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Schurrle collageGetty/GOAL

L'addio al calcio di André Schürrle: il tramonto di un campione tra le ombre

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I trent’anni di oggi, nel calcio, a volte sembrano i venticinque di ieri. A trent’anni tanti giocatori raggiungono obiettivi che fino a due anni prima potevano solo sognare. L’approdo in un top club, le prime vittorie, la prima convocazione in nazionale. Altri, invece, a trent’anni vivono momenti di smarrimento, vedono il viale del tramonto della propria carriera. Per André Schürrle, invece, i trent’anni hanno rappresentato un nuovo inizio, per la prima volta senza il calcio. Perché il 17 luglio 2020, in un’intervista a ‘Der Spiegel’, ha annunciato la propria decisione di voler appendere le scarpe al chiodo e ritirarsi. Mettere fine a una carriera dalla quale ha avuto tutto, forse troppo presto.

Esattamente quattro giorni prima, aveva celebrato l’anniversario della serata più importante della sua vita. Quella del 13 luglio 2014. L’ha vissuta al Maracanã di Rio de Janeiro, con la maglia della Germania, nella finale Mondiale contro l’Argentina. A ventitré anni. Dopo aver già vissuto due trasferimenti milionari: dal Mainz, dove è stato plasmato da Tuchel, al Leverkusen, poi al Chelsea da Mourinho. L’uomo che lo ha mentalmente messo più a dura prova di tutti. Difficoltà che, in una notte, sono passate in secondo piano, se non in terzo. Perché il 13 luglio Schürrle sarebbe diventato campione del mondo. Anzi, di più: avrebbe deciso la finale del Mondiale. Con l’assist al bacio al 113’ per Mario Götze.

Andre Schürrle Germany World Cup 2014Getty Images

A differenza dell’amico ed ex compagno di squadra, oggi tornato in Bundesliga dopo l'esperienza al Psv e perno dell'Eintracht Francoforte, (hanno condiviso anche i colori gialloneri del Borussia Dortmund), Schürrle ha deciso di ricominciare lontano dal calcio. Un ambiente che lo ha logorato, che ha messo a nudo le sue paure più grandi, che lo ha spinto a oltrepassare il limite. L'anno scorso ha raccontato della sua esperienza al Chelsea, delle pressioni a cui è stato sottoposto da Mourinho.

“È una persona brutale. Mi sono sempre chiesto perché mi trattasse così, perché lo facesse a prescindere da tutto, perché facesse questo alle persone. Poi ho capito come lavorava e cosa ricercava. Non ero in grado di gestire ciò che voleva da me, per colpa della sua durezza. A volte tornavo a casa dopo aver parlato con lui e pensavo di non farcela. Costruiva una pressione enorme. Ho perso autostima".

Dopo diciotto estenuanti mesi in Blue, il ritorno in Germania, al Wolfsburg, alla ricerca di un ambiente che trasmettesse più serenità. Un anno e mezzo dopo, il Borussia Dortmund. Dove non tutto è andato come previsto e sperato. Colpa degli infortuni, colpa della stagione più incerta del club degli ultimi quindici anni, colpa di un paio di prestiti difficili da gestire. In Inghilterra al Fulham, mostrando colpi da fuoriclasse, quelli che convinsero Tuchel a gettarlo nella mischia appena diciottenne. In Russia allo SpartakMosca, terminato ad aprile con una fuga in elicottero per evitare il lockdown in terra sovietica e far rientro in Germania dalla famiglia.

La sua ultima presenza in campo è stata un anonimo spezzone di 18 minuti contro il Rostov in una sconfitta per 1-4, nel dicembre 2019. L’ultima di circa 450 partite disputate da professionista, cambiando sette club e tre campionati diversi. 57 delle quali giocate con la Germania, il suo porto sicuro, la costante. Merito della fiducia di Joachim Löw, che lo ha fatto esordire appena ventenne e lo ha abbandonato nel marzo 2017, quando il nativo di Ludwigshafen am Rhein aveva già imboccato il viale del tramonto. Più che un viale, un tunnel. Nell’intervista con cui ha comunicato al mondo la sua decisione, ha raccontato l’inquietudine vissuta negli ultimi anni della sua carriera.

“Non ho più bisogno di prendermi gli applausi. Le ombre si sono fatte sempre più buie e le luci sono poche. Ho maturato questa decisione già da tanto tempo. Tutto ciò che conta è la prestazione in campo. Debolezza e vulnerabilità non devono mai esistere. Se le cose non vanno bene, se giochi male, non hai neanche il coraggio di camminare in città. Bisogna sempre avere un determinato ruolo per sopravvivere in questo ambiente. Altrimenti perderai il tuo lavoro e non ne avrai un altro”.

Andre Schürrle Fulham 28072018Getty

Quarantott’ore prima dello stop, Schürrle aveva risolto il contratto con il Borussia Dortmund. In molti si chiedevano quale futuro potesse avere nel calcio. Invece ha deciso di allontanarsi dal mondo che lo ha portato allo stremo. Ha scelto di poter stare con la sua famiglia. E' anche diventato papà. Vuole ritrovare la serenità. Al contrario di tanti suoi coetanei e compagni di avventura in Brasile nel 2014 che oggi sì giocano, ma vivono situazioni particolari.

Kevin Großkreutz, uno con una carriera particolarmente controversa,a ottobre 2020 è stato licenziato dall’Uerdingen, club di terza divisione tedesca, e oggi è tra i dilettanti. Ron-Robert Zieler è finito all'Hannover, in seconda divisione. Idem Erik Durm, al Kaiserslautern. André Schürrle, invece, come Höwedes ha deciso di ritirarsi. Lasciando un ambiente che gli ha dato tanto, anche in termini economici, ma lo ha gettato spesso nello sconforto, preda delle sue angosce. Un ambiente che, per usare le parole del diretto interessato, lo ha reso “ricco, ma solo”.

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