Felix Neureuther negli ultimi vent’anni è stato uno dei volti più importanti dello sci alpino in Germania. Bavarese doc, ha vinto un oro mondiale nel 2005, più 13 prove di coppa del mondo. È stato un po’ il simbolo dello sci tedesco negli ultimi 15-20 anni, fino al ritiro avvenuto nel 2019. Avrebbe potuto avere un concorrente di spicco. Un altro bavarese doc, che insieme a lui negli anni ’90 vinceva gare su gare a livello giovanile. Viaggiavano insieme, hanno coltivato - e tuttora mantenuto - un rapporto di amicizia. Solo che, mentre Neureuther ha scelto di continuare a slalomeggiare sulle piste, il suo amico ha deciso di diventare il il Fußballgott, il ‘Dio del calcio’ del club più importante di Germania. Di collezionare 500 presenze in 17 stagioni - giovanili comprese - con il Bayern Monaco. Di scrivere a fuoco il suo nome nella storia del club. Un nome, Bastian Schweinsteiger, che il calcio ha reso famoso in tutto il mondo per i suoi successi.
Era evidentemente destino. Niente sci, nonostante i trionfi a livello giovanile. Bastian, classe 1984, doveva giocare a calcio. Seguendo le orme del fratello Tobias, di due anni più grande, che già giocava nell’Unterhaching, sobborgo di Monaco.
“Amavo entrambi gli sport, poi è arrivata l’offerta del Bayern Monaco... Ho sentito che fosse la scelta giusta. Il calcio era più popolare, portare in giro gli sci era faticoso”.
L’esordio in prima squadra al Bayern arrivò nel 2002, a 18 anni appena compiuti, contro il Lens in Champions League. Insieme a lui, nella stessa partita, fece il proprio debutto anche Philipp Lahm. Insieme avrebbero raggiunto i più grandi traguardi a cui può ambire un calciatore.
GettyEntrambi iniziarono come terzini, indifferentemente a destra o a sinistra. Poi Schweini avanzò a centrocampo. Anche se non fu facilissimo imporsi in prima squadra: nel 2005 Magath lo rispedì tra gli Amateure, a sorpresa.
Presto se ne pentì, lo richiamò tra i grandi. Anche perché Bastian, ormai, con le giovanili non aveva più nulla da spartire. Nel 2004, appena diciannovenne, l’allora CT della nazionale Rudi Völler lo chiamò nella rosa della Mannschaft per Euro 2004. Il primo dei sette grandi tornei giocati con la Germania. Presenze precedenti? Una. Il 6 giugno. 9 giorni dopo era già in campo coi grandi. E pensare che soltanto il 2 giugno giocava con l’Under 21 all’Europeo di categoria. Oggi è il quarto assoluto per presenze nella storia della nazionale, che ha lasciato nel 2016, dopo esserne stato capitano per due anni. La fascia gliel’aveva passata l’amico e compagno Lahm.
Il giovane Schweinsteiger era definito da alcuni un ribelle, da altri un duro per via del suo carattere. In campo non tirava mai indietro la gamba. Non mollava mai. E bruciava le tappe. A 22 anni era già un imprescindibile del Bayern, aveva 41 presenze in Nazionale. Un record, che gli avrebbe sottratto Podolski di lì a poco.
La grande svolta della carriera arrivò nell’aprile 2009, quando il Bayern decise di esonerare Klinsmann e affidarsi temporaneamente all’allenatore più influente nella vita di Schweini:Jupp Heynckes. Sarebbe rimasto ad interim solo cinque partite, tempo sufficiente per convincere tutti che quell’esterno grintoso sarebbe stato meglio come centrocampista centrale. Tesi sposata da Louis van Gaal, che nell’estate successiva avrebbe preso in mano il gruppo. Vicino a van Bommel, in un duo di centrocampo che sarebbe valso la prima finale di Champions della vita di Basti. Persa contro l’Inter di Milito. Tutto merito di Jupp, che Basti ha voluto ringraziare pubblicamente in una lettera aperta sul sito del Bayern.
