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Sergio Pellissier, Chievo, Serie A, 24092017Getty Images

Sergio Pellissier racconta il 'suo' Chievo a Goal: "Deve tornare dove merita"

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L’estate del 2021 è stata per molti versi storica: l’Italia di Mancini è risorta definitivamente vincendo gli Europei, Cristiano Ronaldo è tornato allo Unintd, Lionel Messi  ha lasciato il Barcellona. È terminata anche un’altra bella storia d’amore. Quella tra il Chievo e il calcio dei grandi.

Già, perché a partire dal 2001 un piccolo quartiere di Verona arriva al grand hotel della Serie A e ne diventa un cliente abituale. Vent’anni indimenticabili terminati però nel modo più terribile, con la mancata iscrizione alla Serie B e la successiva cancellazione dal professionismo.

Un club che ha avuto tanti protagonisti, ma tra questi ce n’è uno che inevitabilmente svetta. Non può che essere Sergio Pellissier: 519 presenze e 139 goal in gialloblù. 17 stagioni di amore incondizionato per la causa clivense, mostrato a maggior ragione in questo momento difficile creando un nuovo Chievo. Perché questa società piccola e gloriosa non può essere spazzata via in un’estate trasformandosi solo in un piacevole e al tempo stesso amaro ricordo.

Chievo PellissierGetty Images

Pellissier è dunque il Chievo fatto persona e, in caso di analisi del sangue, probabilmente avrebbe globuli gialli e blu. Non poteva esserci persona migliore dunque, per ripercorrere – in un’intervista concessa a Goal – le tappe principali degli ultimi vent’anni clivensi.

Il primo Chievo è quello rampante e spensierato di Delneri, che da matricola della Serie A duella per il vertice della classifica. Una squadra straordinaria sia sul campo – tra le geometrie di Corini, i goal di Corradi e Marazzina e le folate di Eriberto e Manfredini – che nella vita di tutti i giorni.

“Era diverso il sentore che avevi, era più una famiglia che una società di calcio. Davi più di quello che avevi e, quando perdevi, sentivi di aver perso tu perché facevi parte di questa famiglia. Sentivi un affetto particolare anche da parte della dirigenza”.

Il primo anno di Serie A del Chievo si chiude con uno storico quinto posto, che vale l’accesso alla Coppa Uefa. Una prima esperienza europea breve ma intensa, dovendo affrontare al primo turno la Stella Rossa di Belgrado.

“Una cosa storica. Tanti tifosi sono venuti, malgrado un ambiente veramente ostile. Nonostante questo, è stata una sensazione nuova e incredibile portare il Chievo a giocare a quei livelli. Noi eravamo emozionati, non era facile giocare con una delle squadre più blasonate d’Europa”.

Quella nella Coppa Uefa 2002/03 non è l’unica esperienza europea del Chievo. I gialloblù si qualificano anche per l’edizione 2006/07, al termine di uno dei migliori campionati della loro storia. Un risultato che viene reso ancora più importante dalle sentenze di ‘Calciopoli’, che proiettano il Chievo ai preliminari di Champions.

“Quell’anno lì eravamo veramente forti, abbiamo fatto un anno incredibile. Su tutti ha spiccato Amauri, che in quella stagione esplose. Abbiamo strameritato e siamo arrivati in scioltezza a giocarci la Uefa. Se avessimo avuto gli avversari di adesso, probabilmente saremmo andati direttamente in Champions. Forse il fatto di Calciopoli è stata un po’ la nostra rovina. Abbiamo fatto una preparazione sbagliata, mettendo meno carichi per arrivare più leggeri alla partita che dovevamo affrontare. Non c’eravamo fisicamente, crollavamo subito. Abbiamo avuto delle problematiche in quelle due partite, anche se probabilmente non meritavamo di perdere. All’andata ci hanno annullato un goal validissimo sull’1-0 per loro e abbiamo preso il 2-0 al 94’. Al ritorno abbiamo dominato i primi 20 minuti, ma poi siamo scoppiati e loro ci hanno fatto 2 goal. Alla fine siamo riusciti a pareggiare, però poi abbiamo avuto per parecchi mesi la difficoltà di non essere in forma e abbiamo perso tanti punti. A fine anno siamo retrocessi, quindi nel giro di poco tempo siamo passati dalle stelle alle stalle e non è stato facile quel periodo”.

