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Storie Mondiali - USA-Iran, Inghilterra-Argentina: l'intreccio tra calcio, guerre e politica

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Sono trascorsi 24 anni dall’ultima sfida calcistica tra Stati Uniti d’America e Iran. 24 anni dopo a Doha, in terra franca, quella degli emiri che provano a comandare il mondo con l’oro nero, le due nazionali torneranno a sfidarsi, proprio come accadde a Lione il 21 giugno 1998. Anche in quel caso era una sfida valevole per i gironi: stavolta le due nazionali si incontreranno per la terza giornata, mentre in Francia la sfida era alla seconda del Girone F. Piccoli dettagli che non mutano la sostanza: perché la sfida tra Stati Uniti e Iran non è per niente banale.

Il conflitto che esiste tra i due Paesi è atavico, sin da quando nel 1979 la rivoluzione islamica di Khomeini tolse il potere al monarca Rheza Palevi, filoamericano nella sua impostazione politica e nei suoi rapporti con la Casa Bianca: una destituzione che aveva portato l’Iran a una teocrazia sciita, fondata sull’obiettivo di annullare e abbattere il grande nemico arrivato dall’occidente, riportando il Paese in una direzione più tradizionalista. A subirne le conseguenze fu anche l’ambasciata statunitense con sede a Teheran, perché Khomeini, con la sua rivoluzione, sequestrò anche numerosi funzionari dell’organo americano. Fu l’inizio di quel conflitto che potremmo definire eterno, attivo ancora nel presente e non destinato a placarsi. Un conflitto divenuto più freddo di recente, ma che ha vissuto ad alte temperature da quando le relazioni andarono a interrompersi, nel 1979. Da un lato una teocrazia sciita intenzionata a oscurare il potere degli Stati Uniti, dall’altro un Paese che si è visto escluso da parte degli ayatollah iraniani.

Un incrocio che, quando nel 1998 l’Iran arriva ai Mondiali in Francia, non poteva non essere messo a tacere. Per il Paese è la seconda partecipazione di sempre a una kermesse internazionale dopo quella di Argentina ’78 e si concretizza grazie alla rete di Kodadad Azizi, che il 29 novembre a Melbourne condanna l’Australia davanti alla televisione, a seguire i Mondiali di calcio da lontano. L’Iran si presenta a Lione, stadio De Gerland, con la grande occasione di dare una lezione, calcistica e sportiva, all’imperialismo galoppante degli Sati Uniti. Eppure, a poche ore dall’inizio della sfida, entrambi i Governi fanno sapere che le federazioni calcistiche vogliono separarsi dalla politica e scendere in campo in maniera pacifica, giocando quella partita per quello che rappresenta. Ed è così, perché quella vetrina internazionale viene tenuta a bada anche dalla Fifa, che viene informata di settemila biglietti sospetti, acquistati probabilmente da emissari dell’Iraq di Saddam Hussein, il nuovo principale nemico dell’America in quegli anni.

Non è l’unico problema che rischia di far esplodere una guerra diplomatica, perché le squadre si apprestano a scendere in campo e presto una delle due dovrà attendere che l’altra vada a porgere il saluto e la mano, nel più classico dei protocolli calcistici. All’Iran arriva l’ordine di non andare a salutare gli Stati Uniti e in quel momento Mehrdad Masoudi, addetto stampa e delegato Fifa per la partita, di origine tra l’altro iraniana, riesce a mediare: saranno gli americani ad andare a salutare l’Iran, invertendo il protocollo e risolvendo un pericolo rischio di caso diplomatico. Durante il prepartita, però, i sospettati tra gli spalti compiono proprio quello che la Fifa voleva evitare: striscioni contro la Repubblica Islamica, pronti a inneggiare alle forze armate del Paese, compaiono sugli spalti, ma alle reti televisive viene dato l’ordine di non inquadrarle, così da far sapere solo ai presenti cosa sta accadendo. All’ingresso in campo dell’Iran, poi, la sorpresa: il presidente della Federcalcio iraniana, Mohsen Safaei Farahani, ordina ai giocatori di entrare con una rosa bianca in mano. La distensione ha vinto.

In campo, poi, a vincere sarà l’Iran: 2-1 con le reti di Hamid Estili e Mehdi Mahdavikia, mentre per gli Stati Uniti arriverà il gol della bandiera di McBride a tre minuti dalla fine. L’Iran trova la sua prima vittoria in un Mondiale e lo fa proprio contro gli acerrimi avversari politici, in un clima disteso e sereno, disteso proprio dalla grande diplomazia dimostrata nei minuti prima la partita. Dopo quell’evento i due Paesi si sono incontrati soltanto durante un’amichevole del 2000 a Pasadina, ma adesso la situazione potrebbe essere valutata come più complessa. Teheran non dialoga con la Casa Bianca, non ha digerito quel raid a Baghdad durante il quale è stato ucciso Qassem Soleimani, generale iraniano nonché portabandiera della politica estera. Inoltre, l’Iran al momento è schierato tra gli alleati di Putin e della Russia, al quale la fornitura di droni è costante e continua. Sarà, forse, lo sport a vincere anche in questo caso, con gli Stati Uniti chiamati, ancora una volta, a tendere la mano.

