Pubblicità
Pubblicità
Fabrizio Maiello

Maiello, "Il Maradona delle carceri" che voleva rapire Zola: il sogno infranto, la caduta e il riscatto

Pubblicità
"Fra rabbia ed amore il distacco già cresce, ma chi sarà il campione già si capisce" - Francesco De Gregori, 'Il Bandito e il campione' (testo di Luigi Grechi)

Le parole del testo del celebre brano interpretato da Francesco De Gregori, ma scritto dal fratello Luigi Grechi e dedicato alla vicenda del bandito Sante Pollastri e del campione di ciclismo Costante Girardengo, si adattano bene anche ad un'altra storia, quella, davvero incredibile, drammatica ma a lieto fine, di Fabrizio Maiello, in arte "Il Maradona delle carceri", che da promessa del pallone si è ritrovato nel giro di pochi anni a diventare un criminale, un rapinatore e un bandito.

In queste vesti tenterà anche di rapire, nel 1994,Gianfranco Zola, uno dei suoi idoli e stella del Parma. In quel momento il futuro "Magic Box" era una sorta di antitesi rispetto a lui, il prototipo di chi aveva sì grande talento, ma non si era arreso alle difficoltà e alla fine era arrivato in alto. Se l'amore per il calcio avrebbe portato Zola in alto, la rabbia verso la vita e lo sfortunato destino avevano fatto precipitare la promessa del Monza in un vortice di delinquenza e criminalità.

Proprio dall'incontro con il campione buono e generoso, che va diversamente da quanto lui e gli altri criminali avevano pianificato, scatta dentro Maiello qualcosa. Sebbene compirà ancora altri reati, la parabola della sua vita, che lo aveva portato dapprima in carcere, poi nell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, inizia una lenta risalita, che lo condurrà, alla fine, alla redenzione e a riconquistare la libertà.

Fabrizio comincia ad aiutare Giovanni, un compagno dell'OPG in difficoltà. Il pallone diventa la sua salvezza: ottiene di potersi allenare e stabilisce una serie di record di palleggi, dimostrando di avere ancora quella classe che da giovane aveva fatto intravedere nel Monza. E in quel luogo di sofferenza troverà anche l'amore e la forza per iniziare una nuova vita e ritrovare se stesso.

  • IL GIOIELLO DEL VIVAIO DEL MONZA

    Fabrizio Maiello nasce a Limbiate, nell'attuale provincia di Monza-Brianza, il 4 aprile 1963, da genitori originari di Napoli e trascorre l'infanzia a Cesano Maderno. Fin dalla tenera età dimostra una grande propensione per il calcio.

    "In tenera età ho scoperto la mia passione più grande: il pallone - racconta a GOAL -. Ho giocato a pallone praticamente fin da quando stavo in piedi. Ho cominciato nell'oratorio e poi ho continuato nella squadra del paese. A scuola non andavo bene, non mi interessava lo studio, la mia testa tornava sempre al calcio, alle partite con gli amici, al prossimo goal da segnare e al sogno di diventare un professionista".

    La zona in cui cresce, fin dagli anni Sessanta, è ad alto tasso di delinquenza, ma Fabrizio è quello che può essere definito un ragazzo serio.

    "Sono un ragazzo fortunato - dice - perché il calcio mi ha tenuto lontano dalla criminalità minorile dilagante in quegli anni. Erano gli anni Settanta e nell'hinterland milanese c'era molta delinquenza. i miei amici dopo scuola andavano a rubare, spacciare, entravano in giri di droga. I banchi vuoti in classe, lasciati da coloro che venivano arrestati, aumentavano. Io non mi inserivo in quei giri perché avevo il calcio e non volevo buttate via il mio futuro".

    Maiello con il pallone ci sa fare, è un talento naturale, chi lo vede in azione non ha dubbi: arriverà in alto.

    "Feci un provino con il Milan e da lì mi mandarono al Monza. Giocavo con il numero 10- racconterà - e tutti, anche i giocatori di Serie A che mi vedevano, pensavano che avrei sfondato. Mi chiamavano 'Il brasiliano': destro, sinistro, visione di gioco...".

