Pubblicità
Pubblicità
VonlanthenGoal

Johan Vonlanthen: il recordman degli Europei passato da Brescia. Che non voleva giocare di sabato

Pubblicità
Archivio Storie

25 novembre 2003. A Monaco, Principato, risuona la musichetta della Champions League. Schierati in mezzo al campo con le braccia dietro la schiena ci sono leader del calcio mondiale indimenticabili. Morientes, Giuly, Evra, Robben. C'è chi ha superato i trenta e chi non si avvicina neanche lontanamente, ai venti. Tra i ventidue scelti, come gli è capitato negli anni precedenti e capiterà in quelli futuri, è di gran lunga il più giovane, unico 17enne tra i padroni di casa e il PSV, squadra in cui è appena approdato. Scovato dallo Young Boys, certo e sicuro di spedirlo nella mischia del pallone professionista già a 16 anni, Johan Vonlanthen viene ammirato dai coetanei di tutto il mondo, al momento del suo esordio autunnale di diciannove anni fa. Squadrato dai vecchi fans da Timbuktu a Portland (Maine o Oregon). Giudicato esteticamente. Applaudito dalla famiglia e dagli amici. Avvicinato da chi ha cercato per tutta la vita. Suo padre. Ancora lontano da ciò a cui si è aggrappato nei momenti più bui: la religione.

Quando si parla di Vonlanthen, ci si riferisce ad un teenager da record. Come tanti. Come nessuno. Perché Johan fa parte di una categoria con pochi membri, per cui basterebbero probabilmente le dita di una mano. Non si è perso immediatamente dopo aver aiutato la narrazione dell'Under fenomenale che può cambiare la storia del calcio, fallendo sotto pressione e paragoni, ma non ha neanche raggiunto gloria eterna rispettando le attese di media, tifosi e protagonisti del calcio. Ha giocato per anni nella Nazionale svizzera, in Champions ed Europa League. Detiene una statistica importante ancora oggi. Ma in tutto questo ha anche deciso di appendere gli scarpini al chiodo a 26 anni. A terra, senza sapere che fare della sua vita, per essere veramente felice, si è immerso nella sua terra natia per cercare di trovare se' stesso. Tra religione e DNA.

Nato in Colombia dove la spiaggia incontra il Mar dei Caraibi, in quel di Santa Marta, Vonlanthen non viene al mondo come Vonlanthen. E' un Rodriguez, come suo padre Milton, 18enne colombiano che non reggerà alla pressione di una famiglia ad una così giovane età. Fino all'esordio con il PSV in Champions League, non avrà mai modo di conoscerlo. Cresciuto in una piccola casa che a malapena poteva contenere i dodici abitanti, tra cui la nonna e la madre, la signora Benavídez, cercherà per anni una figura paterna.

Ragazzo di poche parole, Johan non dimenticherà però mai di rimarcare in tutte le interviste, soprattutto a carriera finita, una cosa: la mancanza di una famiglia su cui contare, soprattutto il padre, non trasformeranno mai i suoi record in un posto nella Hall of Fame calcistica. Quella figura paterna non sarà il patrigno Roger, che in vacanza in Colombia incontra la madre del piccolo, innamorandosene perdutamente. Il bambino ha sette anni quando la madre si trasferisce in Europa, lasciandolo alle cure della nonna per altri cinque anni, insieme al fratello e la sorella.

Johan VonlanthenGetty

DALLE SPIAGGE COLOMBIANE ALL'ASCESA SVIZZERA

La madre di Johan lascia il figlio in Colombia, incontrandolo una volta all'anno per le vacanze. E Roger? Lascia al classe 1986 il cognome. Dopo sette anni di Rodriguez prima e Benavídez poi, diventerà Vonlanthen. Fino ai dodici anni rimarrà in Sudamerica, giocando sulla spiaggia, mostrando talento nel segnare reti, ma senza alcuna pressione. Basti pensare che allora giocherà anche come portiere, ritrovandosi incollato per un po' di tempo il soprannome di Higuita, uno dei miti del paese insieme al concittadino Valderrama.

