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Toni Kroos Germany 2021Getty Images

Toni Kroos: la parte razionale del calcio

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Se il calcio è passione, Toni Kroos è l’opposto, è la parte razionale del gioco. Così Ronald Reng, giornalista tedesco, ha tracciato il profilo di uno dei centrocampisti che sta maggiormente segnato quest'epoca del calcio. L’uomo dietro le quinte: non è quello di cui tutti si ricordano, anche per il suo carattere spesso introverso, schivo verso la popolarità - non ama le interviste e i gala, se non quelli organizzati per la sua fondazione per aiutare i bambini malati - ma quello di cui nessuno vuole fare a meno. Un perfezionista del gioco, dalla fine tecnica e dall’attitudine che qualcuno definirebbe ‘teutonica’. Il perfetto prototipo di calciatore tedesco. “In allenamento l’ho visto perdere palla forse una volta”, ha detto Zinédine Zidane. Probabilmente, in un’ipotetica classifica, il terzo allenatore più importante della sua vita. Dopo Jupp Heynckes e Roland Kroos. Suo padre.

Se Toni è diventato un professionista, lo deve anche all’uomo che lo ha cresciuto sia umanamente, sia calcisticamente. Roland, per metà padre, per metà allenatore. Toni è cresciuto a Greifswald, nell’ex Germania dell’Est, affacciato sul mar Baltico. Con il mito del WerderBrema di Otto Rehhagel, ispirandosi a Joan Micoud, l'ex Parma, autore di due stagioni in chiaroscuro in Serie A e numero 10 dei grünweiss all’inizio degli anni duemila. Il suo idolo e modello, il primo nome portato dietro una maglia. A parte il suo. Prima nella squadra della sua città, poi nell’HansaRostock. Il club voleva tutta la famiglia: Roland come allenatore delle giovanili, Toni e il fratellino Felix in campo a stupire. Il più famoso dei Kroos sarebbe rimasto fino ai 16 anni, prima di attraversare la Germania da nord a Sud per firmare con il Bayern Monaco.

Sembrava un matrimonio logico, destinato ad avere successo. Uno dei migliori talenti tedeschi nel club tedesco più vincente di sempre. In pieno stile Bayern. Invece, nonostante le premesse, per Toni Kroos è stata un’esperienza solo in parte memorabile. L’esordio faceva ben sperare: settembre 2017, 17 anni, due assist per Miro Klose. Un mese dopo, contro la Stella Rossa, un assist e un goal su punizione per ribaltare la partita negli ultimi dieci minuti. Ottmar Hitzfeld, allenatore di quel Bayern, stava scoprendo una star. A frenare gli entusiasmi quella sera fu il presidentissimo Uli Hoeneß.

“Migliore in campo? Lúcio, ha vinto lui la partita. Kroos? Basta esagerare sui giovani, ha segnato una punizione che avrebbero potuto mettere tutti”.

Toni Kroos FC Bayern 17032012Getty Images

Qualche ora dopo, chiarimento in conferenza stampa. Uli si era promesso di proteggere Kroos, non voleva che venisse travolto dall’hype, come successo ad altri giovani. Si era augurato che Toni potesse rimanere al Bayern per altri 15 anni. Non sarebbe andata così. Anche se tutto verteva nella giusta direzione. Visto il poco spazio con Klinsmann, scelse la via del prestito al BayerLeverkusen dove conobbe JuppHeynckes. L’uomo che in 18 mesi gli cambiò la carriera. Lo schierò in una posizione più offensiva, dove Toni poteva leggere meglio il gioco, stare più vicino all’attacco, dare libero sfogo al suo estro. Quel Leverkusen rimase in vetta alla classifica della Bundesliga per diverse giornate, prima di cedere il passo all’armata Bayern di Louis Van Gaal. A vent’anni appena compiuti, Kroos dominava in campo e stupiva l’intera Germania. La stagione 2009/10 per Toni Kroos si concluse con 9 goal, 12 assist. L’estate successiva è volato in Sud Africa con la Germania. Per poi essere riaccolto da un Bayern pronto a dargli finalmente lo spazio che credeva di meritare. Apparentemente.

