"Questa gara mi ha donato tranquillità per aver messo da parte tutto e aver fatto un goal importante: e per essere entrato un po' nella storia di questo derby": ammette ai microfoni della RAI nel novembre del '97. Da quando è arrivato all'Inter dall'Atletico Madrid, il rapporto tra Diego Pablo Simeone e i suoi nuovi tifosi non è dei migliori. Mugugnato, rumoreggiato: sulla bocca di tutti e ampiamente criticato. Almeno fino a quel 22 novembre: perché sì sa, un goal nel derby può cambiare tutto. Persino il mondo.
È appena ritornato in Italia dopo le esperienze in Spagna, al Siviglia e ai Colchoneros, importantissime per la sua carriera e per il suo rilancio: fino alla nona giornata, però, della sua "garra" poca traccia, relegato da Gigi Simoni a una porzione di campo concettualmente ideale, ma difficile da applicare: la trequarti. Ci arriverà, ma partendo dal basso.
Simeone, comunque, è sempre stato l’emblema della lotta incondizionata e cinica, scolpita sul manto erboso come i rilievi del suo volto, culminati negli zigomi prorompenti. Prepotenti: lui, che ha sempre trasmesso la durezza della roccia e la fermezza d’animo del saggio, riassunte in un corpo ben bilanciato e geometricamente perfetto nelle proporzioni, anche in virtù della classica maglia dentro ai pantaloncini, simbolo di un’era calcistica lontana.
GettyL’estate del ’97 all'Inter passa alla storia, tra le altre cose, come quella dell’arrivo di Ronaldo, oltre che come quella della costruzione di una squadra molto difficile da gestire, ma comunque fortissima, che arriverà a giocarsi lo Scudetto almeno fino alla terz’ultima. Il resto è noto.
A novembre Simoni affronta un Milan in piena ricostruzione, ma un derby è sempre un derby: prescinde da tutto, dalle difficoltà e dai momenti della stagione. L’Inter è capolista, i rossoneri ottavi: in campo va Simeone, reduce da prove non troppo convincenti. Gioca trequartista nel rombo del 5-4-1, con Ronaldo unica punta: e, giusto per definire i contorni di prossimo leader dei nerazzurri, ci mette meno di un quarto d’ora per dire la sua.
Perché, in fondo, a Simeone si può dir tanto: irriverente, a volte eccessivo. "Un personaggio", direbbe qualcuno, ma non in cerca d’autore: anzi, con un carattere ben definito e riconoscibile persino nella sua carriera da allenatore, che in Italia è passata per il Catania, senza vederlo più ritornare, se non da avversario alla guida di un club straniero. Chissà, un giorno accadrà.
Combinazione veloce: Ronaldo vede oltre, corre il doppio degli altri, mentalmente e fisicamente. Moriero è intelligente: sa dove posizionarsi e raccogliere palla. Simeone è furbo: il dinamismo offerto dai bicipiti marmorei si trasforma in esplosività nello scatto in proiezione offensiva al 13’, culminato con la prima rete in maglia nerazzurra, nel giorno più importante per la stessa. Cardone non se lo aspetta mica, lui sbuca alle sue spalle. L’esultanza è quella che “El Cholo” ha mostrato nel corso degli anni, sia da giocatore che da allenatore: un moto perpetuo delle braccia che si rinnova al ritmo di corsa, diventando un congegno quasi perfetto.
A marzo, pochi mesi dopo, l’idea che i tifosi hanno di Simeone è ben diversa rispetto a quella sostenuta fino a quel giorno di novembre: persino il raggio d’azione è differente, più sulla linea mediana, meno sulla trequarti. Si è guadagnato il pieno rispetto dello spogliatoio, diventandone leader: a distanza di molti anni possiamo ammettere di non essere minimamente sorpresi.
“Era uno che si faceva rispettare da tutti, era colui che organizzava gli incontri per fare gruppo insieme alla squadra. E se in allenamento vedeva che qualcuno non faceva le cose per bene o non dava tutto, andava a rimproverarlo a muso duro: per questo ha litigato due volte con Ronaldo e Gigi Simoni gli diede il ruolo di leader della squadra”, ammette Gianluca Pagliuca a "El Pais" nel 2016.
L’Inter, nel frattempo, ha perso uno dei derby più pesanti della sua storia, a gennaio per 5-0 in Coppa Italia: un colpo non passato inosservato e che viene puntualmente e attualmente ricordato. Ma a marzo, poco dopo il novantesimo anniversario della fondazione della società, i nerazzurri si rifanno nel giorno della consacrazione del “Cholo” e di uno dei goal più iconici di Ronaldo.
Quella contro il Milan, vinta 0-3, è senza dubbio una delle più celebri partite di Simeone con la maglia dell’Inter: e non ci sarebbe neanche bisogno di precisare il perché, visto il risultato e il tabellino. Si presenta alla sfida con un tiro dalla distanza sventato da Rossi, che è anche il primo sussulto nerazzurro della serata. Quindi, poco prima dell’intervallo, indirizza in rete, di testa, un calcio d’angolo battuto da Djorkaeff, portando in vantaggio i suoi.
GettyNella ripresa gli spazi si aprono: il Milan ci prova, senza risultati. Al 77’ Moriero lancia Ronaldo: non ha neanche troppo senso descrivervi la conclusione, l’avrete vista un milione di volte. Almeno. Pallonetto al volo, d’esterno, a superare Rossi. San Siro diventa una prateria: in contropiede i rossoneri aprono un’autostrada per Simeone, che quasi al novantesimo ha ancora benzina a sufficienza per disputare altre 5 gare nella stessa sera e allenarsi il giorno dopo. Arriva davanti al portiere del Milan e fa “il Ronaldo”.
Sì, “il Ronaldo”: finta di corpo, Rossi neanche ci crede tantissimo, prova a strattonarlo. Ma come si sposta un treno? Semplicemente non si può: lui insacca. È 0-3: è doppietta, per il “Cholo”.
Di derby ne giocherà in tutto 5: quella del marzo ’98 rimarrà l’unica vittoria contro il Milan da giocatore in campo (al ritorno in Coppa Italia, nel '98, partita vinta dall'Inter per 1-0, non giocò). Da allenatore, invece, è un po’ più articolato il discorso.
Ha già affrontato i rossoneri per 3 volte: la prima sulla panchina del Catania, perdendo per 0-2 al Massimino, le altre su quella dell’Atletico Madrid (le ultime 2 in Champions League dei rossoneri prima del match di Anfield di quest’anno), su cui ancora siede fiero e che lo vedrà protagonista della sfida di questa sera.
Tornerà lì, dove nel marzo del ’98 ha vissuto una delle più belle serate della sua storia in nerazzurro: guarderà gli spalti e penserà che in quello stadio ha già detto la sua, lasciando una firma importante. E, anche se non con la maglia dell'Inter addosso, sarà di nuovo derby: almeno un po’.
