
Terra sacra, profana città. Capitale delle leggende, della fortuna tramutata in oro. Roma, sfortuna, destino, fato. Idoli, cadute e ascese. Sportiva, pallonara, fatta di dieci, di esterni sulla fascia, di centrocampisti tutto, e fare. Poi loro, quelli che riassumono un po' tutto, a livello calcistico. I portieri, quelli che in giallorosso hanno subito botte da orbi barcollando, oscillando tra le critiche, cercando di essere migliori dei predecessori. Una spina sul fianco delle ambizioni perché sì, nel corso del tempo, in pochi sono riusciti ad emergere veramente. Una manciata: i big sono stati ceduti, le promesse hanno dovuto fare i conti con le cadute. Alisson, Antonioli, Risorti, Tancredi, Masetti e tante occasione spazzate via. Come quella che risponde al nome di Carlo Zotti.
Campano, classe 1982, facente parte di quella Primavera giallorossa in cui tanti hanno fatto parlare di sè, tra radio e campi sportivi, tra De Rossi padre e De Rossi figlio. Zotti cresce nella capitale, per la Roma, con la Roma. Cinque anni nelle giovanili, poi la stagione a inizio millennio con il Palermo, mentre la sua società di provenienza festeggia l'ultimo Scudetto della sua storia. Fin qui. Lo vive a distanza, dalla Sicilia, ma vicino grazie alle testimonianze di amici e compagni di squadra di una vita.
Sbarca così a Roma, nuovamente, nel bel mezzo della sbornia dello Scudetto, perchè in città il titolo è freschissimo dopo un anno, figurarsi dopo pochi mesi. Non giocherà mai in prima squadra, nell'immediata annata post titolo, ma comincerà a farsi vedere nell'ambiente dei grandi, riuscendo ad esordire l'anno dopo, a vent'anni. Spoiler, a fine carriera le presenze totali in giallorosso saranno 27, spalmate esclusivamente nella prima era consecutiva, a cui seguiranno seguenti stagioni senza nuovi ingressi sul terreno dell'Olimpico. Il verde, solo a Trigoria.
La prima presenza, si diceva. E' il 2002/2003 e in Roma-Torino 3-1 c'è anche lui, ragazzino di Faglianise, in provincia di Benevento. Negli ambienti della capitale, ma anche in quelli federali, si parla di lui come futuro del calcio italiano e della Lupa. Il futuro sembra scritto, ma questo si ingarbuglia spesso e volentieri. Diciamo, troppo. A 'gianlucadimarzio', Zotti, raccontò di quell'era giallorossa, di errori e rimpianti, di poteva essere e non è stato. Stessa solita storia, altra angolazione:
"Potevo arrivare lontano, lo dico sinceramente, chi mi conosce lo sa. Ero fortissimo, sognavo la Nazionale, Tancredi stravedeva per me. Bruno Conti e Fabio Capello mi dicevano che non avevano mai visto uno come me. Il Milan mi aveva offerto un contratto di cinque anni, ma non potevo lasciare la Roma. Mi aveva dato tutto, ero arrivato a 13 anni, amavo la città. È il mio grande rimpianto".
Il Milan è quello delle Champions, dei fuoriclasse e non dei dubbi. Non deve rinascere, non deve rispondere alla pressione di annate negative precedenti. Ha appena vinto il massimo torneo europeo contro la Juventus e vuole Zotti. Reattivo, attento tra i pali e nelle uscite, è il gioiello tra i pali della Roma. Il ragazzo, però, dice no per ringraziare la società di quanto fatto negli ultimi anni. E' cresciuto grazie a lei e alla sua gente, è arrivato ragazzino ed è diventato pian piano uomo.
Da calciatore professionista, vince gli Europei Under 21 nel 2004, dopo la prima stagione in cui vede il campo con regolarità. Sono ancora gli anni di Coppa Italia e Coppa UEFA che fan rima con snobbismo: gli allenatori delle big mandano in campo le riserve. Troppo preziosi gli elementi della rosa per buttarli nella mischia nelle altre competizioni, la Serie A è troppo importante. Meglio per Zotti, che gioca nove gare, sommandole alle tre del campionato 20023/2004. Si guadagna un posto con gli azzurrini, vince l'oro, anche senza giocare e tutto sembra filare liscio:
"Che emozione, il ragazzo di paese finalmente tra i grandi. Sono stati anni bellissimi, parai un rigore a Flachi e a fine anno vinsi l’Europeo U21 del 2004. Eravamo io, Agliardi e il mio amico Amelia. Non giocai, ma lo sento mio".