    Diventa il gioiello del Settore giovanile dei brianzoli, e sulla scia di chi lo ha preceduto, sogna di approdare in Prima squadra, dove giocano il suo coetaneo Paolo Monelli e Daniele Massaro, di due anni più grande. A 17 anni approda nella Primavera biancorossa.

    "Paolo Monelli ex calciatore del Monza Calcio, era il mio idolo da ragazzo - racconterà su Facebook -, il grande campione che avrei voluto essere anch'io. Ma cosi purtroppo non è mai stato. Quando eravamo adolescenti ci siamo sfiorati e incrociati tanti, ma tanti anni fa su quei campi di allenamento, allo stadio Mauri, nel vecchio stadio Sada, dove lui già giocava con ottimi risultati nella Prima squadra allenata da Alfredo Magni, io lo guardavo e lo ammiravo dal bordo di quel campo con il sogno che un giorno i nostri destini si sarebbero magari incrociati e avremmo giocato insieme. Quel meraviglioso sogno purtroppo è svanito in un battito di ciglia...".
  • Pubblicità
  • L'INFORTUNIO, LA FINE DEL SOGNO E LE CATTIVE COMPAGNIE

    Proprio a 17 anni i sogni di Maiello di diventare un campione si interrompono bruscamente.

    "Dopo un promettente inizio nelle giovanili del Monza, a 17 anni ho visto sgretolarsi il mio sogno quando, durante una partita di allenamento, un compagno di squadra mi è venuto addosso in scivolata rompendomi i legamenti del ginocchio sinistro...".

    Seguono una corsa in ospedale e il terribile verdetto dei medici, in anni in cui ancora la medicina era ben distante dalle possibilità di oggi.

    "Legamenti crociati rotti, ragazzo, con il calcio hai chiuso. Non potrai più giocare".

    Il giovane Fabrizio sente il Mondo crollargli addosso, non è pronto per un evento così duro che cambia da un giorno all'altro la sua vita. E perde completamente la bussola.

    "Quella diagnosi ha ribaltato la mia vita, ero perso e arrabbiato. Avevo riposto tutte le mie aspettative su quel pallone, non avevo pensato a un piano b. La rabbia era tanta che ho rifiutato di farmi operare e col ginocchio ancora fasciato e tumefatto e la febbre a 40 gradi sono scappato di casa".
    "Sono cambiato, proprio io che non avevo mai fumato né bevuto, che andavo a messa tutte le domeniche con mia madre – ricorda –, che provavo dispiacere per i miei amici che delinquevano e che non andavo nemmeno il sabato in discoteca, perché la domenica dovevo giocare, all’improvviso ho fatto tutto quello che non avrei mai dovuto fare, mi sono perso… Provavo tanta rabbia, solo rabbia, volevo spaccare il mondo, fare male a me stesso e agli altri…".

    Inizia a frequentare cattive compagnie, e il passo verso la delinquenza è breve.

    "Avevo perso la testa - afferma -, io che avevo puntato tutto sul pallone mi ritrovavo senza niente, senza un futuro. Mia madre gli anni precedenti avrebbe voluto che andassi a lavorare, mio padre invece mi aveva mandato anche a frequentare una scuola da disegnatore meccanico, ma a me proprio non interessava altro fuorché il calcio. Così, quando mi sono rotto il ginocchio, mi ha detto: 'O ti operi o te ne vai, non voglio uno zoppo in casa'. Io ho scelto la strada e sono andato dai miei amici. Con loro è iniziata la mia seconda vita, quella nel mondo del crimine. In quel momento ho odiato il pallone, come fosse una delusione d'amore, il mio per il pallone era un amore malato".

    Nella vita di Fabrizio si innesca un processo di autodistruzione.

    "In poco tempo ho superato anche i miei amici in quanto a reati - racconta a GOAL -, ero sveglio e imparavo in fretta.Avevo bisogno di trovare qualcosa che sostituisse l’adrenalina che provavo in campo, per questo ho iniziato con la cocaina, l'eroina e le rapine, fino a farmi rincorrere dai carabinieri rischiando la vita".