Nel 1998, Roger Vonlanthen decide che è il momento di portare in Svizzera il dodicenne Johan, insieme ai suoi due fratelli. E' l'inizio della sua vita calcistica, fulminante e in continua ascesa. Scelto dal locale FC Flamatt, nel cantone elvetico di Friburgo, verrà scelto nel giro di un anno dallo Young Boys. Il passo è svelto, la precisione chirurgica sulla trequarti talmente illuminante da portarlo in prima squadra un biennio dopo il suo arrivo a Berna. Il 2001 è il primo anno da record per lui: diventa il più giovane marcatore nella storia del campionato locale, riuscendo a trovare continuità nell'annata successiva, quella dei primi sguardi della grande Europa. Dall'Italia, dalla Spagna e dall'Olanda si fanno avanti. C'è chi propone un piano lungo ed elaborato fatto di prestiti e chi provini in scala per poter essere scelto. E chi, invece, come il PSV, che non vuole perdere tempo.

E così, l'inizio della storia. Vonlanthen gioca in Olanda, segnando le prime reti in un campionato di più alto lignaggio, quando ha 17 anni. L'età in cui conoscerà per la prima volta la voce del padre Milton. A Blick, chiusa la carriera, racconterà quel rapporto cercato ed inseguito per tutta la vita, decisivo nel bene e nel male:

"Giocavamo la Champions League contro il Monaco e la partita era trasmessa in diretta anche in Colombia. Si è messo in contatto con mia nonna, a quanto pare prima, ma non me l'ha mai detto. L'ho incontrato per la prima volta quando ero con la mia famiglia in vacanza. Era speciale. Se avesse sposato mia madre mi sarei chiamato Johan Rodriguez. Come James Rodriguez... Ma non sono l'unico in Colombia ad avere una storia del genere. Capita spesso che tu faccia delle cose e poi scappi. Ma penso anche che sia stato importante da parte sua cercarmi. Voleva solo un po' del mio successo? Gli ho parlato di queste cose, ovviamente".

MARCATORE PIÙ GIOVANE NELLA STORIA DEGLI EUROPEI

La gara contro il Monaco sarà solamente una delle poche giocate da Vonlanthen in Europa. Risulta però ancora essere tuttora uno dei più giovani esordienti di Champions League. Nessun record da questo punto di vista, ma solamente una goccia in un bicchiere. Non nell'oceano, sia chiaro. Il grande dato, che resiste nel 2022 dopo essere stato creato nel 2004, è quello di teenager numero uno nella storia degli Europei. In termini di precocità. Gli Europei di diciotto anni fa sono tra i più curiosi di sempre. Basti pensare alla vittoria della Grecia, ma anche al susseguirsi di sorpassi nella statistica che rende JV ancora il leader.

Prima Cristiano Ronaldo, poi Rooney e dunque Vonlanthen entrano nella top dei più giovani marcatori nella storia degli Europei. Il record che Dragan Stojkovic aveva reso suo nel 1986, strappandolo all'ungherese Ferenc Bene, viene avvicinato dal 19enne CR7 (non ancora possessore di tale marchio) il 12 giugno, ma è solamente con il ragazzo di Liverpool, Wayne, il 17 dello stesso mese, che passa di mano.

Rooney non fa nemmeno in tempo a festeggiare, o a rendersi conto, di aver scritto la storia, che Volhanthen, di circa cento giorni più giovane, segna alla Francia nella gara persa dalla sua Svizzera per 3-1. Il numero ventidue conclude una grandiosa azione della Nazionale elvetica. Già, non rappresenta la Colombia dove è nato, ma bensì il paese in cui ha vissuto di meno, ma in cui ha cominciato a giocare a calcio con gli scarpini indosso, dopo gli anni a piedi scalzi sulle spiagge di Santa Marta.

A 18 anni e 141 giorni, Vonlanthen è il più giovane marcatore nella storia degli Europei e lo sarà almeno fino al 2024, data in cui si disputerà il torneo tedesco, tre anni dopo il successo dell'Italia a Wembley:

"Sono successe molte cose dopo quel goal. Avrei dovuto essere molto più paziente. Volevo tutto troppo in fretta, anche per sostenere finanziariamente la mia famiglia. Che sia zio, cugino o chiunque altro. Da quando ero allo Young Boys, da quando avevo 16 anni. Ho speso la maggior parte dei miei soldi per questo. A qualcuno mancava sempre qualcosa? Mi faceva stare male quando qualcuno stava male, così contribuivo. Non ho mai pensato veramente a me stesso".

Il ragazzo ha tutti gli occhi addosso, ma nella stagione post record il salto di qualità estremo non riesce. Del resto è ancora giovanissimo e al PSV la concorrenza è spietata. A Eindhoven si opta per il prestito. C'è una squadra, a Sud, che lo cerca da tre anni. Gli arrivi di Baggio e Guardiola l'hanno inserita nel panorama calcistico internazionale e Gino Corioni, il suo presidente, cerca, ovviamente, di sfruttare quest'esplosione di notorietà.