USA Iran fansGetty Images

USA – Iran non sarà l’unica sfida a tenere banco per motivi sportivi-politici al Mondiale in Qatar. Questo perché, pur non essendo inserite nel medesimo girone, anche Argentina e Inghilterra restano sul chi va là. La rivalità calcistica tra le due nazioni ha origini dalla guerra delle Falkland del 1982, ma si è poi andata a declinare benissimo anche nel calcio, spingendo a oggi i tifosi inglesi a ritenere i sudamericani i loro principali avversari, al pari di Scozia e Germania. Negli anni le due nazionali hanno avuto modo di incontrarsi ripetute volte, ma di sicuro la sfida del 1966 rappresenta un vero e proprio spartiacque: a oggi quell’evento viene ricordato come El robo del siglo, ossia il furto del secolo: furono dieci minuti di pura follia che consegnarono alla storia Rattin e il suo confronto con l’arbitro tedesco Kreitlein. Il capitano e numero dieci dell’Argentina venne espulso, pur senza l’ausilio dei cartellini, nonostante l’arbitro non stesse assolutamente capendo cosa gli stesse dicendo in quel momento Rattin: lui non ci sta, pretende spiegazioni, ma i due parlano lingue diverse. A quel punto il giocatore si rifiuta di lasciare il campo e pretende l’intervento di un interprete, ma alla fine lo prendono di peso e lo portano fuori dal rettangolo di gioco. È in quel momento che Rattin ha l’infelice idea di sedersi sul tappeto rosso, posto esclusivo dei membri della casa reale inglese. Wembley insorge e inizia a lanciare contro il giocatore qualsiasi oggetto a disposizione dagli spalti.

Le due nazionali si sono poi incontrate nuovamente nel 1998, una gara ricordata per l’espulsione di David Beckham che con un tacco andò a colpire la gamba di Diego Simeone dopo aver subito fallo. Una reazione che il centrocampista inglese si fece perdonare quattro anni dopo, quando segnò il rigore decisivo nella sfida ai Mondiali del 2002. Non meno importante, nell’album dei ricordi, è la figura che ricorda la Mano de Dios, la rete segnata di mano da Diego Armando Maradona nei quarti di finale dei Mondiali del 1986 proprio contro l’Inghilterra, eliminata e costretta a subire anche un altro meraviglioso gol, memorabile, del campione argentino. Erano trascorsi appena quattro anni dalla Guerra delle Falkland e l’Inghilterra, che aveva avuto la meglio in una guerra che portò a 11.000 prigionieri argentini, dovette cedere il passo alla nazionale argentina.

Se c’è, invece, una sfida che l’Inghilterra dovrà affrontare realmente è quella con gli Stati Uniti, i cugini d’oltreoceano. Le due nazionali non hanno una particolare rivalità, se non quella di potersi ritrovare a disputare un vero e proprio derby, ma quando scenderanno in campo sicuramente si ricorderanno del Miracolo di Belo Horizonte, la sfida del 29 giugno 1950 che vide allo Stadio Raimundo Sampaio di Belo Horizonte, in Brasile, trionfare gli Stati Uniti sugli anglosassoni. Era il primo turno dei mondiali di calcio e l’Inghilterra era alla sua prima partecipazione ai Mondiali dopo esser uscita dalla FIFA ed esservi rientrata nel 1946. L’arbitro di quella partita fu l’italiano Generoso Dattilo, che osservò, da terzo, la vittoria degli Stati Uniti, dati per battuti all’inizio della competizione, con lo stesso CT Jeffrey che dichiarò di non avere alcun tipo di chance in quella competizione. Il Daily Express, alla vigilia della gara, titolò dicendo: “Sarebbe giusto iniziare la partita dando tre gol di vantaggio agli avversari”.

Quel miracolo ebbe anche risvolti politici, perché Joe Gaetjens, autore del gol decisivo, sperava di poter ottenere la cittadinanza statunitense, che non arrivò mai: anzi, si ritrovò ad andare in Francia e poi ad Haiti nel 1953, giocando anche nella nazionale del paese. Di lui si persero le tracce e a oggi si ritiene possa esser stato ucciso in prigione. L’Inghilterra, invece, da quel Mondiale uscì in maniera inaspettata, perdendo anche contro la Spagna. Un segno che nel calcio non si parte mai sconfitti o vincitori: la banalità della rotondità della palla rappresenta una realtà ineccepibile e ogni evento può cambiare il corso di una sfida. Come d’altronde accaduto nei Mondiali fino a oggi.

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