Pubblicità
Pubblicità
Sebastian Leto Catania Sampdoria Serie A 20132014Getty

La parentesi al Catania e il presente da vice-Stramaccioni: Leto, il talento sfortunato

Pubblicità

Qualcuno un giorno riuscirà a spiegare, tra i tanti “perché” che accompagnano il calcio, quello relativo alle annate storte, iniziate male e terminate peggio. E il “perché”, conseguente, quelle stesse annate, specialmente nel calcio, hanno lo strano potere di congiungere, in termini quasi astrali, il triste destino di una squadra alle svolte in negativo di alcuni giocatori, scegliendo questi ultimi come perfetti “capri espiatori” di un epilogo, in verità, il più delle volte già scritto.

La parentesi di Sebastian Leto al Catania è stata, in un sunto veloce e poco articolato, tutto questo. Con qualche sfumatura in più: giusto alcuni spunti per illudere e illudersi. Ah, il calcio: quanto sa essere cattivo. In terra etnea, in realtà, il suo ingaggio è stato accolto con un misto di semi-indifferenza, speranza e abitudine.

L’ultima, la più pesante: non è ancora finita la stagione che consacrerà il “Piccolo Barcellona” di Rolando Maran, evoluzione di quello di Vincenzo Montella, come una delle “migliori 8” della Serie A, a un passo da una storica qualificazione in Europa League, ma già si parla di mercato. Il suo arrivo si colloca esattamente in mezzo a due delle gare che hanno poi deciso il campionato del club rossazzurro, impedendo a quest’ultimo di conquistare il sogno europeo: uno scialbo 0-0 contro il Chievo Verona al Bentegodi e il “derby delle B” (20mila cartelli con una “B” stampata esposti da altrettanti tifosi al Massimino) contro il Palermo, risolto quasi allo scadere da Josip Ilicic, con tanto di rissa finale tra Andujar e Barreto.

Una sorta di "pupo siciliano" (esteticamente) con camicia coreana sbottonata, vistosi occhiali da vista, capelli raccolti e inconfondibile pizzetto. Pur essendo stato acquistato come ala nel 4-3-3 classico ha un fisico mastodontico: lunghe gambe magre e un busto reso imponente da spalle larghe. Ma soprattutto: è argentino. Il che ci riporta al tema dell'“abitudine”, sviscerandolo: “il Catania degli argentini” è uno di quei concetti, detti, ritornelli che più tra gli altri si sono insinuati nella nostra mente rendendosi, appunto, “abitudine”. Ma c’era qualcosa in più a rendere “speciale” l’arrivo di Sebastian Leto in rossazzurro: le diverse storie che, da Pablo “El Pitu” Barrientos a Maxi Lopez, passando per gli altri, hanno caratterizzato il mito di un club che era riuscito a sorprendere pure se stesso. “Catania recupera i talenti smarriti”. Con Leto, purtroppo per lui, non è stato così.

Se la vostra memoria non vi darà le giuste risposte su chi sia Charles Itandje (in maniera del tutto giustificata, tra l’altro), difficilmente ricorderete il folle mercato che il Liverpool di Rafa Benitez portò avanti nell’estate del 2007, all’indomani di una stagione che per i Reds si concluse con la finale di Champions League persa contro il Milan.

Lo spagnolo decise di ingaggiare innanzitutto Fernando Torres dall’Atletico Madrid, quindi Ryan Babel e Lucas Leiva. Tra i tanti, inaspettatamente, quello su cui puntava parecchio era proprio Sebastian Leto, presentato insieme a Charles Itandje, un portiere che da quel momento in poi diede il via all’inesorabile declino della sua carriera.

“Da noi, e questo è quello che abbiamo notato più di tutti, era un giocatore con un potenziale enorme, abbastanza veloce, con capacità di gestire gli uno contro uno, buona tecnica, un buon tiro e una buona visione. Pensavamo che avesse il potenziale necessario per crescere molto in una competizione come la Premier League. Era un giocatore davvero interessante per il futuro”, dice Rafa Benitez di Leto, nel 2011.

L’argentino scende in campo contro il Tolosa nei preliminari di Champions League, quindi gioca titolare contro il Marsiglia nella fase a gironi e 2 gare dell’allora Carling Cup, contro Reading e Cardiff. Neanche un minuto in Premier League: è qui che, per la prima volta, la sfortuna fa capolino nella carriera di Leto. Dopo essere stato ingaggiato dai Reds, il Regno Unito gli nega il permesso di lavorare sul suolo britannico, in virtù di un passaporto, quello italiano, prima concesso e poi revocato.

