GOALGhana, anni '90. Mentre le guerre civili stanno devastando parte dell'Africa Occidentale, vedi Sierra Leone e Liberia, ad Accra il tenente dell'aviazione Jerry John Rawlings è stato eletto presidente della nazione con il 58% dei voti. Dagli anni '80, fino all'elezione del 1992, è il capo di Stato de facto del paese. La nazione, che tornerà ad essere democrazia nel 2000, è guidata da un Consiglio Nazionale di Difesa presieduto dallo stesso militare. In questo contesto, di povertà dilagante e disuguaglianze sociali, cresce Stephen Appiah, ragazzo nato nella capitale ghanese alla vigilia di Natale del 1980, il 24 dicembre.
Appiah fa parte di una famiglia che sbarca il lunario come può, in mezzo ad una situazione nazionale che ha appena cambiato marcia con l'abolizione della democrazia nel 1981, quando il bambino ha solamente pochi mesi. Il sogno di una vita migliore, grazie al calcio, lo sport più popolare del paese, diventerà realtà in futuro. Ha talento, un vero talento. Ha la struttura fisica giusta, crescendo, una tecnica non indifferente e la capacità di sbaragliare gli avversari con qualità e resistenza. Quando viene notato dagli Hearts of Oak, squadra della sua Accra, avrà già affinato la propria abilità sulla terra dei sobborghi cittadini, in mezzo alla polvere, tra una lezione e l'altra. A volta, anche al suo posto.
Del resto, come racconterà a 'Le Iene' nel 2010, dopo il passaggio al Cesena (l'ultima squadra italiana in cui ha militato), Appiah aveva un valore tale da poter scambiare gloria calcistica con uno stomaco pieno:
"Io andavo a scuola senza soldi. Un giorno un mio amico molto ricco mi disse 'se scappi da scuola e vieni a giocare a pallone con me, ti offro il pranzo'. Io ho detto "Oh, il pranzo! Devo approfittarne. La mia squadra era povera, giocavamo con le fasce ai piedi. Quando calciavo pensavo di voler sentire la palla con il piede come quando calciavo con i piedi nudi. Quando correvo però non sentivo le pietre e dopo l'allenamento avevo i piedi rilassati e puliti".
Scelto dagli Oak all'età di 12 anni, Appiah è uno dei tanti ragazzi della capitale che spera di poter superare la fase delle giovanili per poter puntare alla prima squadra e diventare giocatore professionista in patria. L'idea di un salto oltre Oceano è prettamente utopia inizialmente, consapevole di quanti coetanei di tutto il continente mostrino grandi qualità, senza però trovare il posto e il momento giusto per sfruttare il dono ricevuto.
Appiah non è però uno tra i tanti, bensì uno tra tanti. Gli Oak non ci pensano due volte a schierarlo in prima squadra quando ha appena 14 anni, trovando risposte a dir poco positive anche contro ragazzi e giocatori più grandi: ci sa fare con gli interventi duri, sa come inserirsi e trasformare il ruolo di centrale in quello di goleador determinante per le sorti della squadra. Bastano poche gare ai piani alti del calcio ghanese per superare l'utopia ed essere realmente notato dall'Europa: Il Galatasaray gli offre un provino per entrare nelle sue giovanili, che non andrà però come sperato, rimanendo in patria fino al 1998.
Prima di compiere 17 anni, Appiah ha segnato sedici reti in campionato, guidando gli Oak alla vittoria del torneo ghanese sette anni dopo l'ultima volta. Le sue gesta raggiungono le più svariate coordinate europee, comprese quelle di latitudine 46° 03' 18,701" e longitudine 13° 13' 39,702". In pratica, Udine. Il capo osservatore dell'Udinese, Pietro Lo Monaco, ha messo insieme un gruppo di giovani stranieri niente male, che nella primavera 1998, insieme al blocco italiano, riusciranno a chiudere la Serie A al terzo posto.
Tra i giocatori che festeggiano la qualificazione in Coppa UEFA c'è anche Appiah, arrivato nell'inverno 1997 per una cifra irrisoria rispetto a quella che nel 2000 il Parma pagherà per averlo (circa 10 milioni di euro attuali). Non è neanche maggiorenne quando Marcio Amoroso, Paolo Poggi e Oliver Bierhoff trascinano il club friulano ad una posizione d'elite in Serie A. I tifosi conoscono pregi e difetti di ogni singolo giocatore a disposizione di Guidolin, hanno un debole per le intuizioni, ma anche per le strane storie che popolano lo spogliatoio.
Parlando di Appiah, sono consapevoli della sua qualità, mostrata nonostante la giovane età, ma nella loro mente figura ancora l'arrivo in Italia del ragazzo, mostrato dalle tv locali e raccontato da quotidiani e mensil calcistici l'anno prima. Senza cellulari ed internet, senza una possibilità immediata di conoscere il mondo allo stato attuale, Stephen non si presenta nelle giuste condizioni in Italia, dopo aver lasciato Accra e il Ghana:
"Quando sono atterrato a Milano, tutti mi guardavano perché faceva molto freddo e indossavo solo una maglietta".