Johan Vonlanthen BresciaGetty

BRESCIA: VORREI MA NON POSSO

E' il Brescia, nel gennaio 2005, ad acquistare Vonlanthen. In prestito, certo, ma dopo un lungo corteggiamento è un primo passo, in vista di un possibile riscatto. De Biasi, tecnico delle Rondinelle, ha minacciato le dimissioni se la situazione non verrà risolta dal calciomercato. La società vi pone rimedio con gli acquisti di Berretta, Delvecchio, Wome e dello stesso Johan, carico per la nuova avventura:

"Ho lasciato il Psv Eindhoven per contribuire alla salvezza del Brescia. Spero di giocare, ma conosco la situazione della squadra. La classifica non è piacevole. La ribalteremo. La serie A è la mia grande occasione. Ho visto Delvecchio giocare in Nazionale, in questi giorni ho imparato ad apprezzare Caracciolo. Io mi ispiro a Larsson, il centravanti del Barcellona. Spero di assomigliargli, sarei felice di ripercorrere le sue orme. Questa è una tappa fondamentale per la mia carriera".

Al Brescia, Corioni in testa, l'acquisto di Vonlanthen che porta con sè un curriculum già importante nonostante i 19 anni nella carta d'identità, l'entusiasmo è palpabile:

"Lo seguivamo da tre anni. E' uno dei migliori giovani europei. Fra un anno e mezzo potrebbe diventare nostro a tutti gli effetti: il diritto di riscatto è fissato a 8 milioni".

Il riscatto, però, non arriverà mai. Il Brescia cambierà comunque allenatore, scegliendo Cavasin e un 3-5-2 in cui Vonlanthen non riuscirà ad inserirsi. Gli esordi, però, sono il suo forte. Si procura un rigore contro l'Atalanta, porta il nuovo tecnico ad elogiarlo. Ci crede, ci spera, Johan:

"Qui non mi conosce nessuno: devo dare il meglio in fretta per mettere a frutto l' esperienza italiana e meritare un posto in squadra. Il rigore che mi sono procurato contro l'Atalanta era netto. Se l' allenatore e i compagni me l'avessero chiesto, l'avrei anche tirato. Per la salvezza del Brescia, questo e altro".

Il Brescia, però, chiuderà il campionato al 19esimo posto, retrocedendo in Serie B e perdendo l'opportunità di riscattare Vonlanthen.

LA CHIESA AVVENTISTA DEL SETTIMO GIORNO

Tornato in patria, il PSV opterà per una nuova cessione in prestito, stavolta al NAC Breda, dove Vonlanthen potrà finalmente essere titolare, sfruttando l'occasione segnando con regolarità in diverse posizioni, schierato come trequartista, ala, punta. Le dodici reti segnate nelle varie competizioni non lo porteranno in alto, ma bensì a giocare in un campionato, quello austriaco, non proprio top. A Salisburgo, però, può recarsi con più facilità dalla famiglia, la sua ancora di salvezza.

Vonlanthen ha infatti sempre sofferto la solitudine dai tempi olandesi, e la possibilità austriaca, nonostante non sia un passo in avanti, lo aiuta emotivamente e psicologicamente. Non abbastanza, perché dopo un quadriennio al Salisburgo e il più prolifico anno della sua carriera, in quel di Zurigo, deciderà di tornare in Colombia.

Ad appena 25 anni, da giocatore che ha trovato la sua dimensione in Europa, la scelta è sorprendente. Nessuno scava dietro la patina del titolone sensazionalistico. Si scriverà che Vonlanthen vive nella foresta colombiana con barba lunga, piedi scalzi e sermone sempre pronto. In realtà il ragazzo vuole riprendere i rapporti con il padre, capire se stesso e immergersi nella fede.

Johan Vonlanthen SwitzerlandGetty

Per Vonlanthen, infatti, la fede lo ha aiutato nei momenti più bui, a cominciare dal 2008:

"Quando sono andato in Olanda, a 17 anni, anche se non ho avuto problemi con i compagni di squadra, mi sono sentito molto solo. Vivevo in appartamento e piangevo tutta la notte. Mia madre veniva raramente a trovarmi perché in Svizzera era nato il mio fratello minore. Sì, ero depresso. Anche se andava tutto bene, non ero felice, avevo bisogno di qualcosa di piccolo. Fu allora che iniziai ad ascoltare e studiare la Bibbia con una donna che era avventista. Sebbene la mia vita stesse andando bene con fidanzate, feste e partite, ho iniziato a studiare e leggere la Bibbia. Quando le cose sono andate male, mi sono inginocchiato e ho iniziato a pregare. Un ambiente stabile è incredibilmente importante. Ho completamente sottovalutato di essere solo all'estero".