Qua, però, la storia comincia a scricchiolare. Perchè il rimpianto del no al Milan comincia a costruirsi. Lo Scudetto è ancora fresco, ma il fallimento dietro l'angolo. Nel 2004 la Roma cambia quattro allenatori, sballottata tra Voller, Conti, Prandelli e Delneri:
"Forse la peggiore di sempre. Alternai belle partite a prestazioni disastrose, immagina un ventenne in quel contesto. La contestazione dei tifosi, un clima infernale, i cali mentali. A fine stagione volevo andare via, pensai che Roma era diventata troppo grande, persi tutte le mie sicurezze. Volevo cancellare la stagione e ripartire. La società credeva in me, io meno, ma tornando indietro resterei nella Capitale".
Stavolta Zotti gioca più in Serie A che nelle competizioni 'minori' (secondo l'estetica ed etica del periodo), ma non è un bene. Fa male lui, spinto da un clima sempre più pressante e tossico, fa male la Roma, a fine anno ottava. E' in una delle società più importanti d'Italia e con un credito enorme anche in Europa, ma i risultati non ci sono, la fiducia manca, la possibilità di aspettare i giovani è nulla. O giochi 38 partite da 10 in pagella o vieni contestato: punto. Il solo Totti si salva, oltre la sfera dei giocatori contestabili.
Zotti rientra tra gli elementi che possono subire la gogna, purtroppo per lui. E' un ragazzino, è 'debole calcisticamente', non avendo esperienza e voce in capitolo: la vittima perfetta. Che non dimenticherà mai di essersi trovato al posto giusto, ma al momento sbagliato. Forse il più difficile, considerando le aspettative per il titolo conquistato pochi anni prima e le speranze di giovani sempre più pubblicizzati, agli albori dell'internet ovunque:
“È una cosa a cui penso spesso, avrei potuto fare un’altra carriera. Tutti i giorni faccio i conti con me stesso, cosa non è andato, cosa ho sbagliato".
GettyZotti lascia la Roma in prestito a 23 anni. Ha ancora tutta la carriera davanti, l'Ascoli è solo il primo passo per riprendere confidenza in sè stesso e tornare nella Capitale in maniera tronfia e trionfante. Sì, sarà nuovamente in giallorosso, ma solo negli allenamenti e nelle foto di squadra.
Perchè in bianconero farà panchina, chiuso da Coppola, alla Sampdoria giocherà tre gare. Non sarà mai un estraneo a Trigoria, ma quando ci tornerà, non potrà mai sorridere a trentadue denti per il suo nome accostato alla parola 'titolare', pronunciata nella seduta pre-partita ufficiale. Niente da fare.
Quando tornerà nel centro sportivo della Roma, un decennio dopo l'addio definitivo ai capitolini, troverà tante vecchie conoscenti tra gli invisibili, gli operai, i cuochi, i custodi, immerso nei ricordi di un mondo che l'ha assorbito e l'ha sputato in più direzioni, tutte sfortunate, tutte difficili da accettare:
"Potrei stare tutta la vita a dire che avrei potuto fare di più, ma poi? Che faccio? Ho buttato la mia carriera, lo sanno tutti, ora basta. Mi rimbocco le maniche e vado avanti".
Zotti, che dopo le esperienze in Serie A e al Cittadella, ha giocato l'ultima parte di carriera in Svizzera, poi ha lavorato nello staff del Lecco e del Benevento. E' rimasto fermo due anni quando ancora giocava per un intervento sbagliato al polso, si è messo d'impegno e nel 2019 ha cominciato a studiare per allenare quelli come lui, i difensori dei pali, nella speranza di una carriera più fortunata, maggiormente puntata a sfruttare le occasioni propizie:
"Ho tirato fuori tutta la forza che mi è mancata in questi anni. Mi sono curato da solo, ho ingaggiato un preparatore dei portieri per tenermi in forma e allenarmi. Certo che è assurdo, porca miseria. Io ho sbagliato, ci ho messo del mio, ma la fortuna non mi ha mai dato una mano. Mai. Neanche a dire, ‘non farmi infortunare, lasciami tranquillo".
Uno su mille ce la fa, ad arrivare in Serie A. Uno su cento, ci arriva, ma viene sbattuto fuori, non per sua volontà, non per gli errori capibili, accettabili e necessari, a vent'anni. Zotti, lanciato in orbita per poi cadere nel fosso della stagione più nera della Roma. Zotti, k.o più e più volte. Zotti, ad Ascoli per diventare grande, all'ombra di un Coppola mai più così fenomeno coi guantoni.
Zotti, quattro lettere simili a Francesco .otti. La dea Eupalla del pallone ha deciso così: solo uno con tal simil cognome ha potuto avere gloria eterna. L'altro, ha avuto rimpianto, eterno. Prima di rinascere, di dimenticare, di pensare al mondo del calcio da un'altra prospettiva: di chi, comunque, da un certo punto di vista, ce l'ha fatta. E non poco.