I rappresentanti dell'Udinese fecero in modo di non perdere il giocatore per giorni causa influenza dovuta ad una temperatura media milanese di 3 gradi: tuta del club addosso e via verso il Friuli per cominciare l'avventura bianconera, dopo un periodo di prova stavolta decisivo dopo la delusione Galatasaray.
La prima annata di Appiah all'Udinese è senza squilli di tromba: undici presenze da subentrato, qualche buona giocata, ma status di giovane che deve ambientarsi ed imparare dai grandi del calcio europeo. Del resto le difficoltà fuori dal campo sono molteplici. L'Europa e l'Italia sono un mondo a cui il ragazzo non è abituato:
"Quando sono arrivato in Italia, non conoscevo il cibo, mi hanno portato gli spaghetti e non riuscivo a usare la forchetta, ogni volta che provavo a metterli in bocca mi scivolavano dalle mani e non riuscivo neanche con le mani. Anche la pizza non mi piaceva. Mangiavo gelato e biscotti".
In tutte le interviste relative a quel 1998, Appiah nel corso degli anni ha sempre messo in primo piano quell'alimentazione quasi forzata: gelato e biscotti, biscotti e gelato. Non il massimo per un professionista della Serie A. Per sua fortuna ad Udine giocava Mohammed Gargo, connazionale e concittadino che si trova in Europa oramai da sei anni (Torino, Borussia Dortmund, seconda squadra del Bayern Monaco e Stoke City): a casa Gargo, quando vi si reca, può mangiare come in patria, cibo nazionale ghanese. Peccato che la settimana sia lunga e per il resto della stessa debba sopravvivere cibandosi di dolci.
Alla fine, però, il tempo passa e Appiah si ambienta in Italia, restando all'Udinese, tra alti e bassi, fino al 2000. Il nuovo millennio fa rima con Parma, che decide di prelevarlo per renderlo combattente del centrocampo, nella speranza che la maturità acquisita possa anche tramutarsi in contributo realizzativo per la squadra come ai tempi del campionato ghanese. Niente da fare ed addio un biennio dopo, tra scelte tecniche contrarie e diversi problemi fisici con cui fare i conti.
L'esplosione italiana vera e propria, dopo un quinquennio da buon giocatore di metà classifica, arriva a Brescia, nel 2002/2003. Sotto Carlo Mazzone, con due come Pep Guardiola e Roberto Baggio al suo fianco, raggiunge non solo la maturità calcistica, ma anche l'etichetta di centrocampista da acquistare a tutti i costi. Attirati dal mito del centrocampista catalano e dal Divin Codino, le grandi d'Europa scoprono Appiah al pari dei titani di Serie A, in fila per averlo dopo i sette goal segnati in stagione. Un dato enorme, visto il ruolo, che lo rendono il secondo miglior marcatore delle Rondinelle dietro a sua maestà Roby.
Ad avere la meglio è la Juventus, che a Forte dei Marmi si assicura Appiah dal Parma, ancora proprietaria del cartellino: 7 milioni alla società di Tanzi, ma anche il prestito di Manuele Blasi. Marcello Lippi, tecnico dei bianconeri, lo schiera subito regolarmente titolare, in un reparto di centrocampo che comprende anche Nedved, Camoranesi e Tacchinardi. Insieme a quest'ultimo copre le avanzate degli esterni e del duo offensivo composto alternativamente da Trezeguet, Del Piero, Di Vaio e Miccoli.
A 'Tuttojuve', Appiah ricorderà con piacere il periodo bianconero:
"L'esperienza con la grande squadra la ebbi anche col Parma, perché a quei tempi gli emiliani avevano uno squadrone, penso a Buffon, Cannavaro, Thuram, Boghossian. La Juve però è sempre la Juve e lì ho capito veramente cosa volesse dire giocare sempre per i tre punti, con la pressione che ci può essere in una squadra di valore internazionale. La Juve mi ha dato fama e grazie a essa sono molto amato in Ghana. Tutti si ricordano che il primo ghanese che ha vinto uno Scudetto sono io e questo mi riempie d'orgoglio".
Vincerà subito la Supercoppa Italiana, ma sarà il suo unico riconoscimento alla Juventus 'rimasto', visto che lo Scudetto 2004/2005, di cui parla, sarà revocato per la nota infinita questione di Calciopoli. Nella seconda e ultima annata in bianconero perde il posto da titolare in seguito all'arrivo di Capello sulla panchina di Madama, con il ritorno di Blasi in squadra l'acquisto di Emerson. Verrà ceduto in Turchia, per poi fare ritorno in Serie A nel 2009. Il Bologna lo acquista dal Fenerhbace, ma nè l'esperienza rossoblù, nè quella con il Cesena, ultima tappa appena sufficiente della sua era italiana, entreranno nel tomo dei ricordi esaltanti.
Chiusa la carriera nel 2012 al Vojvodina, in Serbia, dopo una carriera di gravi problemi fisici, complicazioni economiche ed episodi controversi, ma anche da simbolo e capitano del Ghana, diventa opinionista ed ambasciatore di diversi marchi importanti.
Ha vissuto tante vite, di cui quella italiana è stata solo una piccola parte: l'arrivo in Serie A e il suo difficile ambientamento a Udine, un mondo così diverso dalla sua Accra, meritano però un capitolo a parte, curioso, strano, tipicamente anni '90.
