Il primo goal del primo video che viene fuori dalla ricerca, su Youtube, di “Lamberto Zauli”, è un concentrato di classe ed estro, qualità tradotte in un’acrobazia al volo, in lancio verso il pallone, ad anticipare il difensore e ad impedire che la palla finisca sul fondo. Sembra una di quelle reti da cartone animato, tale da rivoluzionare la normale concezione della fisica applicata al corpo umano: d’esterno in tuffo, mentre si gira dall’altra parte, spedendo la palla esattamente tra l’incrocio e la mano del portiere, in un Vicenza-Sampdoria della stagione 1997/98. Figuratevi.
Per un’intera generazione Lamberto Zauli è stato il simbolo dell’incompiutezza legata alle indescrivibili potenzialità del talento. Il più chiaro e semplice esempio di “vorrei” a cui segue non solo il “posso”, ma anche il “quando posso”, tradotto con più accenti nelle movenze di un giocatore strutturalmente dedicato a zone più operaie del campo che, al contrario, aveva scelto la porzione più nobile, la trequarti, spazio per anni esclusivamente riservato a brevilinei, artisti del pallone, ingenerosamente precluso a chi allo stesso pallone dava del “tu” e del “noi”, con le sfumature sbiadite dei colori, ancora tutt’altro che in alta definizione, delle TV in chiaro.
In un certo senso, esteticamente è anche il giocatore simbolo degli anni ’90 per antonomasia: un prezioso lascito degli anni ’80, trainato a gran forza dalla scelta di tenere la maglia dentro i pantaloncini, piuttosto alti, tali da mostrar le cosce, svecchiato all’occorrenza e negli ultimi anni nel più libero stile, culminato nella ribellione dei calzettoni abbassati, pur mantenendo lo stesso ordine in termini di capigliatura, a metà tra la riga e la chioma trascinata indietro dalla forza delle dita.
Nonostante l’inesorabile scorrere del tempo, in volto Zauli è rimasto lo stesso dei filmati, non troppo nitidi, con la maglia biancorossa, pur in giacca e cravatta. Ha fatto pace con il calcio e con le sue regole, passando “dall’altro lato”, quello a metà tra il rettangolo verde e le sedute in panchina, figlio dei sacrifici e padre della sua svolta calcistica. Puoi vivere di ricordi, facendo altro, o prolungare il passato, trasformandolo: in fondo, ma neanche troppo, Zauli ha scelto di ripagare il debito con Francesco Guidolin, seguendone le orme.
Quando arriva al Vicenza, nel 1997, i biancorossi hanno appena vinto la prima e unica Coppa Italia della loro storia: l’ultima nell’ordine delle favole legate a una competizione da tanti definita “elitaria”, spesso a ragion veduta. Zauli è reduce dalla sua miglior stagione con il Ravenna, che combacia perfettamente con la miglior stagione in Serie B del club giallorosso: sintonia perfetta dettata dai colori, mai indifferenti per un romanista. All’inizio della sua avventura al Ravenna, interrotta da una parentesi al Crevalcore, si è imbattuto in un ex centrocampista dal carattere introverso e dall’ottima visione di gioco che ha fatto del 4-4-2 un ottimo punto di partenza per lo sviluppo del proprio calcio, dall’espressione del volto al limite tra l’apparente sofferenza e la viva tensione. Che poi è lo stesso uomo che lo ha voluto al Vicenza, poco dopo aver alzato al cielo la Coppa.
Guidolin ha in sé la capacità di sintesi che porta al bilanciamento del carattere calcistico di Zauli, improntato sul ragionamento delle azioni e sul temporeggiamento della giocata indotto dalla necessita di equilibrare un movimento costantemente al limite della precarietà: che poi è il grande compito in campo di chi si ritrova un fisico di un metro e novanta e abbastanza classe da muoversi sulla trequarti. Guidolin lo avanza ulteriormente, schierandolo direttamente dietro a Luiso, punta, ma chiedendogli di rientrare dall’esterno, portandosi appresso gli avversari e facendo così salire la squadra. Il resto deve farlo lui, con la tecnica e la fantasia.
Nei ricordi comuni, comunque, Zauli rimane insieme il calciatore amuleto al fantacalcio e una figurina Panini tra le più iconiche: per altri, invece, l’ennesimo profilo da accostare a Zinedine Zidane, in un’epoca storica in cui il francese aveva come rivali se stesso e la sua fama nel mondo.
Getty Images“Questo soprannome ormai appartiene al passato, anche se conservo dei bei ricordi. Sinceramente non ricordo la derivazione, ma ai tempi in cui militavo nel Vicenza mi chiamarono lo “Zidane del Triveneto”. Qualche “pazzo” mi aveva affibbiato questo soprannome”, spiega in un’intervista al momento della sua nomina ad allenatore della Reggiana, nel 2012.
Del carattere di Zidane, Zauli ha sempre conservato due elementi tangibili: l’imprevedibilità in campo e la compostezza in panchina (ha da poco rinnovato con la Juventus U23, in Serie C). Tra i goal del video che apre la ricerca su Youtube è possibile selezionarne tre, due con la maglia del Vicenza e uno con quella del Bologna (Guidolin lo porterà con sé anche a Palermo), che ben definiscono cos’altro è stato Zauli in Serie A: quello nel 3-0 al Perugia , in mezza rovesciata al volo; quello nel 2-3 contro l’Udinese, con la danza sul pallone degna di un sudamericano brevilineo che disorienta i difensori bianconeri a tal punto da farli sedere; quello in Bologna-Inter 2-1 (del 2002) con finta netta su Vivas e sinistro netto, a battere Toldo. Di quest’ultimo vale la pena ricordare la corsa a mani e braccia alzate di Guidolin, visibilmente in estasi.
Getty ImagesSicuramente curiosa la scelta del sottofondo preferito da chi ha caricato il video sulla piattaforma più famosa al mondo: “People have the power” di Patti Smith è il modo migliore per omaggiare il talento dei “se” che sarebbe potuto esplodere da un momento all’altro, rovinando l’epicità consegnata dal senso d’incompiutezza, riscontrata nel suo più alto momento calcistico.
“Ricordo tutto: l’atmosfera della città, la preparazione della partita, il pubblico, lo stadio gremito come non mai” , racconta al Corriere del Veneto nel 2020. Un anno dopo la vittoria in Coppa Italia, il Vicenza è in semifinale di Coppa delle Coppe , piccolo miracolo targato Francesco Guidolin: la gara d’andata della doppia sfida contro il Chelsea (di Vialli, Zola e Di Matteo) si gioca al Menti, in casa. Al 16’ lancio di Viviani per Zauli che aggancia al volo eludendo l’intervento dell’avversario, resistendo all’impatto con un altro difensore e concludendo con il mancino, battendo de Goey. “Ho ancora nelle orecchie il boato dei tifosi, un’emozione grandissima”, non basterà: al ritorno i Blues ribalteranno il risultato, vincendo il trofeo in finale.
Getty ImagesA cosa servono i titoli se riesci a scolpire il tuo nome nei cuori del calcio di provincia? L’ex trequartista del Vicenza non si è mai cristallizzato, ma è pur vero che non è riuscito ad uscire dalla categoria di calciatori epici legati a un preciso luogo nello spaziotempo: unica pecca di una carriera vissuta tra goal intrisi di rara bellezza e porte socchiuse di club d’alto livello. Nel 1997, prima di trasferirsi al Vicenza, si erano fatte avanti Inter e Lazio: ma, forse, una tra queste due non avrebbe reso Lamberto Zauli quel che è. Un indimenticabile pezzo del trascorso di una generazione.