“Ho scelto la strada più difficile. Ho firmato il prolungamento col Bayern nell’ufficio di Rummenigge. Dieci minuti dopo me ne sono pentito. Non sentivo che il club fosse soddisfatto. Sembrava più qualcosa per far stare meglio me, per farmi dare di più”.

Nel 2011 Kroos ritrovò Herr Jupp a Monaco. Sembrava il punto di svolta. Eppure quella stagione rimane una delle più difficili da dimenticare nella carriera del classe 1990. Per un episodio: la finale di Champions League del 2012 persa in casa contro il Chelsea. Nella serie finale di rigori, Kroos aveva deciso di non presentarsi dal dischetto. Aveva già sbagliato col Real in semifinale, non si sentiva scuro di segnare, preferì cedere il passo. Una scelta razionale. Come tutte le decisioni prese da Kroos in carriera. La delusione travolse la città. Uli Hoeneß in seguito ha dichiarato che “se Kroos avesse tirato bendato nel buio a mezzanotte avrebbe sempre segnato, ma quel giorno non tirò”. Un attacco alla sua personalità. Il successo del 2013 non fu appieno sufficiente a lenire la delusione per quell’episodio nella 'Finale Dahoam' e farlo accrescere in popolarità.

A Monaco il suo stile poco spettacolare, minimalista, pensante, non colpiva la tifoseria. Non rapiva la dirigenza. Era apprezzato dagli allenatori, meno dall’ambiente. Un sentimento ricambiato da Kroos, che nel 2014 decise di voltare pagina. Di volare al Real Madrid. Proprio nell’estate in cui era diventato campione del mondo da protagonista assoluto, dopo aver segnato una doppietta nell’incredibile 1-7 rifilato al Brasile in semifinale (premiato come migliore in campo dalla Fifa). Un Mondiale vinto da protagonista, ma festeggiato da comparsa: mentre i suoi compagni festeggiavano con le alte cariche dello stato, lui era in disparte a slacciarsi gli scarpini. Il suo modo per celebrare, perché “non sentiva il bisogno di essere al centro dei festeggiamenti”. La sua personalità.

Toni Kroos Germany Argentina Fifa World Cup Brazil Final 13072014Getty Images

Il suo addio al Bayern fu un braccio di ferro con Uli Hoeneß. La proposta economica non lo soddisfava. Non ci pensò due volte. Disse di no. Fermo sulle sue posizioni, senza mandarle a dire. Perché quando Kroos parla, le parole hanno spesso un peso. Chiedete a Messi: “Non credo sarebbe in grado di venire al Real Madrid, servono le palle per fare una cosa del genere”. O alla FIFA e all’UEFA: “Siamo solo i loro burattini”. O ad Aubameyang: “Una volta ha esultato con la maschera, non ha senso. Le esultanze creative sono sciocche”. Insieme a suo fratello Felix ha un podcast, ‘Einfach mal luppen’, in cui espone le proprie idee. Dirette. Razionali. Complice anche un ambiente familiare che, come racconta Felix, spesso non faceva emergere i sentimenti. Che ha portato lui e Toni ad avere una corazza per farli sempre apparire schivi, calmi, duri, inscalfibili.

A Madrid, anche per questo, ha trovato il suo ambiente ideale. L’ambiente in cui ha vinto quattro volte la Champions League da protagonista. L’ambiente a cui si è legato fino al 2023. L’ambiente dove vorrebbe chiudere la sua carriera. Vive con la moglie Jessy e i figli Leon, Amelie e Fin fuori città. Non frequenta particolarmente la città di Madrid. Preferisce la casa, la famiglia. Una volta terminata la partita, torna ad essere papà e marito. Il suo segreto: saper voltare pagina. Insieme alle scarpe sempre bianche, pulite, perfette. Un po’ come il suo gioco.

“Se quando abbasso lo sguardo vedo che le scarpe non sono bianche, non sono contento”.

La sua essenzialità in campo l’ha tracciata Casemiro, la sua spalla nel centrocampo del Real Madrid che ha dominato l’Europa.

“Se Toni decide che la squadra deve rallentare, la squadra rallenta. Se decide di accelerare, la squadra accelera”.

Kroos casemiro psGetty Images

Il più delle volte, decide bene. Stile teutonico.

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