Attorno a Vonlanthen ci sono diversi membri del movimento della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno. Sempre più desideroso di conoscere a fondo questo mondo, opta per l'Itaguì, squadra colombiana. In questo modo, può finalmente costruire un rapporto con il padre Milton, ma allo stesso tempo rispettare il suo credo del sabato sacro. Per gli avventisti, infatti, il giorno settimanale sacro è il sabato. Al ragazzo, sin da quando ha vent'anni, giocarci è un bel problema, ma da professionista che deve sorreggere finanziariamente la propria famiglia, qualcosa deve essere messo da parte:

"Quando ho iniziato a capire cos'è il sabato, una benedizione, una santificazione diversa da qualsiasi altro giorno, ogni volta che giocavo in tale giorno era più difficile. Sapevo che stavamo sbagliando nel giocare o lavorare il sabato. E' stato difficile, ha spezzato qualcosa nella mia carriera calcistica. Voglio dire, all'età di 20 anni ho iniziato a parlare del sabato del Signore. Non che dicessi no all'allenatore, ma sapevano che mi dava fastidio. Ci ho giocato per rispetto del contratto. In termini di goal l'anno di Zurigo è stato il migliore. Chiesi al presidente della squadra di lasciarmi i sabati liberi, ma la sua risposta fu no, perché in Svizzera quasi tutte le partite sono di sabato. Mi disse 'Se avessimo 30 partite la domenica e 6 il sabato, ti darei il sabato libero, ma dato che la Svizzera ha 30 partite il sabato e 6 la domenica all'anno, non giocheresti".

UNA FIGURA PATERNA E IL SABATO SENZA GIOCARE: LA COLOMBIA

Terminato il contratto con il Salisburgo e il prestito allo Zurigo, per Vonlanthen arriva l'ora di ascoltare il suo credo: rifiuta le offerte da Francia, Svizzera, Russia e Grecia. Sceglie la Colombia, la possibilità di riposarsi il sabato e costruire un rapporto con il padre:

"Ho detto a Milton, il mio padre biologico, che volevo venire in Colombia perché si gioca la domenica e il mercoledì, e talvolta solo il sabato In chiesa non vado, credo in me stesso. Ho trovato le risposte per me stesso nei due anni in Colombia con mia moglie. Ci siamo sostenuti a vicenda, volevo cercare Dio. Nel 2011 ho fatto i conti con la mia vita. Volevo costruire una relazione con mio padre, cercavo una figura paterna. Ho sempre aiutato tutti, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse".

Il periodo di Vonlanthen in Colombia è poco sportivo e più che altro extra-calcio. Le partite con l'Itaguì, oggi Águilas Doradas Rionegro, sono appena cinque, ma gli anni in patria, due. Nello specifico non si sa molto, se non le voci che lo vedono scalzo e con la barba lunga in una piccola casetta nella foresta, mai confermate o smentite dallo stesso Johan.

Vonlanthen sembra aver detto addio al calcio per dedicarsi al rapporto con il padre e alla religione, ma una volta ottenute delle risposte dal mondo e da se', spolvera nuovamente gli scarpini per tornare nell'altra sua nazione, la Svizzera. Riprende a giocare di sabato, con le maglie di Grasshoppers, Schaffhausen, Servette e Wil. Definitivamente, a 32 anni, dice basta. Trovato il suo interiore, diventa uno dei fondatori della Sport&More, aganzia di management di giovani talenti creata allo scopo di supportare gli stessi non solo dal punto di vista sportivo, ma soprattutto psicologico.

Vuole essere un aiuto per chi, come lui, si affaccia al mondo del calcio giovanissimo, lontano da casa (seppur aiutato in maniera roboante dalla tecnologia, a differenza dei suoi tempi), schiacciato dalla pressione, con questioni personali da risolvere, nonostante le luci della ribalta a cui rispondere, giorno dopo giorno. Tutto ciò che Vonlanthen ha vissuto sulla sua pelle. Un giocatore negli almanacchi del calcio per il record agli Europei. Nel libretto delle meteore per il passaggio a vuoto a Brescia. Interessante, per aver vissuto una vita sia comune che speciale. Alla ricerca di una figura paterna, di un bilanciamento tra sport e fede.

Pubblicità

ENJOYED THIS STORY?

Add GOAL.com as a preferred source on Google to see more of our reporting

0