Dal paradiso all’inferno dunque, ma non per molto. Smentendo chi prevedeva un immediato declino, il Chievo riesce a tornare immediatamente in massima serie stravincendo il campionato di Serie B 2007/08.

“La società aveva sposato la causa del rientro immediato in massima serie, quindi aveva tenuto tutti e fatto uno sforzo immane dal punto di vista degli stipendi. Voleva tornare su e fare bene. Noi credevamo fermamente di riuscirci e avevamo una squadra forte, che era più o meno la stessa di un anno prima. Non è stato facile perché vincere non è mai facile, ma quando hai un gruppo di uomini veri le cose sono più semplici”.

La svolta decisiva a Bari, nell’ultima giornata del girone d’andata. Chievo sotto di 2 goal già nei primi minuti e poi capace di vincere 2-3. L’inizio di una cavalcata incredibile, chiusa con la vittoria del campionato cadetto.

“Dopo quella partita siamo passati in testa e nessuno ci ha più superato. È stata veramente la ciliegina sulla torta, avvenuta prima di Natale. Quel recupero ha dimostrato che eravamo un gruppo forte, perché qualunque squadra sotto 2-0 su un campo come quello di Bari avrebbe messo i remi in barca. Invece noi abbiamo reagito facendo un secondo tempo stratosferico”.

Chievo dunque di nuovo in Serie A, mantenuta per ben 11 stagioni consecutive. Tante sofferenze soprattutto nel campionato 2008/09, con i gialloblù ultimissimi a 9 punti a fine 2008 e poi autori di una stupenda rimonta salvezza.

“Sinceramente non capivamo perché eravamo così bassi in classifica. Giocavamo bene e creavamo occasioni, ma magari talvolta prendevamo goal in momenti in cui non lo meritavamo. Capitava che di perdere 1-0 sull’unico tiro in porta degli avversari: era un periodo negativo. Dopo il cambio di allenatore e l’arrivo di Di Carlo, la mentalità è cambiata. Il mister ci ha compattato ancora di più, puntando anche su giocatori che magari non stavano giocando con Iachini. Lì siamo diventati squadra: chiunque ha fatto fatica a batterci quell’anno. Siamo riusciti a mettere in piedi quella straordinaria rimonta: salvarci alla penultima di campionato dopo che tutti a Natale ci davano per spacciati è stata una soddisfazione enorme”.

Da quella salvezza viene fuori un nuovo Chievo, meno sbarazzino degli anni precedenti ma più concreto e deciso nei momenti che contano.

“Con gli anni impari a capire la categoria e a capire i trucchi, perché ogni categoria ha i suoi. Non bisogna abbattersi quando le cose vanno male, ma neanche esaltarsi quando bene. Sai che puoi battere tutti, ma anche perdere con tutti e talvolta anche male. C’è capitato di perdere malamente contro l’ultima in classifica, ma anche di vincere contro squadre che avevano obiettivi importanti. Devi capire bene tutto questo per rendere al massimo. Noi eravamo tanti giocatori con alle spalle diversi campionati di Serie A affrontati lottando con sofferenza per la salvezza, quindi eravamo già abituati a quei livelli e a quelle situazioni”.

Chievo Pellissier Serie AGetty Images

La storia clivense prosegue nel migliore dei modi, attraverso salvezze più o meno sofferte impreziosite da qualche risultato di prestigio. Un idillio con il grande calcio che però, al di là di quanto avvenuto quest’estate, comincia a scricchiolare già molto prima.