    Il carcere inizia a diventare un'abitudine. Fabrizio ci entra e ci esce per una decina d'anni, la prima volta nel 1982 a soli 18 anni, appena un'anno dopo l'incidente che gli aveva cambiato la vita, quando aveva all'attivo già una cinquantina di colpi.

    "Iniziai con gli scippi, pian piano la gamba si saldava in qualche modo ed io resistevo più degli altri, perché fisicamente ero ancora superiore. È stato un crescendo. A 18 anni avevo sparato alla vetrina del bar dove ci riunivamo dopo le rapine, ho chiesto un passaggio ad un ragazzo che conoscevo, uno a posto, fuori dai nostri giri. Ad un posto di blocco ho tirato fuori la pistola dal finestrino sparando in aria, mi presero comunque. Fu così che scoprii la galera, nel carcere davanti al quale passavo spesso con mio padre per andare agli allenamenti".
    "Dentro ti chiedono subito due cose: quale crimine hai commesso e se sai giocare bene a calcio- spiega-. Io avevo la fortuna di saperci fare con i piedi, anche con una gamba sola, e questo mi ha aiutato con i detenuti e con le guardie. Si giocava per le sigarette, le collane d’oro o per le scommesse. Così iniziarono a chiamarmi 'Maradona': ero di origine napoletana e, nonostante per un po' l'avessi odiato, il pallone, per quello che mi era successo, avevo dentro una grande passione per Maradona e per il calcio. Ma non mi interessava, non ero contento, io Maradona avrei voluto esserlo per davvero su un campo, o almeno avvicinarmi a lui".

    Lungi dal formarlo, il carcere peggiora, se possibile, ancora di più la situazione. Fabrizio commette crimini sempre più gravi, e in un'escalation che sembra irrefrenabile, rischia persino la vita.

    "Ero bravo a calcio e mi coccolavano, ma ho conosciuto grossi delinquenti e sono peggiorato. Ma non ho mai spacciato, non volevo padroni. A 21 anni ho preso una coltellata alla schiena da un ragazzo che fino a pochi mesi prima stava dalla mia parte - ricorderà -. È successo mentre guidavo, colpa di alcune dinamiche tra bande. Mi avevano lasciato a morire lì, poi qualcuno deve aver chiamato l’ambulanza e mi sono svegliato in ospedale circondato da medici e forze dell’ordine".

    Iniziano anche le latitanze, alternate ai periodi trascorsi in carcere.

    "Ogni permesso di uscita era l'occasione giusta per scappare e tornare alla mia vita sregolata e criminale - scriverà sul suo sito ufficiale -. Sono entrato e uscito dal carcere fino al 1990 quando mi trasferirono nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario, prima a Montelupo Fiorentino poi, dal 1992 all'estate 1994 e dal 1995 al 2005, a Reggio Emilia".

    Per Maiello l'OPG coincide inizialmente con un periodo di buio totale.

    "Nel 1990 feci apposta un casino incredibile nel carcere di Bergamo, lo ricordo perché c'era Enzo Tortora nel reparto infermeria. Mi portarono a Montelupo Fiorentino, dove feci due mesi di osservazione e mi aggiustarono la terapia e rimandato nel carcere di Bergamo, dove poi sono uscito. Avevo visto com'era la situazione e pensavo che l'OPG fosse meglio del carcere. Mi hanno riarrestato nel 1991 per delle rapine e mi hanno portato a San Vittore. Venne il Pm per interrogarmi, e decisi di fare male al magistrato perché non volevo collaborare e preferivo stare in manicomio - ricorderà -. Invece di sedermi gli ho spaccato la testa con la sedia. Una cosa molto brutta, ma io allora non ero in me.Mi massacrarono ma dopo 6 mesi mi prosciolsero per incapacità di intendere e di volere, e mi portarono all'OPG di Reggio Emilia. I primi anni nell'OPG ho vissuto l'inferno, ancora pieno di rabbia e rancore non mi dimostravo mai collaborativo e per questo venivo spesso legato nei letti di contenzione e sedato".
    "La vita negli ospedali psichiatrici giudiziari non poteva essere considerata tale - aggiungerà Fabrizio -, le condizioni in cui venivano tenuti gli internati erano disumane. Legati ai letti venivamo imboccati per mangiare e bere, non ci era permesso di alzarci neanche per andare in bagno, restavamo per dei giorni sdraiati sulle nostre deiezioni, nudi a fissare il soffitto e contare le ore. In OPG non c'erano solo criminali come me, ma anche internati in condizioni mentali gravi, inconsapevoli delle azioni che li avevano fatti incarcerare e anche di dove fossero".