“Ha giocato diverse partite con noi e ha fatto bene. Non gli è stato permesso di rimanere dopo i primi mesi in Inghilterra e non abbiamo avuto altra scelta che venderlo all'estero: non era quello che volevamo, ma abbiamo dovuto accettare le regole”,spiega Benitez. Leto ha 21 anni, è in una delle squadre migliori al mondo, ma è costretto a vederla giocare dalla tribuna di Anfield, impotente, alla disperata ricerca di una nuova squadra.

Sebastian Leto Liverpool MarseilleGetty

La trova in Grecia, all’Olympiakos: un anno dopo passa al Panathinaikos. Alcuni parlano di tradimento: “Non credo si possa parlare di un tradimento: all’Olympiacos sono rimasto solo dieci mesi, non sono mai stato un loro tifoso”, spiegherà. Al Pana rinasce, diventa un giocatore: poi un infortunio al ginocchio lo costringe a un altro anno di stop. Un calvario.

Uno dei miracoli compiuti dal Catania è stato senz’altro quello di rimettere in sesto la carriera e il fisico del “Pitu” Barrientos, uno dei più grandi talenti del calcio argentino, aspettandolo, curandolo. Alimentando persino l’epopea che ha anticipato il suo ritorno in campo. Qualcuno in terra etnea sperava di riuscirci anche con Sebastian Leto.

In estate, nel 2013, il club rossazzurro vive una mini-rivoluzione dirigenziale: Sergio Gasparin lascia il timone a Pablo Cosentino, ex agente e vicepresidente del club. A lui pieni poteri anche sul mercato: via il “Papu” Gomez per “due spicci” al Metalist, Giovanni Marchese e Francesco Lodi passano al Genoa. Il Catania si indebolisce vistosamente: in entrata arrivano giocatori con esperienza internazionale, ma difficili da inserire, mentre in attacco rimangono Barrientos, Castro e Bergessio. Quest’ultimo senza un’alternativa: sembrava il contesto perfetto. Per Leto diventa un incubo.

Esordisce contro la Fiorentina alla prima di campionato, ma la squadra gioca talmente male che presto si trova nei bassifondi della classifica, con una sola vittoria in 11 gare: del “Piccolo Barcellona” non è rimasto nulla. Leto non riesce proprio a inserirsi: sembra lento, macchinoso, scevro dalle dinamiche di gioco. Segna 2 goal non troppo utili contro Torino (nella sconfitta per 4-1) e Atalanta (altra sconfitta, 2-1): i rossazzurri operano 3 cambi in panchina. Sembra strano, ma 4 delle 6 vittorie conquistate in quella stagione arrivano nelle ultime 5. Proprio quando Leto riesce a far bene.

Contro la Sampdoria, a metà aprile, sigla un goal incredibile: una rovesciata stilisticamente perfetta che si insacca alle spalle di Fiorillo. Il Catania retrocederà: quel finale di stagione, però, sembra il nuovo inizio della carriera di Leto. La facciamo breve: 10 mesi dopo, a metà campionato, è già in Argentina, nel suo Lanus, chiudendo un’esperienza, quella in Italia, riassumibile in 42 partite tra Serie A, Serie B e Coppa Italia e 6 reti.

È qui che la vita di Sebastian cambia: ancora una volta per la solita sfortuna che no, proprio no, non ha intenzione di lasciarlo in pace. Durante un allenamento in palestra viene colpito alla testa da un bilanciere, al termine di una seduta di squat: viene ricoverato d’urgenza, tra la paura e la preoccupazione generale. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale, accusa forti vertigini: trauma cranico con frattura ed ematoma. “Leto dovrà operarsi”: rimane in terapia intensiva, quindi, lentamente e dopo una seconda operazione (avvenuta mesi dopo) supera l’ostacolo più grande. Senza troppa retorica, si può affermare che sì, ha dribblato l’avversario più difficile, la morte.

Leto ha appeso gli scarpini al chiodo a 31 anni, nel 2017, dopo le sue ultime esperienze calcistiche: è tornato al “Pana”, poi ha vestito la maglia dell’Emirates Club, negli Emirati. Sparito dai radar per un po’, nel giugno del 2019 pubblica sui social una foto sorprendente. “Grazie Andrea per aver creduto in me. Iniziamo questa incredibile avventura: insieme possiamo fare tutto”.

Andrea Stramaccioni, allora nominato allenatore dell’Esteghlal (l’inizio di un’avventura ai limiti del normale, conclusa con la “liberazione” dell’ex Inter), lo investe del ruolo di vice: lo segue anche in Qatar, all’Al-Gharafa. I due sono inseparabili. Dopo diverse esperienze sfortunate, Sebastian Leto è alla sua “seconda vita”: per certi versi, a pensarci bene, e visto quel che ha passato, in tutti i sensi.

Pubblicità

ENJOYED THIS STORY?

Add GOAL.com as a preferred source on Google to see more of our reporting

0