“L’addio di Sartori è stata la prima situazione che doveva far pensare che qualcosa cominciava a non quadrare. Il rinnovamento andava fatto, ma non in quel modo. Andava fatto gradualmente, con l’inserimento di giovani in un contesto con anche dei giocatori esperti che insegnavano loro cosa dovevano fare. Invece sono stati mandati via i “vecchi” per prendere i giovani, ma così i giovani da chi imparano? La stessa problematica c’è adesso in Serie C: tu mandi i giovani a giocare, ma da chi imparano se son tutti giovani come loro? Bisogna fare il cambiamento con la dovuta calma, con l’inserimento graduale di giovani ma anche i giocatori più esperti servono. Noi siamo retrocessi perché non c’erano più ‘uomini’, ovvero giocatori che insegnavano cosa si doveva fare. Questa è stata la problematica più grande”.

I primi scricchiolii diventano certezze al termine della stagione 2018/19, con la seconda retrocessione in Serie B nella storia del Chievo. Da lì in poi una slavina di errori e scelte discutibili, con molti uomini ‘da Chievo’ – capaci di dare continuità al DNA clivense – salutati senza troppi rimpianti.

“La gestione è stata fatta da persone che non erano abbastanza competenti per capire queste cose. Io quando sono diventato direttore sportivo ho provato a spiegare che certe situazioni non le avrei volute, ma sono state prese delle decisioni a mia insaputa. Questa cosa non mi è piaciuta e per quello me ne sono andato. Non sono cose che si fanno e non era il momento di farle. Quelle persone le avevo volute lì apposta perché facessero capire a chi arrivava cosa volesse dire essere ‘da Chievo’. Una volta che elimini anche quelle persone, non ti affidi a gente ‘da Chievo’ ma a persone che non ti possono dare quello che ti darebbero loro”.

Il Chievo perde dunque progressivamente il suo antico spirito, fino ad arrivare a questa tragica estate con la mancata iscrizione al campionato cadetto.

Non me l’aspettavo e, quando l’ho scoperto, sono rimasto veramente male. Speravo in un ricorso positivo ma non è stato così ed è stato un dispiacere enorme”.

Un periodo fatto di sentenze dei tribunali, ricorsi e anche polemiche a distanza tra Pellissier e il presidente Luca Campedelli.

“Il dispiacere più grande è che lui si sia affidato ad altre persone e non a me, perché sapeva che qualunque cosa l’avrei fatta per il bene del Chievo e senza altri interessi particolari. Dispiace che dopo tanti anni abbia scelto altri, però fa parte del lavoro ed è giusto che sia così. Se io mi affido a persone che non fanno il loro lavoro nel modo giusto è normale che siano mie le responsabilità, però una parte delle colpe va anche a loro”.

La mancata iscrizione del Chievo alla Serie B – e successivamente alla Serie D – sembrava aver messo la parola fine alla storia del club. Un esito evidentemente non gradito a Pellissier, che si è mosso in prima persona per creare un nuovo Chievo da far ripartire dalla Terza Categoria.

“Ho dovuto cambiare il nome: non sarà più ‘Chievo 1929’, perchè il rimando alla vecchia società è troppo evidente, ma '2021'. Abbiamo appena fatto l’iscrizione. L’obiettivo principale di adesso è creare una società sana, con una struttura, dei principi e dei progetti dietro e cercare di crescere e di portare a termine questi progetti. Mi piacerebbe creare un centro sportivo e tornare ai livelli che il Chievo meriterebbe. I progetti e i sogni ci sono, poi bisogna avere la fortuna di incontrare persone che ti diano una mano e che tu riesca a vincere dei campionati. Dalla Terza Categoria alla Serie A ci vuole una vita e forse non farò neanche in tempo a vederlo, però ci possono essere altre situazioni come l’acquisire il titolo da un’altra parte, l’essere ripescati o vincere i campionati. L’importante è creare una società sana, che sia solida e che possa ambire a fare qualcosa in più della terza categoria, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Non è facile vincere e creare tutto questo, ma la voglia e l’intenzione ci sono”.

La favola Chievo non è ancora finita dunque, con la speranza che il futuro ricalchi – errori a parte – il recente passato.

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