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Simone Barone, al Mondiale dopo il mancato passaggio alla Juventus

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Simone Barone, e subito pensi a Filippo Inzaghi. La vita calcistica del Campione del Mondo sembra racchiusa in quel momento lì, in quella corsa sfrenata ad inseguire Pippo per cercare di segnare un goal al Mondiale 2006. No, quella palla non l'ha mai ricevuta; sì il trofeo l'ha vinto lo stesso. La medaglia d'oro è in bacheca e la stella nel firmamento dei campioni anche. Il rapace Superpippo non vide mai, nemmeno con la coda dell'occhio, che dal centrocampo sopraggiungeva un compagno per dagli una mano. Vide invece Cech davanti, lo superò, depositò in rete evitando all'Italia l'accoppiamento con il Brasile. Barone esultò con lui, rendendosi forse per la prima volta conto di essere all'interno della competizione sportiva per professionisti più importante del pianeta. Stop alle trasmissioni delle vicenda trita e ritrita Inzaghi-Barone-mainellavitacheavrebbepassatoquelpallone.

Più curioso andare a ricercare il motivo per cui Barone fu effettivamente al Mondiale, in uno spogliatoio talmente pregno di campioni che l'attuale mondo del calcio, in ogni angolo del pianeta, impallidisce. Davanti all'Italia del 2006, alla Spagna del 2010, al Brasile 2002, difficile avere paragoni di qualità e tecnica eccelse equiparabili: forse in parte il caso più recente è la Francia del 2018, capace di tenere a casa Benzema e vincere comunque il torneo iridato. Impensabile.

Barone ci riuscì, Lippi lo portò come centrocampista in un reparto che poteva contare su Pirlo, De Rossi, Perrotta, Camoranesi e Gattuso. Era in ballottaggio con altri operai del pallone, un pesciolino in mezzo ai capodogli. Per riuscire a sopravvivere alla selezione naturale dovette fare una scelta, alcuni mesi prima. Diciamo cinque per la precisione, quelli che fecero rima come di consueto con il calciomercato invernale.

Quello delle opportunità per i calciatori delusi, di nuove esperienze necessarie per dire la propria ad un livello più alto, fuori dagli schemi e dall'essere relegato in panchina. Quello delle occasioni irripetibili per dare una mano alle grandi del calcio, a caccia di alcuni accorgimenti per la seconda parte di stagione. Il calciomercato invernale è semplicemente quello che mette alla dura prova tutta una carriera, una linea che separa chi è riuscito a prendere la giusta decisione (lo dice la storia futura) in maniera visionaria, di pari passo col destino.

Simone Barone è titolare del Palermo fino a maggio, quando Lippi, dopo tredici gare con la maglia della Nazionale azzurra nel biennio precedente, lo sceglie per partire in Germania completando così il puzzle, composto da altri nomi per un pelo dentro, da Amelia a Zaccardo, passando per Oddo.

La regola numero uno nel manuale delle perfette convocazioni è facile: se giochi da titolare nella tua squadra puoi essere convocato, altrimenti no. Comma 2, l'eccezione è essere pupillo del commissario tecnico, capace in quel caso di andare oltre una tua forma fisica non perfetta, causata dalle poche sfide nel periodo appena precedente al torneo. Barone non è un pupillo di Lippi, ma ha giocato costantemente a Palermo. Ok, la chiamata è giusta. A gennaio, però, tutto poteva essere diverso.

Emerson, Juventus, Moggi, centrocampista, calciomercato. Mettendo qualche articolo qua e là si crea una frase. Una frase semplice in un mondo complicato come quello bianconero, in cui il centrocampista brasiliano è alle prese con la pubalgia e il suo dirigente vede in Barone l'uomo perfetto per sostituirlo in caso di necessità:

"Quando ero a Palermo, nella stagione 2005-2006, fui molto vicino alla Juventus. Nel gennaio del 2006, il club bianconero fu molto vicino al mio acquisto perchè il loro centrocampo aveva qualche acciacco (Emerson aveva la publagia) e mi sarei dovuto trasferire il giorno dopo della sfida giocata proprio contro la Juventus persa per 2-1 con doppietta di Mutu. Giocai bene e probabilmente convinsi Zamparini che, forse non più convinto da qualche giocatore proposto in scambio, ventiquattr'ore dopo mi disse che non mi avrebbe più ceduto".