    Nell'OPG di Reggio Emilia conosce anche Marcello Colafigli, il 'Bufalo' della Banda della Magliana.

    "Giocavamo a pallone insieme - dirà in un'intervista a 'Telereggio' -. Era completamente diverso da come viene raccontato nella serie tv. L'unica cosa che ci accumunava era la passione per il pallone. Lo mettevamo stopper. Lui non voleva perdere, io non voleva impicci. Lo chiamavamo 'Marcellone'..."
    "Una volta nel 1993 venne a giocare anche la Reggiana di Pippo Marchioro, che aveva vinto il campionato di Serie B, ma con quelli del carcere, non con noi dell'OPG. La direttrice però mi fece giocare un quarto d'ora e ricordo che feci anche un goal. Conservo ancora la medaglietta di quel giorno".
  • Pubblicità
    Pubblicità
  • MAIELLO E IL TENTATIVO DI RAPIRE ZOLA: IL BANDITO E IL CAMPIONE

    Fabrizio non ha però la minima intenzione di smettere di delinquere. Nell'estate del 1994 ottiene un permesso premio e si dà nuovamente alla latitanza. Ha bisogno naturalmente di finanziarla ed è in quel frangente che, assieme ad altri criminali, progetta un colpo eclatante: il sequestro di Gianfranco Zola, all'epoca numero 10 e stella del Parma.

    "Nel 1994 esco dall'OPG di Reggio Emilia in permesso premio e non torno, iniziando un nuovo periodo di latitanza - racconta a GOAL -. Zola era un campione e uno dei miei idoli, ho sempre tifato Napoli e lui era la riserva di Maradona. All'epoca giocava nel Parma ed era uno dei giocatori più forti d'Italia. Con altri criminali progettammo di rapirlo per un paio di giorni, di mettere in piedi un sequestro lampo, per chiedere poi il riscatto al presidente dei ducali, Callisto Tanzi... Avremmo chiesto 250 milioni di Lire".
    "Così ci siamo organizzati, eravamo in quattro con due macchine. Una avrebbe dovuto speronare l'auto di Zola. Poi in due di noi, fra cui io, l'avremmo dovuto prendere, far salire sull'altra macchina e portare via. Sapevamo dove abitava e che spostamenti faceva".
    "Il giorno prefissato per il sequestro lui, assieme a sua moglie, prese l'autostrada, e noi lo seguimmo. Ma ad un certo punto si fermò in un distributore per fare benzina. Ci siamo fermati anche noi. Zola è sceso e si è fermato a parlare con il benzinaio. Siamo scesi anche noi. Io avevo la pistola dietro la schiena e gli sono andato incontro. Ma quando ho incrociato il suo sguardo, e lui con dolcezza ha sorriso e ci ha detto: 'Ciao ragazzi!', mi ha completamente disarmato".
    "Non sapevo più cosa fare. All'improvviso mi sono detto: 'Ma cosa sto facendo? Poi a Zola, a un così bravo ragazzo?'. Allora mi sono avvicinato e mi sono fatto fare un autografo sulla carta d'identità. La conservo ancora oggi. E decisi che non l'avrei più sequestrato".
    "Lui, quando gli diedi la carta si irrigidì. Aveva notato qualcosa: sulla mia mano avevo incisi i cinque punti della malavita, non un tatuaggio come gli altri. È salito velocemente in auto, dove lo aspettava sua moglie. Noi l'abbiamo seguito per un po', gli altri criminali mi dicevano di speronarlo ma non lo feci. Dopo un paio di chilometri ho suonato il clacson, l'ho salutato e siamo andati via".
    Maiello ZolaGOAL

    Fu quello il primo rocambolesco incontro fra chi campione avrebbe potuto diventarlo, Maiello, e si era invece trasformato in un bandito dedito al crimine, e chi campione lo era diventato, superando non poche difficoltà e riuscendo a consacrarsi come calciatore e uomo al di fuori della sua terra, la Sardegna.

