Appena uscito dall’aeroporto di Eindhoven il primo incontro è con un edificio interamente rivestito da mattoni e vetrate, da freddezza e indifferenza, nettamente separato dalla tiepida strada da un’aiuola fiorita e da un parcheggio. Non un singolo elemento del piatto monotono paesaggio “di benvenuto” può essere anche solo lontanamente paragonato, stilisticamente, ai muri scarabocchiati e sbiaditi di Bento Ribeiro, agli infiniti grovigli di cavi della luce, tanto bassi quanto pericolosi, né alla dimensione stretta e casalinga di uno dei quartieri più difficili di Rio de Janeiro.
Il secondo incontro degno di nota, lungo la strada verso il centro di Eindhoven, superato il Philips van Lennep Park, e prima ancora di raggiungere il Philips Stadion, si presenta a sinistra del panorama: a mezzo isolato da dove il PSV gioca le sue gare interne si erge, fiero nella sua stranezza, "l’Evoluon". Un agglomerato di acciaio e cemento atterrato sul pianeta terra da una dimensione futuristica, immaginata dagli architetti de Bever e Kalff: un disco volante sospeso su un laghetto, fontana, artificiale. Il che spiega, oltre alla freddezza quasi aliena di una città geometrica, parecchie cose sul perché Ronaldo Luis Nazario de Lima, un extraterrestre multiforme con l’aspetto di un atipico essere umano, abbia scelto proprio quel luogo per presentarsi al calcio europeo.
L’estate del 1994 vissuta all’ombra dell’ingombrante ricordo di Pasadena e del rigore di Roberto Baggio passerà alla storia come uno dei più importanti spartiacque sociali sputati violentemente dal vecchio millennio, a dimostrazione del fatto che nel concetto del “si stava meglio quando si stava peggio” in realtà ha avuto una grandissima rilevanza quel che è accaduto negli ultimi quattro o cinque anni, prima di rischiare i nervi in quel grosso spauracchio del Millennium Bug.
GettyPer un inspiegabile motivo non supportato da alcuna evidenza scientifica, quanto dal solo e romantico sentimento d’eternità che adora congiungere aspetti della vita tra loro distanti, il mondo comunque sembrava pronto per l’esplosione prepotente di Ronaldo, dopo gli accenni di supremazia calcistica neanche troppo velata messi in bella mostra in patria, al Cruzeiro. Si sa, però, come sono le promesse: deliziose e irresistibili. Soprattutto pericolose. In altre parole: ciliegie.
La prima sensazione consegnata dalla visione di una partita di Ronaldo è più o meno assimilabile alla rappresentazione della frenetica attenzione rivolta da un uomo affamato, d’estate, a un piatto di ciliegie, appunto. Il brasiliano partiva dallo stesso approccio quasi disinteressato: nessun tipo abituato a seguire convenzioni precostituite affronterebbe un piatto stracolmo pensando anche solo un istante di finirlo tutto. Ci si chiede se quella di Ronaldo fosse incoscienza mista a istinto o calcolata precisione: il piatto, alla fine, era sempre vuoto. Il campo, per l’extraterrestre venuto da chissà quale pianeta lontano, sempre libero: i difensori sempre indietro. La palla sempre in rete.
Quel 1994, comunque, aveva già consegnato abbastanza prove per candidarsi ad “anno del secolo”. Ovviamente non lo sarà, per evidenti ragioni storiche: rimane ugualmente uno dei migliori del decennio. Ad aprile la morte di Kurt Cobain aveva ridefinito la visione dell’icona rock del tempo, colmata, nei limiti in cui può essere colmato il vuoto generato dalla morte di qualcuno, dalla pubblicazione di alcuni degli album più celebri della storia della musica: “Definitely Maybe” degli Oasis, “Parklife” dei Blur e “Dookie” dei Green Day. Ognuno con almeno una canzone applicabile alla figura di Ronaldo: “Live Forever”, “End of a Century”, “Basket Case”. Su tutte, però, senza dubbio “Supersonic”.
“I need to be myself”, cantano i fratelli Gallagher.“I’m feeling supersonic”: “Mi sento supersonico”. Sì, decisamente: il mondo era assolutamente pronto per l’esplosione di Ronaldo.
“Cosa mi piace di Eindhoven e dell’Olanda? Non so, ci dovrei pensare: il calcio?”, risponde a una giornalista, poco dopo il suo arrivo al PSV. Il suo impatto è raggelante, nel senso estremo del termine: non si è mai visto nulla di simile in Europa, prima di allora.
Getty“È incredibile: è Ronaldo contro il Bayer Leverkusen, e adesso è 4-3!”, esclama il telecronista incaricato di raccontare la gara tra Bayer Leverkusen e PSV Eindhoven terminata 5-4, la prima della Coppa UEFA 1994/95, e ovviamente la prima a livello europeo per il brasiliano.