È lo stesso Barone a 'Tuttojuve' a raccontare dopo anni quella possibilità sfumata, che attrae un significato negativo all'immediata lettura e uno positivo scavando al suo interno, sbocciata nella chiamata al Mondiale tedesco po-po-po:

"Fa parte del gioco. Ero felicissimo dell'interesse bianconero, ma era il periodo in cui giocando a Palermo ero nel giro della Nazionale e avevo molto paura di perderla. In rosanero ero titolare, alla Juve non lo sarei mai stato perchè avevo grandi campioni davanti a me. Il fascino della Vecchia Signora e il fascino di giocare in Champions League era grande, ma alla fine è andata così. Mi sono guadagnato la chiamata tra i ventitre che parteciparono al Mondiale in Germania. Forse era destino".

36 gare in Serie A, tre goal, e ben 48 in stagione nelle varie competizioni. Barone non si ferma mai e Lippi ne è consapevole, sa che uno dei giocatori più presenti dell'annata ha il fuoco dentro, le pile a ricarica continua, la voglia di essere il nome più discusso nei bar sport. Porta la croce del 'cosa ci fa lui' in un centrocampo d'elite.

Simone Barone PalermoGetty

Se ne fa carico perché il commissario tecnico è convinto della sua scelta e al buon Simone non serve altro, consapevole della sua forza, figlio di un destino che ha portato al no alla squadra più titolata d'Italia per un motivo. Succede tutto per una ragione e quel no dev'essere sfruttato al meglio, non può sbagliare il Mondiale. Non lo sbaglierà, giocando da subentrante senza infamia le gare contro Ucraina e Repubblica Ceca, quella che più di tutti la gente associa al suo nome, come costola di Inzaghi, come prolunga di un pallone mai attaccato al piede in quell'azione, incollato agli occhi, al piede e alla mente di Pippo.

Soffermarsi su quell'azione e collegare in maniera continua Inzaghi a Barone è divenuto noioso, come ogni cosa ripetuta, sempre uguale, trita e ritrita in un pozzo di mancato sfuggire alle ovvietà. Sì, il pallone non gli è mai arrivato, ma interessante è il modo in cui, dietro le quinte, quella sfera non è mai arrivata. Non è mai arrivata perché Barone era in campo.

Non è mai arrivata perché Barone era al Mondiale. Non era divenuto pedina sulla scacchiera con tanti ma, forse giochi, forse no, chissà come sta quel campione, chissà quanto il top del centrocampo riuscirà a reggere, cercando di dimostrare di non essere secondo a nessuno, immoortale e resistente. Il pallone non è arrivato a Barone perché è rimasto a Palermo, giocando titolare e arrivando con una forma fisica invidiabile a metà maggio, al momento delle chiamate di Lippi.

Povero Barone, si sussura riguardando quell'azione. Ci si ride su, scherzando sull'egoismo di Inzaghi, disposto a tutto pur di segnare in quel momento della storia. Poi, in un momento di lucidità, cadono i muri, lo schemo nero fa capolinea nel portatile, ci si specchia e ci si accorge che non c'è niente per cui consolare il buon Simone, Campione del Mondo e senza rammarico per non aver segnato al Mondiale. È stato corteggiato dalla Juventus, ha giocato un decennio in Serie A, abbracciato e baciato la Coppa del Mondo. Limitarne la vita ad una corsa folle sembra alquanto limitato.

Del resto, poi, sarebbe potuto succedere di tutto. Una deviazione di Cech, un passaggio di Inzaghi, il pallone tra i piedi, la porta sguarnita, la sfera in tribuna. Non è successo niente, è successo tutto. Ha la medaglia d'oro al collo e una vita di aneddoti, senza routine controproducente. Brindiamo.

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