    Un incontro che a Fabrizio, però, cambia la vita. Scatta dentro di lui la scintilla che avvierà la sua lenta risalita e lo condurrà a riprendersela dopo averla buttata.

    "Gianfranco Zola quando, dopo anni, è venuto a conoscenza di questi fatti, mi ha ringraziato a distanza di non averlo rapito, sono io invece che devo ringraziare lui- dirà Maiello a 'Lepida Tv' -. Perché sono cambiato anche da lì, grazie a quello sguardo e a quella gentilezza".
  • ENJOYED THIS STORY?

    Add GOAL.com as a preferred source on Google to see more of our reporting

  • L'OPG E IL RISCATTO DEL 'MARADONA DELLE CARCERI'

    Maiello continuerà ancora a commettere dei reati, e dal 1995 finirà la latitanza e tornerà nell'OPG di Reggio Emilia, ma la curva della sua vita, seppur lentamente, inizia una lenta risalita.

    "In quel luogo di orrore, che era un po' l'inferno in terra, ho trovato degli angeli, che mi hanno aiutato a riprendermi la mia vita. Nel 1997 ho incontrato Giovanni, che non conoscevo. Era tre celle vicino alla mia. Sentivo quest'uomo che si lamentava e gridava. La cosa mi dava fastidio. Andai dal dottore e gli dissi: 'Dottore, metta Giovanni in cella con me'. E lui sorpreso mi fece: 'Sei sicuro? Guarda che ha problemi, si fa i bisogni addosso, ha un'enfisema polmonare, sta per morire... Avrà tre mesi di vita...". E io dissi: 'Va bene, quello che sarà, sarà'...".

    Fabrizio inizia così a prendersi cura di Giovanni, lo pulisce e lo assiste, e fra i due si crea un legame forte di amicizia. Contrariamente alle previsioni, Giovanni, lentamente, guarisce, e, al contempo, fa guarire il suo amico.

    "Me ne presi cura in tutto - racconta Maiello a GOAL -, e ancora non capivo che curando Giovanni stavo curando me stesso".

    La rabbia che lo aveva condotto a diventare un bandito e un poco di buono progressivamente va via, e lascia spazio nuovamente all'amore per il pallone e per la vita. Fabrizio rinasce.

    "Nel mezzo dell'inferno c'è un'altra luce di speranza: la direttrice dell'OPG Valeria Calevro, che non smetterò mai di ringraziare per avermi salvato, mi diede il permesso di allenarmi in occasione della maratona di Vivicittà del 1998 organizzata dalla UISP (Unione Italiana Sport per tutti). Io non volevo correre, non mi era mai interessato, quindi decisi di seguire il percorso palleggiando. Mi diedero un pallone e, nei 24 passi del cortile/passeggio, iniziai a stabilire i primi record di palleggio".
    "Mi trovarono un buco dove potevo allenarmi, una specie di gabbia. Ho passato 10 anni lì dentro con il sole, con la nebbia e con il freddo. Due ore la mattina e due ore il pomeriggio. Quattro ore al giorno per dieci anni ho sempre palleggiato mentre giravo intorno e contavo i passi".

    Maiello scopre che la classe che aveva da giovane con il pallone non lo aveva abbandonato, e, dimostrando una forza di volontà incredibile, allenandosi tutti i giorni, stabilisce strabilianti primati.

    "Nel 1998 ho fatto un chilometro palleggiando in avanti. L'anno dopo, nel '99, ho fatto la stessa cosa palleggiando un chilometro ma a marcia indietro. Nel 2000 ho fatto un chilometro a marcia indietro di testa. Nel 2001 faccio 5 chilometri, ossia 5 giri del carcere, con la palla in equilibrio sulla testa tipo foca. Nel 2002 sono uscito per la prima volta dall’OPG per una partita contro il razzismo e nello stesso anno con un percorso premio ho percorso 3 chilometri e mezzo in città palleggiando durante l’iniziativa Vivicittà... Dietro ogni record c'era un piccolo segreto, la persona cui dedicavo ogni passo: Giovanni".

