
C'è il Cafu vero e c'è l'altro Cafu. Che Cafu non è, ci somiglia soltanto, ma spera che gli altri non se ne accorgano. Ha anche lui la pelle scura, fa il terzino, spinge molto. Come Cafu. Ma non è Cafu. E così, quando sbarca a Parma nell'estate del 1996, qualcuno non riesce a trattenere un moto di delusione. Ma chi è questo Zé Maria? Di certo non è il treno – più avanti Pendolino – che ha alzato la Coppa del Mondo col Brasile due anni prima. Anzi, di presenze nella fase finale di un Mondiale non ne conta proprio.
La storia italiana di José Marcelo Ferreira, per tutti Zé Maria, inizia così: con qualche sopracciglio alzato. Il più celebre è quello, leggendario, di Carlo Ancelotti, il suo allenatore. Quel Parma, il Parma del 1996/97, dovrebbe in realtà allenarlo Fabio Capello. Pare tutto fatto, tanto che Lorenzo Sanz, il presidente del Real Madrid, spara: “Ha già firmato”. Secondo qualcuno, a fargli cambiare idea sono gli intoppi sul mercato. Nel maggio del 1996, i quotidiani sparano: “Rivaldo è già stato acquistato dal Parma”. E Cafu compierà lo stesso percorso. Del resto giocano nel Palmeiras griffato Parmalat, tutto in famiglia. Ma il primo prende la strada di La Coruña e il secondo arriverà in A dopo 12 mesi, sì, ma per giocare alla Roma. E così, al suo posto, ecco Zé Maria.
Che poi si parla di un illustre sconosciuto, ma fino a un certo punto. Il nuovo terzino gialloblù si è messo in mostra nella Portuguesa, ha attirato le attenzioni del Flamengo, ha giocato le Olimpiadi di Atlanta nella stessa estate in cui arriva a Parma. Ha pure esordito nella Seleção principale guidata da Mario Zagallo, successore del campione del Mondo Carlos Alberto Parreira, che lo ha convocato per la Gold Cup di inizio 1996. Lo hanno soprannominato così, Zé Maria, perché somiglia tanto all'altro Zé Maria, il più famoso, idolo della Portuguesa ma soprattutto del Corinthians. E di mercato, in quei mesi, ne ha. Eccome.
“ Avevo quasi firmato con il Real Madrid prima di venire in Italia – ha raccontato qualche tempo fa alla 'Gazzetta dello Sport' – Il mio desiderio era sempre stato quello di giocare nel campionato italiano, che per me in quel periodo era il campionato più forte al mondo. Ho deciso di alzare un po' la mia richiesta e da lì è saltato tutto. Ma è stato studiato a tavolino”.
Zé Maria esordisce col Napoli alla prima di campionato, una mezzoretta finale al posto di Mussi. Ma in Coppa UEFA non può giocare, non essendo stato tesserato in tempo. Ancelotti non se lo ricorda e in conferenza stampa ne annuncia la titolarità contro il Vitoria Guimarães. Poi, quando gli spiegano che non può farlo, dice: “Sono molto dispiaciuto, era un buon modo per facilitarne l'inserimento”. In ogni caso, l'avventura europea di quel Parma dura lo spazio di un mattino: i modesti portoghesi ribaltano al ritorno il ko di misura dell'andata e passano il turno.
Ancelotti crede in Zé Maria. Lo fa giocare praticamente sempre. Quando Benarrivo si fa male, arriva a spostare Mussi sulla sinistra per fargli spazio. Ma quel Parma stenta. A un certo punto del campionato è addirittura quattordicesimo, lontanissimo dai primi posti e un punticino sopra la zona retrocessione. E qui, arriva la svolta. Della stagione ducale, sì. Ma anche della carriera di Carlo Ancelotti. Prima della partita contro il Milan del 22 dicembre 1996, il giovane Carletto è un dead man walking. Tradotto: se non vince è esonerato. Lo salva Mario Stanic con il suo celebre colpo di testa vincente agli sgoccioli del primo tempo. Ma chi lo batte quel calcio d'angolo? Già, Zé Maria.
La riconoscenza del Parma nei confronti del brasiliano non durerà in eterno. In quel 1996/97 saranno 25 le presenze totali, più altre 20 nella stagione successiva. Poi si consuma il divorzio. Con Ancelotti, che nel febbraio del 1999 prenderà in mano le redini della Juventus. Ma anche con Zé Maria. Che nel frattempo ha conquistato la Copa America boliviana del '97, ma ha vissuto una delle delusioni più grandi: la mancata convocazione per i Mondiali francesi. Colpa di una Gold Cup deludente e qualche problema con Zagallo, che lo schiera durante il torneo nonostante una persistente pubalgia, peggiorando ulteriormente una situazione già delicata.
“Ho pianto molto – ha raccontato in una lunga intervista al portale brasiliano 'Ludopedio' – e per la frustrazione legata alla mancata convocazione, nel '98 ho chiesto di lasciare il Parma. Non era molto normale. Ero in una delle migliori squadre italiane, in una delle sette sorelle. Ma ho chiesto di andar via. “Dove vuoi andare, in Brasile?”. “No, a Perugia”. Non sapevo nemmeno dove si trovasse Perugia, sapevo solo che c'era una squadra di calcio”.
