Euro '96. Ma ancora una volta un rigore, stavolta fallito da Zola contro la Germania Ovest, porta alla fine della sua esperienza in Nazionale.

Nel novembre del 1996, Sacchi rassegna le dimissioni dall'incarico di Commissorio tecnica dopo una sconfitta per 2-1 a Sarajevo con la Bosnia. 

Arrigo Sacchi ParmaGetty

ATLETICO MADRID E I RITORNI AL MILAN E AL PARMA

Nel dicembre del 1996 Sacchi accetta di tornare al Milan, dopo l'infelice parentesi Tabarez. Ma la situazione è molto cambiata rispetto al suo ciclo d'oro. I rossoneri escono subito dalla Champions League ad opera del Rosenborg e la stagione sarà per lui e la squadra molto negativa.  

Sacchi chiude con un 11° posto che rappresenterà il risultato peggiore dell'era Berlusconi, con la squadra fuori dalle Coppe europee e alcuni passivi pesanti in campionato, come lo storico k.o casalingo per 6-1 contro la Juventus e la sconfitta per 3-1 nel derby con l'Inter.

Chiuso definitivamente il rapporto professionale con il Milan, il 'Profeta di Fusignano' si prende un anno sabbatico. Il vulcanico Jesus Gil lo vuole alla guida del suo Atletico Madrid, ed ecco che la carriera di Sacchi riparte da Madrid, sponda colchonera. Dopo 7 mesi, a metà febbraio, è esonerato senza esser riuscito a conseguire risultati di rilievo. 

Ormai lo stress di tanti anni di lavoro in panchina è diventato per lui insostenibile, e il 16 febbraio 1999 annuncia l'intezione di ritirarsi definitivamente dalle scene.

"Sono sfinito - dichiara - non allenerò mai più".

Il Sacchi combattivo e determinato del Grande Milan sembra non esserci più. L'orgoglio lo porta comunque ad accettare un'offerta del suo Parma nel gennaio 2001. Dopo due pareggi, arriva una vittoria contro il Verona. Ma Sacchi si sente svuotato, senza più motivazioni. Così stavolta dà l'addio definitivo, nonostante abbia sempre sostenuto che "il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti".

"Sono tornato cercando di ritrovare gli uomini prima dei giocatori. Al primo giorno dissi: 'Sedetevi tutti sul prato per farmi spiegare perché tanti bravi giocatori faticassero a vincere'. Parlarono tutti, Thuram, Cannavaro, Buffon. Arrivarono un pareggio a San Siro con l’Inter, un pareggio con Lecce, su errore di Buffon, che venne a chiedermi scusa. Alla terza, vittoria a Verona. Ma lì mi spaventai: non provai la minima gioia. Come bere un bicchiere d’acqua. Ero vuoto. Ero arrivato. Telefonai a mia moglie e le dissi che avrei smesso".

Dal dicembre 2001 al maggio 2003 lavora comunque per il Parma come Direttore tecnico, poi dal dicembre 2004 al dicembre 2005 è Direttore dell'area tecnica e direttore sportivo del Real Madrid per volontà di Florentino Perez. L'ultimo incarico nel Mondo del calcio lo vede per quattro anni, dall'estate 2010 all'estate 2014, lavorare nuovamente per la FIGC come Coordinatore tecnico delle Nazionali giovanili, dalla Under 21 alla Under 16.

In molti negli ultimi anni hanno tentato di ridimensionare la sua importanza per il calcio italiano, anche per il suo modo di considerare i campioni alla stregua degli altri calciatori, di mettere il collettivo davanti all'individuo.

"È più importante Colombo - aveva detto una volta - di Maradona".

Ma è lo stesso Sacchi, che spesso dopo il ritiro ha svolto il ruolo di opinionista per trasmissioni televisive, e nel 2011 è stato inserito nella Hall of fame della FIGC, a replicare ai suoi detrattori.

"Il mio Milan - ama spesso sottolineare - è stato definito dall'UEFA la squadra di club più forte della storia. Se fosse stato un'orchestra, avrebbe saputo interpretare dal rock al jazz".

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