Birmingham non è esattamente la migliore città dell’Inghilterra, e della Gran Bretagna: secondo “Numbeo” occupa addirittura il terzo posto nella classifica relativa al tasso di criminalità, ma allo stesso tempo il settimo posto per qualità della vita. Che, comunque, è un dato abbastanza positivo. In ogni caso, Jack Grealish è riuscito ad andare oltre questa profondissima differenza.
Alla fine del maggio del 2022 il Manchester City è ancora scosso per l’incredibile (per come si erano messe le cose) eliminazione in semifinale di Champions League contro il Real Madrid, ma deve giocarsi la Premier League all’ultima giornata, all’Etihad contro l'Aston Villa. I Citizens devono vincere per forza per alzare al cielo il trofeo che, per una copia, è presente al vecchio “City of Manchester”. Per una copia, però: perché l’altra copia è ad Anfield, dove si gioca Liverpool-Wolverhampton.
Pep Guardiola si gira nervosamente verso la panchina al 69’: i Citizens stanno perdendo clamorosamente 0-2 contro l’Aston Villa di Steven Gerrard. Guarda caso. Quando segna “Momo” Salah a Liverpool, però, è troppo tardi: Ilkay Gundogan e Rodri hanno completato la rimonta. Il fatto è che fino al 69’ il titolo era incredibilmente sfuggito dalle mani del Manchester City, che lo ha tenuto saldamente in possesso “sterile” per quasi tutto il campionato: anche per questo motivo Guardiola, girandosi nervosamente verso la panchina, lascia seduto Grealish. L’ultima cosa di cui ha bisogno il City, in quel momento, è di un giocatore “emotivo”: e, soprattutto, dell’ex capitano dell’Aston Villa.
C’è un video che forse (ma non del tutto) spiega cosa è stato, almeno fino all’addio, Grealish per i Villans: rientrato dalla delusione per gli Europei del 2021 persi in finale, a Wembley, contro l’Italia, l’allora capitano si presenta in ritiro per firmare autografi ai tifosi, che lo salutano, ma lo invitano a rimanere. Sorride, ma non risponde. Il 5 agosto Christian Purslow, CEO dell’Aston Villa, annuncia la cessione del giocatore inglese per 100 milioni di sterline. È il calciatore più pagato della storia della Premier League, nonché l’inglese più pagato di sempre.
“Un anno fa abbiamo offerto il prolungamento a Jack: ha accettato, ma ha voluto essere sicuro che se si fosse presentato un club di Champions League, nel caso in cui l’Aston Villa non avesse partecipato non si sarebbe messa in mezzo. Per questo motivo abbiamo accettato. Il Manchester City ha pagato il giocatore per quello che è il suo vero valore”.
Grealish prepara le valigie e si trasferisce a Manchester: a inizio dicembre Guardiola lo fa entrare poco prima del recupero al Villa Park e viene travolto dai fischi. Sulle tribune c’è chi ha coperto il suo nome sulla maglia con del nastro adesivo: in radio, invece, qualcuno chiede di smettere di parlar di lui già da ottobre. Cuori infranti, avvelenati. Come quando a gennaio i tifosi, un po’ alticci, ma in festa, hanno intonato un coro chiaro, sulle note dei Wham!: “Wake me up before you go, who needs Grealish when you’ve got Coutinho”. Tutto, o quasi, dimenticato.
Quasi, appunto. Perché vederlo con la Premier League in mano, all’Eithad, ha in qualche modo restituito ai tifosi dell’Aston Villa presenti il senso e il peso della decisione di un ragazzo cresciuto con i loro stessi colori. Non poteva, insomma, esserci partita migliore per chiudere il cerchio, anche tecnico. Ma tra un po’ ci arriveremo.
“Chi può superare Kyle Walker?” è stata una delle gag più “alte” della festa celebrativa del Manchester City, architettata da Riyad Mahrez. “Mbappé? No! Neymar? No!”. Grealish ruba il microfono all’algerino, sul palco.
