Dopo lo scoppio della pandemia a inizio 2020 e il conseguente stop del calcio a livello mondiale, il primo campionato di rilevanza a ripartire è stato quello tedesco, grazie al famoso ‘protocollo’ dal quale poi hanno preso spunto tutte le altre leghe, europee e non.
Se le prime tre serie, quelle professionistiche, hanno potuto garantire la ripresa in sicurezza, nei piani inferiori non è stato lo stesso. In Regionalliga, la quarta serie, i cinque gironi si sono gestiti in maniera differente: il girone della Baviera ha deciso di fermarsi e di promuovere immediatamente il Türkgücü di Monaco, largamente capolista al momento dello stop. Una decisione che ha fatto la storia non solo dal punto di vista amministrativo, ma anche dal punto di vista di un club che per la prima volta accedeva al calcio professionistico tedesco.
A neanche due anni da quella promozione, il Türkgücü rischia di scomparire, schiacciato dai problemi economici che la pandemia ha contribuito ad acuire. Ma non solo. Per ora la certezza è che il club ha avviato la procedura di insolvenza e, dopo alcune penalizzazioni comminate dalla Federazione, si è di fatto ‘ritirato’ dalla 3. Liga e tutte le partite disputate in stagione sono state annullate. In questo momento è impossibile stabilire se l’anno prossimo potrà, di fatto, esistere.
TÜRKGÜCÜ, I TURCHI DI MONACO: LA STORIA
La storia del club inizia piuttosto di recente, nel 1975, e non è una storia come tutte le altre. Il Türkgücü München (che tradotto significa più o meno ‘la forza turca’) viene infatti fondato da due lavoratori stranieri di stanza nella capitale bavarese e ben presto diventa la squadra della comunità turca di Monaco. L’attuale (ancora per poco) logo raffigura questa doppia anima: per metà la bandiera turca, per metà i rombi bavaresi bianco-azzurri. Dopo essere passato attraverso varie fusioni, ha trovato una propria stabilità nel 2009.
La vera ‘nuova era’, però, è iniziata nel 2001, quando al vertice del club è arrivato l’imprenditore HasanKivran, che si occupa di noleggio auto e curiosamente ha già un passato nelle giovanili, da calciatore. Già in precedenza la polisportiva era stata in mano a business-men turchi che vivevano in Germania, ma nessuno aveva deciso di investire quanto Kivran: con lui la squadra ha vissuto tre promozioni consecutive passando dai dilettanti ai professionisti, dalla sesta alla terza serie, diventando la prima squadra fondata dai migranti (e ce ne sono svariate in ogni grande città) ad arrivare nel calcio professionistico. E quella che fino a quel momento era una squadra riservata quasi esclusivamente a turchi è diventata a tutti gli effetti una realtà aperta anche ai tedeschi. Soprattutto, in gran parte dei casi, ‘soffiati’ alle dirette concorrenti serie per serie.
L’obiettivo dichiarato di Kivran era quello di ‘superare’ il Monaco 1860 come seconda squadra della città, dietro ovviamente al Bayern Monaco. Con ingenti investimenti e nuove partnership, il Türkgücü ha impennato il suo rendimento e la sua notorietà, ma non ha mai raggiunto la popolarità. Non è riuscito a conquistare nuovi tifosi, ha sempre avuto un seguito piuttosto ridotto. Non ha funzionato nemmeno il ritorno del calcio all’Olympiastadion, dove ha disputato alcuni match casalinghi: il Fußball lì mancava dal 2005, quando Bayern e 1860 si erano trasferite all’Allianz Arena, prima che poi il Sechzig si spostasse nel più piccolo Grünwalder, dove gioca anche tuttora.
SV Türkgücü-AtasporQuesti miglioramenti tecnici si sono scontrati con alcuni limiti strutturali, legati soprattutto alle infrastrutture di cui usufruisce la prima squadra e al settore giovanile, particolarmente trascurato, almeno rispetto a quelli che sono i canoni richiesti dalla DFB e le spese per il monte stipendi della prima squadra. Forse il club ha fatto il passo più lungo della gamba.
In più la figura di Kivran è diventata particolarmente controversa per il suo modo autoritario di gestire il club, in contrasto con quella che sarebbe la regola del 50+1 e dell’associazionismo tedesco. E le sue continue minacce di ‘fuga’, lasciando la società di fatto in mezzo ad una strada, non hanno contribuito a renderlo popolare nell’ambiente calcistico. Per non parlare della controversa figura del direttore generale Max Kothny, anni 25 compiuti lo scorso dicembre, oppure del ricorso presentato nell’agosto 2020 contro la partecipazione alla DFB-Pokal dello Schweinfurt (2° classificato nel 2020, a cui è stato concesso l’accesso solitamente spettante ai vincitori dei gironi).
Insomma, ciò che rimane di un club che preservava le radici turche in Germania, ad oggi, è nulla. Dall’1 aprile tutti i contratti saranno terminati e non è ancora dato sapere “se e quando” il club potrà effettivamente tornare a giocare. Qualcuno parla di ripartenza dalla dodicesima serie, altri sperano in un salvataggio. Restano solo le radici. Oltre a quello, poco altro.
