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Sirigu PSGGetty Goal

Titolare messo alla porta all'improvviso: la discesa di Sirigu al PSG

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Tempi diversi, quelli degli anni Dieci. Il PSG di Al-Khelaifi, al primo anno di insediamento, quello per cominciare l'attacco a lungo raggio, attacca piano e in sordina, piccoli obiettivi strategici, fondamenta italo-francesi. Saint-Etienne per Matuidi, la Torino bianconera per Sissoko, Lorient per bomber Gameiro, la Roma giallorossa per Menez, Palermo per Pastore e Salvatore Sirigu.

Si è appena fatto un nome in Serie A, Sirigu. Non è un predestinato nato a Milano con i colori rossoneri o nerazzurri indosso da 17enne subito gettato nella mischia, non ha parenti famosi a cui aggrapparsi, né sponsor tecnici che premono per farlo esplodere nell'immediato. E' figlio della gavetta, della resilienza, della testardaggine sarda. E' andato via di casa giovane, 15enne, per il Continente, come lo chiamano gli isolani, per le giovanili del Venezia. Ha giocato in Serie C alla Cremonese, in B all'Ancona e poi la grande opportunità nella massima serie, con quel Palermo che dopo la bella laguna l'aveva acquistato a titolo definitivo, spedendolo a farsi le ossa.

Le ossa si sono sviluppate bene e lui, 192 cm per 80 kg, capelli al vento e sguardo fisso sull'obiettivo, lascia Palermo in quell'estate 2011, dopo aver guadagnato la stima del calcio italiano e di riflesso le prime presenze con la Nazionale azzurra. Parigi è la svolta della sua carriera, base dello scheletro composto in lungo e in largo da campioni e fuoriclasse, da big d'Europa e di Sudamerica, di pazzi esterni e timidi interni, da kung-fu svedesi e samba.

E' la base sì, ma mai la fine ultima dei discorsi. Vi entra di straforo perché si sa, a pagare, quasi sempre, sono i portieri. In una lista dei nomi lui non figura tra i più preziosi o i più decisivi, perché per le mani ha i guantoni e sulle spalle una casacca più dura. Eppure sì, è decisivo. A dir poco. Sirigu si guadagna giornata dopo giornata la maglia del PSG perché davanti agli zeri che la sua società può proporre ad ogni portiere del mondo non può sbagliare nulla. Consapevole.

Abita alla periferia di Parigi fuori dal campo. Impara l'idioma, abbastanza velocemente, manda a quel paese i compagni per chiedere maggiore attenzione, riceve lo stesso trattamento in francese e nella sua di lingua (l'italiano, non il sardo). Si trova benissimo, si ambienta, da titolare, da imprescindibile. Non vince niente alla prima stagione, ma l'era cannibale del PSG comincerà solamente l'anno successivo, con lo sbarco dell'Alakazam Ibracadabra.

Sembra un'era fa, e in termini moderni quasi lo è, visto che si parla del 2011/2012. Per intenderci, la distanza sembra ancor più grande considerando che la competizione europea in cui Sirigu gioca, per la terza volta in carriera dopo i tempi di Palermo, è l'Europa League e non la Champions League. Sarà l'ultima volta per i tifosi parigini, da lì talmente abituati a vivere solamente la musichetta da non conoscere altra tonalità al di fuori di essa.

Salvatore Sirigu, David Luiz, Gianni Bruno Evian PSG Ligue 1 22082014Getty

41 presenze alla prima annata, di cui tutte e 38 nella sua prima annata al PSG significano solamente una cosa, quando si parla di un portiere: la totalità delle gare da titolare ti portano ad essere il perno massimo della squadra, quello che non può essere in discussione nei piani dell'allenatore e che i tifosi vedono come normalità soffice a cui aggrapparsi nei momenti di dubbi di formazione e ballottaggi saltellanti settimanali.

Divo? No grazie. Schivo sì, cuore sardo, ma mai vip:

"Faccio la spesa, vado dal panettiere, al cinema, ho fatto amicizia con i vicini".

Una vita normale per Sirigu a Parigi, durante l'era qatariota. Il più normale dei suoi compagni, tra chi ha il PIL più alto di un paio di nazioni e chi fa rima con marketing (sta a voi trovare i nomi, abbastanza riconoscibili). Trova persino l'amore in città, Camille:

"Ha la mia età e fa l’attrice. La vidi una sera in un ristorante dove lavorava come hostess e fu un colpo di fulmine. Ma il primo appuntamento fu un disastro. Spero sia la donna della mia vita, anche se lei dice che non sono più romantico come ai primi tempi, quando le scrivevo pure lettere d’amore in francese. Sono freddo, forse perché sono andato via da casa presto e ho sempre pensato di dover gestire da solo le difficoltà. E’ un difetto, ma lo faccio per proteggere gli altri".