E così, Perugia sia. Ancora in Italia. L'uomo che del nostro paese sapeva “soltanto che la Torre di Pisa è un po' inclinata”, pian piano, inizia ad abituarsi. Con fatica. Perché quella fastidiosa pubalgia proprio non vuol sapere di dargli pace. Il medico sociale del Grifo, a un certo punto, prospetta a Zé Maria addirittura lo scenario di un precoce addio al calcio, se l'infortunio non sarà curato nel modo giusto. Fortunatamente non sarà così, ma intanto i primi tempi perugini sono complicati. Tanto che il clone di Cafu a un certo punto se ne torna in patria per due volte, entrambe in prestito, prima al Vasco da Gama e poi al Cruzeiro. E vince: il defunto Torneo Rio-São Paulo con i Cruzmaltinos, una Copa do Brasil con la Raposa.
Il rientro al Perugia avviene nel 2000. E lì inizia tutta un'altra storia. È l'anno in cui in Umbria giunge una flotta di illustri sconosciuti. A partire dalla guida tecnica: un giovane Serse Cosmi, cappellino perennemente appoggiato sulla testa e atteggiamento che gli varrà una leggendaria imitazione di Maurizio Crozza a 'Mai dire Gol'. E poi Grosso, Di Loreto, Liverani, Baiocco, Vryzas. E non solo. Zé, finalmente, trova continuità. Gioca largo a tutta fascia nel 3-5-2 di Cosmi, non ha più problemi fisici, può scaricare in campo la propria energia repressa. E segna parecchio per un esterno: 16 volte in tre anni, quasi sempre su rigore (12). Più 6 assist.
L'avventura si chiude nel 2004. Paradossalmente, al termine della sua stagione migliore dal punto di vista realizzativo: 7 reti. Il Perugia è reduce dal decimo posto della stagione precedente, ha iniziato l'annata con un'esaltante esperienza in Intertoto, ma in campionato ha sofferto. Neppure l'arrivo di Fabrizio Ravanelli è servito per tirarsi fuori dalle acque melmose della zona retrocessione. E nell'inedito doppio spareggio playout contro la Fiorentina, sesta in Serie B, ha avuto la peggio: 0-1 al Curi, 1-1 al Franchi. È Serie B. Dove Zé Maria, che si è ormai fatto un nome e una valutazione come uno dei migliori esterni del campionato, proprio non può restare. L'addio è inevitabile.
“L'Umbria ce l'ho nel cuore – ha raccontato a 'Il Posticipo' – Sono rimasto a Perugia per cinque anni, gli ultimi quattro sono stati molto intensi con Cosmi. Abbiamo vinto l'Intertoto, l'unico trofeo nella storia del club. Da Perugia sono passati giocatori fortissimi: qualcuno ha vinto il Mondiale come Grosso e Materazzi. Gattuso stesso ha giocato lì. In quattro anni abbiamo fatto cose che non si erano mai viste. Quella squadra non guardava in faccia nessuno, soprattutto quando giocava al Curi. Poi sono rimasto a vivere a Perugia”.
Il capitolo successivo si chiama Inter. Nelle due stagioni a Milano, dal 2004 al 2006, Zé Maria non viene mai trattato da intoccabile da Mancini. Non lo è, non può esserlo. Però, spesso da esterno alto nel 4-4-2 di Roberto Mancini, dà il proprio contributo in una squadra che non riesce praticamente mai a lottare per il primo posto. Specialmente nella prima stagione, nella quale, pur sedendosi spesso in panchina, sforna 5 assist e il 18 aprile segna la sua unica rete nerazzurra. L'Inter è reduce dalla notte dei bengala nel derby di Champions League, ospita il Cagliari, vince 2-0 e il primo sigillo è proprio del brasiliano.
“L'Inter è stato il coronamento della mia carriera – ha detto Zé Maria ancora a 'Il Posticipo' – Tutti dicono che col mio potenziale meritavo di più, ma io non ci credo. Penso che ogni giocatore sia arrivato dove meritava di arrivare. Ho indossato la maglia del Brasile, era il mio sogno. Poi sono sbarcato in Italia all'Inter, una delle squadre più grandi del calcio mondiale. Ho giocato con campioni del mondo, grandi persone dentro e fuori dal campo. Ho stretto la mano a Moratti, uno dei più grandi presidenti della storia. Anche Facchetti era una persona eccezionale. Ho vinto anche dei trofei a Milano”.
I trofei in questione sono lo Scudetto del 2006 assegnato a tavolino all'Inter dopo lo scandalo Calciopoli, ma soprattutto la Coppa Italia del 2005 e del 2006 e la Supercoppa Italiana del 2005. Nella prima finale di Coppa Italia contro la Roma, Zé Maria piazza lo zampino: assist pennellato su punizione per Adriano, che timbra di testa il raddoppio. Ma è speciale anche la Supercoppa in casa della Juventus di Ibrahimovic e Capello, anche se l'ex perugino rischia la frittata con un sospetto fallo di mano in area.
Sono gli ultimi scorci di Italia. L'avventura di Zé Maria, che ha già passato la trentina, è destinata a concludersi. Lo vuole il Levante, lui piange perché non vuole cambiare nazione, ma alla fine cede. E si innamora di Valencia: “Per il clima è una Rio de Janeiro europea. Però più sicura”. Piange anche quando se ne va, perché la Spagna gli è entrata nel cuore. Va allo Sheffield United, ma non gioca mai. Il ritorno amarcord alla Portuguesa si risolve in un nulla di fatto, così come il rientro in Italia, ancora in Umbria, per giocare con il piccolo Città di Castello (Eccellenza): zero presenze. È la fine, che successivamente diventerà nuovo inizio in panchina.
Il Zè Maria allenatore è tornato al Parma, dove è stato inserito nel settore giovanile in qualità di collaboratore tecnico. Una 'reunion' dai contorni nostalgici.
