Il calcio, negli anni e nella sua storia, ha saputo coniare numerosi termini e neologismi che sono diventati parte integrante della lingua parlata, soprattutto per noi italiani. Il calcio, d’altronde, è intorno a noi, ci circonda costantemente. Pensate a quante volte usiamo, oramai, l’espressione “corto muso” che è stata resa popolare da Massimiliano Allegri, che l’ha mutuata dalle corse dei cavalli, oppure anche l’espressione a volte scherzosa del “tiraggiro”, per parlare della mossa più inflazionata del repertorio di Lorenzo Insigne. Si pensi al “Sarrismo”, il movimento calcistico incentrato sulla filosofia di gioco di Maurizio Sarri, ma andando ancora più indietro nel tempo si potrebbe definire “Cassanata” la prima parola in grado di entrare in un vocabolario popolare ed eludere i confini del calcio, dando ad Antonio Cassano e le sue botte di testa il giusto merito di aver aperto un’era di neologismi. Mourinho riuscì a estendere il concetto di Triplete e il Barcellona nel 2010 fece altrettanto con la Manita rifilata al Real Madrid, con Abidal che si era fatto portavoce e bandiera di questo evento. Insomma, ci siamo capiti.
Eppure, se dovessimo individuare un termine che in qualche modo faccia particolarmente male all’animo e che abbia una connotazione decisamente negativa non potremmo non pensare subito al Mineirazo, un termine spagnolo che la stampa aveva coniato e che la FIFA prese in prestito per indicare la sfida tra Brasile e Germania disputata a Belo Horizonte l’8 luglio 2014, semifinale dei Mondiali di calcio. Quella partita, per chi non se la ricordasse, ebbe un esito tragico, con il Brasile che uscì dal campo con un nuovo record negativo di reti subite, mentre dall’altro lato la Germania se ne uscì tronfia di una sequela di record. Quella gara terminò 7-1 per i tedeschi e l’esito fu catastrofico.
Nessuna squadra aveva segnato cinque reti nei primi 30 minuti di gioco in un Mondiale, inoltre in una semifinale non si era mai segnato così tanto. Lo scarto di sei reti segnò un passivo che era il peggiore in assoluto nella storia dei Mondiali e il risultato all’intervallo, che fu di 5-0, divenne il divario più ampio di una gara della fase a eliminazione diretta. Fu anche l’evento più discusso su Twitter con oltre 35 milioni di tweet. Perché il Mineirazo fu un evento davvero epocale.
Lo stadio di Belo Horizonte era pronto ad accogliere la sfida decisiva che avrebbe decretato chi sarebbe andato a disputare la finale del Mondiale 2014. Il Brasile si presenta quell’anno con una squadra che non ha grandi talenti, non ha trascinatori come quelli che aveva esposto a mo’ di figurine negli anni precedenti: l’attacco è guidato da Fred insieme a Bernard e Hulk, mentre in difesa Marcelo e Maicon provano a metterci del loro per difendere la porta di Julio Cesar. Dall’altro lato, invece, la Germania è guidata dal cannoniere Klose, al quale fanno da supporto Ozil, Kroos e Muller, con Schweinsteiger a creare la diga in mediana con Khedira: è una squadra massiccia, non a caso teutonica. Il Brasile, inoltre, è privo di Thiago Silva, squalificato per somma di ammonizioni, così come Neymar, che si frattura una vertebra contro la Colombia e interrompe il proprio Mondiale anzitempo. Scolari, che viene da campione in carica nel 2002, vuole confermarsi, ma non è facile.
La Germania ha mandato a casa in cinque gare prima il Portogallo e poi la Francia, avendo la meglio sull’Algeria agli ottavi. Il Brasile, dal suo canto, di avversari di prima fascia ha incontrato solo la Colombia, vincendo 2-1. Insomma, il cammino degli uomini di Joachim Low sembra molto più complesso e coriaceo rispetto ai verdeoro, che comunque provano a fare loro la partita, partendo con aggressività in campo. Eppure è la Germania che all’11’ mette in chiaro la questione con Muller, che sigla l’1-0 e trova il suo quinto goal nella competizione. Il Brasile prova a recuperare, ma Klose al 23’ approfitta del disordine in campo e fa il 2-0. Nei sei minuti successivi Kroos trova la sua doppietta in appena 120 secondi e Khedira al 29’ trova il 5-0 che mette a tacere l’intero Brasile. Non la squadra, ma il Paese. Il 5-0 è sorprendente e inaspettato, ma le due squadre vanno negli spogliatoi con la tensione alle stelle. Il Brasile, infatti, vuole reagire e provare a dire la sua, soprattutto davanti al proprio pubblico, in casa. Scolari manda in campo Paulinho e Ramires al posto di Fernaidinho e Hulk, ma Neuer si oppone a tutti i tentativi. Schurrle, che entra al 58’ al posto di Klose, ne approfitta e con la sua doppietta porta il risultato complessivo sul 7-0. Non c’è pietà per l’avversario, non c’è Francesco Guidolin a dire ai suoi giocatori di non infierire contro il Palermo di Delio Rossi che ne aveva presi già 7 e rischiava di prenderne 10. Il Brasile è regolato e la Germania sente il profumo della finale, galvanizzata da quella prestazione eccezionale. Soltanto nel finale c’è l’occasione per Oscar di rendere meno amaro il KO: al 90’ arriva il 7-1, ma l’umiliazione è ai livelli storici.

Non c’è niente da salvare per il Brasile, con Scolari che si prende tutta la responsabilità della disfatta e il Brasile insorge, tra Belo Horizonte e San Paolo, tra arresti e feriti. Tutti i media finiscono per esaltare non tanto la vittoria della Germania quanto la disfatta del Brasile, definendola la notte più nera della storia del calcio brasiliano, la più umiliante sconfitta di una nazionale padrona di casa e una confusione definitiva. Un’onta simile a quella del 1950, quando il 16 luglio al Maracana di Rio de Janeiro, il Brasile perdeva in finale contro l’Uruguay per 2-1. Era una modalità diversa, si giocava ancora ai gironi anche la fase finale, e i goal di Schiaffino e Ghiggia permisero all’Uruguay già campione nel 1930 di ripetersi vent’anni dopo, lasciando gli uomini di Flavio Costa a bocca asciutta, con grande sorpresa di Jules Rimet, all’epoca presidente della FIFA e ideatore del Mondiale. Quella partita spinse la federcalcio brasiliana a cambiare i colori della divisa della Seleçao, che da bianco e blu passò al verdeoro inaugurato nel 1954. Soltanto nel 2004 il Brasile tornò a indossare il completo bianco, in un’amichevole contro la Francia in occasione del centenario della FIFA.
Quella sconfitta passò alla storia come Maracanazo, in onore dello stadio che fece da palcoscenico. Quando Miguel Delaney di ESPN decise di riassumere la sconfitta per 7-1 contro la Germania pensò sicuramente a quell’evento per coniare il suo neologismo, il Mineirazo che prese vita al Mineirao di Belo Horizonte. Nel 2014 al Brasile, poi, non spettò nemmeno la gioia del terzo posto, perché ci pensarono i Paesi Bassi a stenderli 3-0 e ad aggiudicarsi il gradino più basso del podio, mentre l’Argentina si arrendeva al Maracana al gol di Goetze, che incoronava la Germania campione del mondo per la quarta volta. Da quel Mondiale il Brasile non ha mai più disputato una semifinale, fermandosi sempre ai quarti di finale. Il Mineirazo resta uno spartiacque dal quale i verdeoro non si sono ancora ripresi.