Tanti trofei nella vita parigina di Sirigu, tra passeggiate tranquille e parate complicate. Ma anche preoccupazioni, di quelle vere. E tragedie, non calcistiche. Perché nel 2015 Parigi si scopre indifesa, colpita dall'attentato del Bataclan e in altri punti nevralgici della città. Il portiere si trova in Nazionale, la sua Camille, incolume, in città.

Da lei viene a sapere della triste sorte capitata a Pierre Innocenti e Stephane Albertini, proprietari di 'Chez Livio’ a Neuilly-sur-Seine. Il ristorante è frequentato da politici, VIP e dai giocatori del PSG, tra cui lo stesso Salvatore, che nei terribili attentati di quell'autunno perde due amici.

Davanti a questo, ogni piccola polemica, ogni tristezza sportiva sembra venire spazzata via, ma la vita di tutti i giorni e i momenti da affrontare sono molteplici e continui, tali che la rabbia monti nella mente di tutti. E Sirigu non è sempre di belle parole per chi non lo apprezza. Sarà arrabbiato e deluso al momento del suo addio al PSG, ma lo sfogo più famoso è della primavera 2015, in seguito ad una super prestazione contro il Nizza, arrivata dopo le polemiche per una gara contro il Barcellona di Messi non eccelsa:

"Stavolta per voi sono decisivo, ma mercoledì dopo il Barcellona dicevate che ero una merda. Ho la fiducia della squadra e posso camminare a testa alta".

Se c'è un anno in cui Sirigu fa parlare di sé è il 2015. Spiegazione. Quando fai il tuo lavoro e vinci in silenzio, vieni considerato meno. Un mondo strano, ma conosciuto. Nonostante la titolarità per quattro stagioni di fila in ogni competizione, e una doppia cifra di trofei conquistati in terra transalpina, fa parte di quella cerchia di giocatori senza caratteri da bad-boy. Fino a quando la stampa scopre che anche lui può far vendere copie e titoli. Del resto il PSG ha comprato Trapp, che all'improvviso divene titolare, senza spiegazioni da parte della società:

"Per il momento il mio futuro è qui, nessuno mi ha detto niente. Il mio pensiero è solo quello di allenarmi e impegnarmi al di là di quelle che sono le scelte degli allenatori e della società. Fino a quando non mi verrà detto qualcosa io starò qua. Qui mi sono sempre sentito il titolare, poi le decisioni possono essere anche diverse. Però io non butto nel cesso tutti gli anni e i sacrifici che ho fatto".

Dichiarazione dell'anno domini 2015, luglio. Da lì, fino al dicembre dello stesso anno e con lo shock del Bataclan in mezzo, Sirigu giocherà solamente tre gare in Ligue 1, zero in Champions League e il resto nelle coppe nazionali francesi. Tradotto, è diventato ufficialmente la seconda scelta e per lui, nel breve e nel lungo periodo, non c'è più possibilità di essere il numero uno, nel torneo che ha anche l'uno nel titolo.

A gennaio, al tempo dei miti e delle leggende, ma anche in quello semplice del calciomercato, Sirigu non le manda a dire:

"Se vogliono che me ne vada, me lo dicano e tolgo il disturbo. Non voglio essere un peso".

Il PSG lo prende in parola e quasi infastidito dalle sue dichiarazioni, semplicemente attue a definire la situazione senza rimanere nel mutismo generale in cui tutto sembra andare per il meglio, lo spedisce in una squadra in cui non avrà spazio, ovvero il Siviglia. La llaison si interrompe, ma da mesi, tradotto, estate, il club, parola di Sirigu, aveva già deciso:

"Tornato dalle ferie capii che volevano sbattermi fuori, non ho mai potuto giocarmela alla pari, non sono mai stato preso in considerazione. Ci sono rimasto malissimo".

Il popolo del PSG si spezza a metà nell'ultimo anno parigino dell'estremo difensore sardo, prima della cessione sivigliana. C'è chi attacca la società, chi lo stesso Sirigu. Chi, memore degli anni pre-Khelaifi, ringrazia le divinità per un portiere così e chi guarda oltre le parate, attaccando al primo minimo errore, puntando al portafoglio personale del patron, chiedendo un grande nome alla Courtois, alla Neuer. I soldi non mancano. Possono compiere qualche errore, è vero, ma vuoi mettere avere quel nome, quel marchio tra i pali. Mentalità.

Sirigu lascerà Parigi e il PSG nel silenzio, ennesimo interprete dell'eterna schiera di nomi estrapolati per trovare un punto debole in una squadra di fenomeni. Ma il punto debole non lo è mai stato. Gavetta? Italie, Sardaigne? Poco appetibili = destino scritto.

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