“Quando abbiamo lavorato insieme per la prima volta, mi hai spostato dall’esterno al centro del campo. van Gaal, che subentrò nella stagione successiva, mi disse che guardò quelle partite e da quel punto in avanti mi vide come centrocampista centrale”.
Getty ImagesDa lì è nato uno Schweinsteiger 2.0, la miglior versione possibile. Leader, in grado di fare tutto con la palla e senza palla. Il prototipo di centrocampista completo. È diventato Fußballgott. Amato dai tifosi, che gli hanno perdonato anche quel maledetto rigore nella finale di Champions del 2012. Quella persa in casa, nel proprio stadio, contro il Chelsea. Bastian sbagliò il rigore che permise a Drogba di portare la coppa a Londra. Palla sul palo. Era stato decisivo nella semifinale con il Real. Poi la delusione, le lacrime, lo sconforto.
“Se un giocatore sbaglia un rigore così pesante, deve avere il tempo di farsene una ragione”.
Getty ImagesCoi rigori, in realtà, Schweini non ha mai avuto un rapporto proprio idilliaco. Anche nel 2016, contro l’Italia, mancò l’occasione di decidere il quarto di finale dopo l’errore di Bonucci. Anche se in quel caso l’amarezza fu compensata dal passaggio del turno. Nel 2012, invece, lo sconforto fu cancellato da una cavalcata impressionante un anno dopo. Sempre con Jupp in panchina. Vicino a Javi Martinez, l’acquisto voluto da Osram per il centrocampo. Il basco e Basti, la coppia perfetta per vincere tutto secondo il tecnico. E così fu.
Chiedere oggi ad Heynckes del 2013 di Schweinsteiger equivale a sentire una sola risposta: livello Pallone d’Oro. Quello che, secondo molti, sarebbe dovuto andare a Ribéry. Schweini si è ‘consolato’ con il premio di giocatore dell’anno in Germania. E con la Bundesliga. E la DFB-Pokal. E la Champions League. E tutto il resto.
Il successo più grande, però, rimane la Coppa del Mondo del 2014. Quella che ha rischiato di saltare per un infortunio al ginocchio. Quella che forse avrebbe deciso di giocare anche da zoppo, se gli fosse stato concesso da Löw. Figurarsi. L’epilogo lo conoscono tutti. Mannschaft Weltmeister. Schweinsteiger di quel successo è diventato un simbolo. La finale contro l’Argentina l’ha conclusa con i punti in faccia dopo una gomitata. Aveva la faccia insanguinata, ma dal campo non aveva la minima intenzione di andarsene. Löw aveva mandato a scaldare Großkreutz, ma Schweini non voleva uscire dal campo. Non poteva. E ha finito regalando una delle fotografie simbolo del Mondiale.
GettyL’anno successivo sarebbe stato il più difficile al Bayern. Con Guardiola, alla seconda stagione in Baviera, qualcosa sembrava essersi rotto. Qualcuno scrisse che Schweini se ne andò per volontà del tecnico. Di recente l’ormai ex centrocampista ha smentito: “Ma pensate avesse davvero tutto quel potere?”. Pep al tempo rispose facendo leva sulle cattive condizioni fisiche del classe 1984, certamente in calo, con un chilometraggio molto elevato sulle gambe.
Andò al Manchester United. Ritrovò van Gaal, con cui aveva già lavorato insieme a Monaco. Diventò il primo tedesco a giocare una partita con la maglia dei Red Devils. Poi arrivò Mourinho. Altro cortocircuito. Messo ai margini. Poi sul mercato. Lo Special One ricevette molte critiche per aver mancato di rispetto a un colosso del calcio. Se ne sarebbe andato poco dopo, ai Chicago Fire, per chiudere la carriera in MLS a novembre 2019. Non prima di aver salutato per l’ultima volta il pubblico dell’Allianz Arena da calciatore, in una notte dedicata a lui e alla sua carriera.
Fuori dal calcio ci è rimasto poco. Dopo il ritiro ha scelto la strada dell’opinionista tv. Prima partita sul campo? Bayern Monaco-Bayer Leverkusen, finale di DFB-Pokal. Vinta dal Bayern. Con Schweinsteiger è questione di DNA.