È arrivato da due mesi, in estate ha vinto i Mondiali in USA contro l’Italia, vissuti dalla panchina. Non gli si chiede praticamente nulla, in quella sfida europea: lui, in cambio, offre una tripletta e la sensazione che avrebbe potuto giocare completamente solo, cosa che effettivamente fece.
“Ricordate: il brasiliano ha appena 17 anni, se continua così può giocare ovunque in Europa”, aggiunge il telecronista, inconsapevole della portata futura dell’evento.
Tutti i goal registrati in quel periodo descrivono un giocatore in continua crescita fisica, ma ancora tatticamente grezzo, legato all’istinto e al talento naturale: nel caso di Ronaldo, comunque, non un aspetto negativo. In ogni caso, al termine della prima stagione in Olanda sigla 35 reti in 36 presenze tra Eredivisie, Coppa d’Olanda e UEFA (la tripletta di prima). La seconda va meno bene: le onde elettromagnetiche generate dalla rottura del flusso spazio-temporale che lo ha spedito sulla terra durante uno dei suoi viaggi tra le galassie, o il più probabile incremento di massa muscolare (meno romantico, più razionale: preferiamo la prima ipotesi) lo rendono terrestre, manifestando i primi segni di un corpo apparentemente perfetto.
Il primo infortunio al ginocchio frena alcune delle aspettative sul suo conto, ridimensionandole. In teoria, in quel periodo, a interessarsi particolarmente al giocatore, insieme a una lista quasi imbarazzante di squadre, era stata l’Inter di Massimo Moratti, che si era assicurata un diritto di prelazione sull’acquisto del brasiliano. Al termine dei primi due anni in Europa, Ronaldo costa circa 30 miliardi di lire, che è tanto quanto, o quasi, offre il Barcellona. Ora: tutto questo seguendo un certo filo logico si sarebbe concluso con l’offerta del Barça e il rilancio dei nerazzurri, che avrebbero goduto così del privilegio accordato con il PSV. Poiché la teoria non sempre si accoppia felicemente alla pratica, l’Inter non esercita il diritto di prelazione, preoccupata dalla sua integrità fisica dopo il guaio al ginocchio, e il brasiliano vola in Spagna.
C’è da premettere un pensiero, un’ipotesi fantasiosa: se avesse lasciato il freddo parcheggio della sua astronave, Eindhoven, per trasferirsi “dentro la nebbia di questa Milano” (cantata in maniera eccelsa da Claver Gold insieme a Kintsugi nella sua “Nazario”, di cui consigliamo l’ascolto), il mondo, probabilmente, non avrebbe conosciuto questo Ronaldo. Chissà, forse ne avrebbe ammirato uno migliore, più costante e non maledettamente schiacciato dalle disgrazie mosse da chissà quale sciamano per chissà quale guerra fratricida tra popoli di chissà quale pianeta lontano. Dannati extraterrestri.
Getty“Quello contro il Compostela è il mio goal preferito: è stato il più importante della mia carriera”, ha ammesso qualche anno fa nel corso di “Esporte Espetacular”, uno show brasiliano che lo ha visto protagonista, in quella puntata, insieme a Ronaldinho.
Effettivamente, se è vero che, come emblematizzato dallo spot Nike diffuso in occasione del suo ritiro (avvenuto nel 2011), c’è stato un “Prima di Ronaldo” (che definiamo “anti-Ronaldo”) e un “Dopo di Ronaldo” (“dopo-Ronaldo”), è altrettanto accertato che c’è stato un “prima” e un “dopo” la rete contro il Compostela, siglata il 12 ottobre 1996.
Il brasiliano resta un solo anno al Barça, prima di trasferirsi all’Inter (per diversi miliardi di lire in più del previsto e rispetto ad appena un anno prima): è una stagione strana, se vogliamo. Segna 47 reti in 49 presenze, anche grazie al calcio estremamente offensivo di Bobby Robson (che come vice aveva José Mourinho), ma salta le ultime tre per partecipare al Torneo di Francia con il Brasile. Quelle partite costeranno ai blaugrana il titolo, secondo qualcuno.
I presenti al San Làzaro devono ringraziare l’altissimo, o chi per lui, per aver deciso di veder giocare Ronaldo quella sera. Raccoglie palla a centrocampo, da solo, ne supera due, uno tra questi gli trattiene a fatica la maglia. Scatto “supersonico” (citando gli Oasis), ne dribbla altri due e conclude a rete. Robson scuote il capo, incredulo. L’allenatore del Compostela ha lo stesso sguardo di chi ha appena assistito a un evento divino. Il fatto è che Ronaldo non superava gli avversari: li attraversava, come farebbe uno "Shinkansen", un superveloce giapponese, senza badar troppo al paesaggio né al muro degli avversari. Non aveva quasi bisogno dei compagni: poteva far tutto da solo.
Presentatosi come Ronaldo Luis Nazario de Lima al momento della lettura della distinta, quella sera è uscito dallo stadio come “O Fenomeno”, il più ambito. Destinato a diventare il più forte tra tutti, dopo essere riuscito a cambiare il calcio per sempre.