    Il suo nome balza alla ribalta dei media nazionali e internazionali, non per fatti di cronaca nera, ma per le imprese sportive, come accadeva quando era una giovane promessa del Monza. Fabrizio esce definitivamente dai panni del criminale e del bandito e diventa per tutti 'Il Maradona delle carceri'.

    Giovanni Marione, grazie alle sue amorevoli cure, esce dall'OPG di Reggio Emilia il 26 novembre 2001. Morirà nel 2008. Ma per Fabrizio Maiello è lui la sua vittoria più bella.

    "Il mio record più bello è stato quando Giovanni è uscito - dirà l'ex promessa del Monza -, per cui dopo smisi di fare i record di palleggi. Ce l'avevamo fatta".

    Per Fabrizio arriva anche l'amore: Daniela, un'infermiera dell'OPG, nota il modo con cui si è preso cura di Giovanni e che ha le scarpe da calcio rotte a causa dei tanti palleggi. Decide di regalargliene un paio nuove. Fra i due scatta la scintilla e da allora non si sono più lasciati.

  • Pubblicità
    Pubblicità
  • L'INCONTRO E L'ABBRACCIO LIBERATORIO CON ZOLA

    Oggi Maiello ha 60 anni, e dopo aver scontato la sua pena, con 10 anni di prigione e 14 di OPG, è un uomo libero. 'Il Maradona delle carceri' ha raccontato la sua vicenda in un libro, "Nel carcere dei matti delinquenti. Storia di Fabrizio Maiello", scritto a quattro mani con la professoressa Franca Guarreffa, docente di Sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Reggio Calabria, che ha raccolto gli scritti dei suoi diari.

    Inoltre, affiancato dalla compagna Daniela, è da tempo testimonial di progetti per la legalità e collabora con l'associazione "Libera" di Reggio Emilia. Gira le scuole e le carceri per parlare ai più giovanidella sua vicenda e dei rischi di intraprendere una strada sbagliata, e dà tanti consigli.

    "Lavoro in una cooperativa sociale di Reggio Emilia che si occupa di manutenzione del verde - racconta - e partecipo a progetti per educare alla legalità e contro le devianze. Vado nelle scuole e nelle carceri minorili".
    "Ai ragazzi dico sempre: coraggio non è far sdraiare tutti a terra minacciando con una pistola, coraggio è aiutare una persona sola al mondo. Dono la mia testimonianza, perché capiscano che si può ripartire".

    Il pallone è sempre al centro della sua vita: gioca con la Seleçao dei sacerdoti grazie al mister Moreno Buccianti e di recente ha coronato il sogno di incontrare nuovamente Zola, come desiderava da tempo, per chiedergli scusa per aver progettato di sequestrarlo 30 anni prima.

    Il commovente incontro con il campione di Oliena, testimoniato dalle telecamere deL'Unione Sarda' , è avvenuto in Sardegna nel cortile della casa-famiglia Emmaus, a due passi dall’aeroporto di Elmas, il 14 gennaio 2024. Al termine di una tre giorni intensa di incontri con le giovanili del Cagliari, con gli studenti nei licei e i detenuti delle carceri, in cui ha conosciuto anche Roberto Muzzi. In lacrime dall'inizio alla fine, Fabrizio ha chiesto più volte scusa a 'Magic Box'.

    "Ti chiedo scusa, anche a nome dei tuoi amici, della tua famiglia e di tutta la Sardegna, per quello che ho fatto o solo potuto pensare. Non stavo bene, ero fuori di testa. Grazie: è una vita che ti volevo rivedere perché ci ho messo una vita per ritornare a dov'ero. Non sono più quello di prima, quello di quel giorno, ma mi mancava chiudere questo cerchio. Per la prima volta ero arrivato a un passo dal fare un reato e ho cambiato idea perché ti ho guardato negli occhi e ho detto: 'Ma cosa sto facendo?' ".
    "No Fabri non fare così che se no mi metto a piangere pure io - gli dice Zola, sempre sorridente -. Da parte mia non ci sono problemi, ci siamo chiariti".

    Dopo un po' i due entrano in confidenza.