“Io quando ero all’Aston Villa. Per questo Pep ha deciso di acquistarmi”. Ha ragione.
Coi Villans ha disputato 213 partite in 8 stagioni da professionista, con 32 goal totali, cambiando diverse volte il suo stile di gioco. Ma il periodo più importante, anche dal punto di vista personale, lo vive nel 2018: l’Aston Villa è stabilmente in Championship e non riesce a riemergere, a dicembre è ottavo e la situazione non sembra migliorare quando Grealish si fa male allo stinco dopo una trasferta contro il WBA. Prognosi: tre mesi di stop.
GettyRientrato contro il Derby County, Dean Smith, allora allenatore dei Villans, gli affida la fascia da capitano e lo schiera sulla trequarti dietro a Tammy Abraham: il quarto goal del 4-0 finale è suo. Una settimana dopo decide il derby contro il Birmingham: esistono rientri peggiori, ma c’è un fatto curioso, in tutto questo. Tutti iniziano ad accorgersi dello stato di salute approssimativo delle sue scarpe.
Piccola parentesi culturale e stilistica: Grealish da anni indossa le Nike Phantom, note (per chi ne sa) per essere abbastanza sensibili al tocco. Ciò vuol dire una cosa: se giochi al campetto con gli amici possono durare anni, ma se giochi in Inghilterra queste sono esposte continuamente a un degrado progressivo e costante.
A poche partite dal termine della stagione l’Aston Villa risale in quinta posizione e gli sforzi della formazione di Smith sono visibili sulle Nike Phantom del buon Jack, che nonostante sia ben consapevole dell’importanza di avere delle “scarpe da lavoro” (per lui e i suoi colleghi questo sono) in buono stato continua a indossarle come se nulla fosse. Lo fa anche quando realizza il rigore del momentaneo 2-3 nella sequenza dei tiri dal dischetto che consente ai Villans di vincere contro il WBA in semifinale playoff e di accedere alla finale contro il Derby County.
GettySì, la partita del rientro a marzo è anche l’epilogo della stagione dell’Aston Villa, a Wembley: avete già capito come finisce. I Villans vincono 2-1 e ritornano in Premier League grazie alle reti di El Ghazi e McGinn. Nella corsa finale di Grealish, quella al triplice fischio, le Nike Phantom cedono. Sono ormai ridotte a “carcassa di scarpa”, la suola è letteralmente scollata al resto della struttura. Essere scaramantici, comunque, è servito.
“Quando sono rientrato dall'infortunio erano nuove di zecca: da quel momento ho iniziato a segnare alcuni goal e a servire diversi assist, quindi ho iniziato a pensare che fossero i miei scarpini fortunati. Non potevo non indossarli”, ha spiegato successivamente.
La bella storia degli scarpini, comunque, si interrompe qui: già dal luglio successivo Grealish li cambia, conservando i suoi “portafortuna” al sicuro. Simbolicamente è un episodio buffo: oggi Jack è uno dei due testimonial nel mondo del calcio per Gucci (insieme al capitano della Nazionale inglese femminile campione d’Europa Leah Williamson), che fa di lui un pioniere dello storico brand. Responsabilità importante, visto il peso delle aspettative di un marchio così prestigioso.
Nel giro di pochi anni la vita gli ha restituito i sacrifici compiuti sin da inizio carriera, nonostante qualcuno continui a definirlo un grande “bluff” del calcio (soprattutto dopo l'occasione in semifinale contro il Real Madrid). È lì, ce l’ha fatta. Il resto non conta. Dal punto di vista tecnico, dicevamo, quella tra Manchester City e Aston Villa è stata la partita perfetta per chiudere il cerchio, otto anni dopo il suo esordio assoluto in Premier League, proprio all’Etihad. In quel caso con le scarpe nuove e senza borse Gucci, ma con la stessa quantità di sogni in valigia.




