“Roberto De Zerbi ha qualcosa in comune con Antonio Conte: sono due allenatori che pretendono tanto dai giocatori”: per il resto, però, sono profondamente diversi, e lo hanno dimostrato nel corso degli anni, a modo loro.
Il fatto è che la partita tra Brighton e Tottenham crea una sorta di spartiacque per entrambi, pur in maniera particolare: per De Zerbi è la seconda in Premier League, per Conte, invece, è quella che definisce i contorni concreti delle ambizioni degli Spurs, frenate (e frenati) nello scorso turno dall’Arsenal. E non è poco.
In tutto questo, va detto, c’è anche un bel pezzo del dibattito tutto italiano che vede affrontarsi, dialetticamente, gli esponenti del “bel gioco” e quelli della filosofia più cruda del “risultato al di là del gioco”: correnti che trovano un punto in comune nelle parole di Ciccio Caputo citate in apertura e rilasciare a SportMediaset più di due anni fa e nel concetto, quindi, di “agonismo”.
Perché molto si può dire di De Zerbi e di Conte, ma non che non mirino entrambi a tirar fuori il meglio dalle proprie squadre, andando oltre le proprie idee di calcio: armonico (e armonioso), ma a tratti squilibrato quello del primo. Più in verticale quello del secondo, che rispetto all’ex Sassuolo ha alle spalle una Premier League vinta con il Chelsea nel 2017 (e una FA Cup l’anno successivo).
De Zerbi è appena arrivato, ma ha già lasciato la sua impronta, accendendo il dibattito sulle sue qualità anche e soprattutto dopo il 3-3 d’esordio ad Anfield contro il Liverpool di Jurgen Klopp, con un iniziale 0-2 al 17’. Esistono senz’altro modi peggiori di esordire nella massima serie inglese.




C’è da dire, ovviamente, che il Brighton non è la prima squadra che passa, soprattutto se si pensa a quanto creato in pochi anni da Graham Potter, che ha lasciato una formazione consapevole delle proprie potenzialità e possibilità in ottica futura: consapevole lo è anche il Tottenham, a dire la verità, ma la sconfitta contro i Gunners non è passata inosservata.
“Io rispetto tantissimo le opinioni altrui perché parto da un presupposto: non esiste un solo tipo di calcio; quindi tutti hanno ragione e tutti hanno torto, anche chi ha vinto. Perché anche chi ha vinto, come Mourinho ad esempio, ha pure perso. O Conte: ha stravolto la Juve ma prima era stato cacciato dall’Atalanta. L’importante è che quando si va a giudicare un’idea la si rispetti e si cerchi di comprenderla”.
In queste parole di De Zerbi, rilasciate nel 2018 a Libero, c’è molto del pensiero di un allenatore che, comunque, mette in chiaro sin da subito che le idee di calcio, pur distanti dalle sue, vanno rispettate. Quella di Conte lo è, in effetti. Tanto da poter essere presa come esempio per definire il “modo per battere” l’ex Sassuolo.
Perché, dati alla mano, i precedenti sono tutti dalla parte dell’allenatore del Tottenham, che sulla panchina dell’Inter ha battuto per tre volte l’attuale tecnico del Brighton, pareggiando una volta, nei quattro incontri totali tra il 2019 e il 2021.
“Antonio lavorava all’Inter quando l’ho affrontato, una grande squadra che ha vinto lo Scudetto. Non giochiamo allo stesso modo, ma penso che mettiamo in campo la stessa passione e che entrambi poniamo il calcio al primo posto nelle nostre vite”.
De Zerbi è sincero quando si presenta in conferenza stampa alla vigilia della sfida contro gli Spurs, che a detta sua “hanno tutto per vincere la Premier”. Prima di alzare il trofeo, però, ne passa.
Quando si stringeranno la mano, comunque, ricorderanno di essere entrambi italiani: e questo li riporterà sulla terra. Hanno giocato a calcio, sono riusciti a diventare allenatori con ottimi risultati.
“Vivo ancora in apnea”, ha ammesso De Zerbi circa la sua nuova esperienza.
Per il resto, in Premier League è sempre “the italian job”: tra Premier League e calcio da mostrare e da inserire nel dibattito mediatico di settimana in settimana. È solo la prima sfida inglese tra i due, ma potrebbero seguirne tante altre. Il “bel calcio” affronta “l’intensità”. De Zerbi affronta Conte: prego, mettersi comodi. Comunque andrà, sarà l’ennesima dimostrazione che “italians do it better”. Sempre.
