La Fiorentina, quando si parla di calciomercato, non si tira mai indietro all’appello delle storie surreali. Vi abbiamo raccontato quella di Sergej Milinkovic-Savic, ma non da meno, e di portata mediatica maggiore, è stata quella che ha coinvolto Dimitar Berbatov, il centravanti bulgaro che avrebbe dovuto rappresentare l’affare del decennio per la società gigliata. Saltato clamorosamente, il giocatore si rese protagonista di un intreccio di calciomercato che coinvolse anche la Juventus, nel quale galeotto fu un inatteso scalo aeroportuale a Monaco di Baviera.
Dimitar Berbatov è stato, per il calcio inglese, uno di quei centravanti dal cuore freddo, segnato dall’infanzia difficile e da quell’animo slavo che scorre nelle vene di giocatori che, in Italia, hanno sempre trovato terreno fertile per diventare dei beniamini. Lui, che in Bundesliga aveva imparato a farsi riconoscere anche dal calcio internazionale, in Premier League ci arriva grazie al Tottenham, che decide di investire sul bulgaro in grado di prodezze e che dichiara, in maniera spavalda, che ambisce alla bellezza, ai gol belli, non a quelli consuetudinari. Impossibile, quindi, che Alex Ferguson non lo noti e non lo chiami a sé, al Manchester United.
Quando i Red Devils erano ancora in grado di rappresentare un’autorità della Premier League e del calcio internazionale, Ferguson sceglieva con grande parsimonia i suoi giocatori. Lo faceva perché voleva degli uomini pronti da schierare e che avessero dei valori da esprimere: quella era una corazzata che non lasciava spazio a incertezze e che si portò a casa 13 campionati inglesi, attuale record per un allenatore, 5 coppie d’Inghilterra, 10 Community Shield, una Coppa delle Coppe, due Champions League, una Supercoppa UEFA e una Coppa del mondo per club. Dal suo canto, invece, Sir Alex nella sua bacheca ha incastonato 10 premi come allenatore dell’anno.
Insomma, Berbatov in quel gruppo doveva integrarsi bene ed essere funzionale alle necessità del tecnico scozzese. Alla fine della finestra di calciomercato del 2008, quindi, il bulgaro può iniziare a sfoggiare la sua maglia rossa. Quattro anni con i Red Devils, fino alla rottura definitiva, avvenuta durante la finale di Champions League della stagione 2010/11, quando Ferguson sceglie Michael Owen al suo posto, senza portarlo nemmeno in panchina contro il Barcellona. Gli spiega che l’ex Golden Boy avrebbe avuto quella freschezza necessaria a rimettere in sesto una partita, cosa che invece Berbatov non poteva offrire in quello specifico momento. Tra i due si rompe tutto e lo stesso centravanti dichiara di essere rimasto deluso non dall’allenatore, ma dall’uomo. I valori si sono persi. Berbatov chiede la cessione.
La Fiorentina, nell’estate del 2012, è allenata da Vincenzo Montella e si prepara a un’annata importante, quella che la porterà a terminare la stagione al quarto posto, assicurandosi l’accesso all’Europa League. Perché sì, per un periodo l’Italia non ha avuto i quattro posti in Champions League: è stato un brutto momento per tutti. Quella squadra ha giocatori come Giuseppe Rossi, Federico Bernaredeschi, Adem Ljajic, Borja Valero, Stefan Savic, Juan Cuadrado e Alberto Aquilani, ma manca di un centravanti che possa spingere ancora più in alto la rosa e i suoi risultati. Berbatov non ha un costo eccessivo e Daniele Pradé si prepara ad affondare il colpo. 5 milioni di euro per il primo pagamento già saldato e si attendono solo le firme del giocatore, al quale va un triennale da 1,8 milioni di euro a stagione.
Berbatov da Manchester sale sull’aereo, direzione Firenze: il suo volo prevede lo scambio a Monaco di Baviera. Lo accompagna il suo agente e il viaggio è spesato, per entrambi, dalla Fiorentina, con Pradé a fare da garante. Tutta Firenze attende l’attaccante bulgaro a braccia aperte, mentre lo stesso Ferguson permette al giocatore, non più suo pupillo, di recarsi in Italia per le visite mediche e per le firme. Tutti attendono, ma all’atterraggio dell’aereo che dalla Germania arriva in Toscana Berbatov non c’è e alle 13:30 non si presenta nessuno.
Cos’è successo a Dimitar Berbatov? Pradé, insieme al direttore tecnico Macia, lo scoprirà di lì a poco, una volta tornato in sede, dove lo attende la triste verità. Beppe Marotta, in un impeto fulmineo, si è lanciato sul giocatore dopo aver trovato un accordo con lo United per quasi 5 milioni di euro. Manca solo la trattativa col giocatore, alla quale, però, si può riparare. Da Monaco di Baviera Berbatov sarebbe pronto a volare in direzione Caselle, l’aeroporto di Torino, mentre la Fiorentina emette un duro comunicato nel quale non si fa il nome della Juventus, ma lo si lascia intendere. A carte scoperte, Pradé fa sapere di aver trovato tutti gli accordi necessari a concludere la trattativa, fino a un’intesa verbale col giocatore, che però non si presenta, facendo di fatto saltare tutto l’affare. “Operazioni spericolate e arroganti di altre società” dicono i gigliati, che si appellano all’etica sportiva e alla lealtà, valori venuti totalmente meno.
“Siamo felici che non sia venuto alla Fiorentina: non meritava la nostra città e la nostra maglia e i valori che essa rappresenta” dice ancora il comunicato, che lavora come oracolo di Pradé. Per chi ha già ascoltato la storia riguardante Milinkovic-Savic e l’affare saltato ritroverà tante similitudini, per quanto gli anni siano versi, ma gli interpreti molto simili. Mentre, quindi, la dirigenza gigliata prova a sbollire, a Torino c’è chi sfrega le mani, ma invano. Alle 22 circa dello stesso giorno arriva l’ufficialità della cessione di Dimitar Berbatov dal Manchester United al Fulham. Sì, sempre una squadra bianconera, ma di Premier League. “Non avevo l’accordo con nessuno – spiega il bulgaro – e all’improvviso è apparso Martin Jol, che mi ha cercato. Per il bene della mia famiglia ho deciso di restare in Inghilterra. Non mi interessa cosa dicono di me in Italia”.
Pradé corre subito ai ripari, con lucidità, e riporta in Italia Luca Toni, che troverà una nuova giovinezza con Montella, mentre Marotta, inviperito per l’affare saltato, riverserà tutto il suo accanimento terapeutico su Niklas Bendtner, affare fallimentare che lascerà più dispiaceri che soddisfazioni a una squadra che, nonostante tutto, vincerà il campionato. La carriera di Berbatov, invece, ha ben pochi altri colpi meritevoli di cronaca: due anni al Fulham, senza eccellere, poi il passaggio al Monaco, dove verrà punito da quella sua pacatezza e lentezza di gioco, a discapito della rapidità e la velocità di giocatori come Carrasco, Martial, James Rodriguez. Nel principato trascorre un anno, per poi farne un altro al PAOK di Salonicco e infine al Kerala Blasters, dove chiude la carriera nel 2017, nella Indian Super League, con un retrogusto esotico, ma con tanto amaro per aver raccolto molto meno di quanto avrebbe potuto.