    "Ma toglimi una curiosità - mi ha fatto - perché volevate rapire proprio me? Perché non avete pensato di rapire, che ne so, Tino Asprilla?".
    " 'Ma perché tu eri il più forte di quella squadra' - gli ho risposto io -. E lui si è messo a ridere".

    L'incontro si chiude con il libro regalato da Fabrizio a e un abbraccio liberatorio.

    "Lo porterò sempre con me", assicura Maiello.

    Invitati dal Cagliari Calcio, Maiello e Zola assistono poi insieme all'Unipol Domus al primo tempo della gara di Serie A fra Cagliar e Bologna, vinta 2-1 dai sardi, prima che Fabrizio faccia ritorno nella sua terra.

    "Ci tengo a ringraziare ancora tanto Zola - dice Maiello a GOAL -, il presidente del Cagliari Tommaso Giulini, suor Silvia Carboni, Walter Ollano e l'allenatore della Seleçao dei sacerdoti Moreno Buccianti per aver reso possibile questo incontro. Ero 30 anni che aspettavo. Questa storia del tentato rapimento è venuta fuori dal 2002, probabilmente perché qualche agente sardo ne ha parlato con qualcuno. Ce n'erano tanti che venivano dalla Sardegna. Furono loro, incuriositi dall'autografo di Gianfranco sulla carta d'identità, a chiedermi come potessi averlo se ero latitante. E raccontai come andarono le cose... Da lì mi intervistà GQ e la storia del mancato rapimento di Zola finì sul libro di Luigi Garlando 'Cielo manca' ".
    "Non sono tornato da Gianfranco, nella sua terra, a mani vuote - dice Maiello - ma gli ho regalato il libro che racconta la mia storia. Facendogli questa dedica: 'A Gianfranco Zola, il campione dagli occhi buoni che mi ha cambiato la vita. Con profonda stima e rispetto. Fabrizio Maiello. P.S. Grazie di avermi perdonato' ".
    "E Gianfranco, a sua volta, mi ha fatto una dedica nella copia del libro che conservo con me: 'A Fabrizio con affetto. Sono contento che con uno sguardo, anche se inconsapevole, abbia potuto essere di aiuto in qualche modo'. A me sono venuti i brividi".
    Dedica Zola MaielloGOAL
    "Siccome il presidente Giulini mi ha regalato una maglia del Cagliari personalizzata, ho voluto regalare una copia del libro anche a lui e ringraziarlo personalmente. È stata un'esperienza indimenticabile venire all'Unipol Domus, sono stato anche nella Curva Futura con i ragazzi, e vedere i padri dei bambini che mi ringraziavano mi ha fatto commuovere".

    Il calcio continua ad essere presente nella sua vita di Fabrizio Maiello sotto molteplici forme: Fabrizio, oltre che giocare assieme ai sacerdoti, allena una squadra di ragazzi che provengono da situazioni di disagio.

    "La Seleçao dei sacerdoti è una bellissima squadra - dichiara a GOAL - , facciamo partite di beneficenza, eventi per la ricerca contro il cancro. Sono orgoglioso di farne parte e sono stati loro ad avviare i contatti per l'incontro con Zola. Inoltre dal 2021 ogni anno faccio un nuovo record di palleggi in diretta tv. L'ultima volta ho palleggiato per due chilometri nel centro storico di Reggio Emilia senza far mai cadere la palla".

    Sulla sua incredibile storia è in uscita anche un docufilm, "Senza Volto - storia di Fabrizio Maiello", curato dal regista Luca Guardabascio.

    "Il docufilm uscirà il 21 febbraio a Reggio Emilia e poi sarà distribuito - annuncia a GOAL -. Grazie a Gianfranco, che ha dato il suo consenso, si chiuderà con le immagini che lo riguardano. Una cosa per me bellissima. Mi ha assicurato che verrà a vederlo. Speriamo poi che possa arrivare in tutta Italia".
    "Mi vergogno di aver fatto piangere tante persone - afferma Fabrizio, concludendo il racconto della sua storia -. Dentro di me continuavo a vedere gli occhi pieni di paura delle persone cui ho fatto del male. Ma adesso sono tornato umano e non mi vergogno più di piangere".
0