GOALÈ facile pensare al Liverpool e vedere la maglia dei Reds indossata da Steven Gerrard, da Michael Owen, da Steve McManaman, da Jamie Carragher. Eppure, nella classifica dei 100 giocatori che hanno scosso la Kop, la curva di Anfield, tolto Steven Gerrard a dominare i primi quattro posti ci sono altri nomi. C’è Kenny Dalglish al primo, c’è Ian Rush al terzo, separati appunto soltanto da Gerrard, e poi appena sotto i tre gradini del podio, al quarto slot, c’è Robbie Fowler, il “God” di Liverpool. Forse così in basso soltanto perché ha avuto la grande colpa di nascere tifoso dell’Everton, l’altra squadra del Merseyside, e di aver avuto una carriera che gli ha permesso di raccogliere poco.
Robbie Fowler nasce in uno dei sobborghi poveri di Liverpool: siamo a Toxteth, dove le abitazioni costano poco più di quarantamila sterline, una cifra decisamente bassa per la media nazionale. Tra parchi e manieri, il degrado urbano fa la sua parte in quella che è una realtà povera, fatta di ceti umili. Fowler emerge da questa situazione urbana, con la faccia sempre impolverata e il sudore di chi ama sporcarsi con il football inglese. L’Inghilterra, quando Robbie inizia a calcare i campi di Liverpool, non si è ancora lasciata andare ai look da sfilata di David Beckham o Cristiano Ronaldo: crede nell’atavica forma sudata dell’atleta che scende in campo per la maglia, non per i fotografi. Fowler è l’emblema di quel calcio degli anni ’90, con – come già detto – l’unica grande colpa che da giovane, quando poteva, trascorreva il sabato pomeriggio a Goodison Park, per vedere giocare l’Everton e per sognare a occhi aperti, vedendosi con indosso la maglia dei Toffees.
A undici anni l’occasione arriva con il Liverpool: entra in una selezione giovanile dei Reds, grazie all’osservatore Jim Aspinall. Scomparso nel 2004, lo scout del Merseyside aveva scovato anche Steve McManaman, divenuto poi grande amico di Fowler, e strappato allo stesso modo ai sogni di Goodison Park. Aspinall li vuole al Liverpool e quindi Robbie inizia la trafila con la maglia dei Reds, fino al primo contratto da professionista, a 17 anni, nel 1992. Prima di poter indossare ufficialmente la maglia del Liverpool, però, la storia del calcio ha in serbo altro per Fowler, partendo dalla nazionale Under 18 dell’Inghilterra, che quell’anno vince il campionato europeo di categoria. Con l’esperienza internazionale sulle spalle, il 22 settembre 1993 è Souness che decide di farlo esordire in Premier League, contro il Fulham: è una sorta di ricompensa, perché gli lascia qualche minuto nell’andata del secondo turno di Coppa di Lega, una competizione nella quale se puoi buttare dentro un giovane lo fai. A Fowler di fare la comparsa non va, quindi a sette minuti dalla fine sigla la rete del 3-1 per i Reds: si avventa su un cross dalla destra e colpisce al volo di piatto sinistro, buca la rete e a 18 anni segna al debutto. Perché non cavalcare l’onda, allora?
Souness lo rimette in campo nella gara di ritorno, due settimane dopo: la sfida finisce 5-0 per il Liverpool e Robbie Fowler si iscrive al tabellino tutte le volte, perché quella cinquina è tutta sua. Segna tutto al volo, tranne la quinta volta, in cui si concede il lusso di aggiustarsi il pallone di destro, che non è il suo piede: gli altri goal sono rapaci, nell’area piccola, da vero finalizzatore. A 18 anni, con quel volto da figlio dei sobborghi di Liverpool, Robbie è già nella storia, diventando il quarto giocatore dei Reds a segnare cinque reti in un match ufficiale. Inizia a giocare anche in Premier League e alla quinta presenza trova anche la sua prima tripletta contro il Southampton. Smilzo, un po’ bassino, Fowler è essenziale nei movimenti, è fugace nelle apparizioni in area, è fulmineo nelle sue conclusioni: in tredici partite con i Reds, i goal sono dodici.
Nella stagione 1994/95 il Liverpool già non può più fare a meno di lui: non ha neppure vent’anni e nel Merseyside è già titolare, giocando cinquantasette partite stagionali. Vince la League Cup del 1995 e in quello stesso anno, contro l’Arsenal, sigla il record della tripletta più veloce della Premier League, in quattro minuti e trentatré secondi. Quell’anno, così come il successivo, Fowler viene premiato come giovane dell’anno dalla PFA, l’associazione inglese dei calciatori professionisti: come lui soltanto Ryan Giggs, Wayne Rooney e Cristiano Ronaldo raggiungeranno il double. Diventa uno dei marcatori più prolifici d’Inghilterra, prendendosi anche la convocazione in nazionale maggiore inglese nel 1996, con la partecipazione agli Europei di quell’anno.
La carriera di Fowler, nonostante l’incredibile successo, dimostra un fil rouge dal quale difficilmente si è separato il ragazzo di Liverpool: la sua provenienza, la sua estrazione sociale, non è mai stata tradita, nemmeno quando ha dovuto farsi portavoce di un movimento che gli apparteneva, più di quanto facesse il calcio. Nel 1997, dopo una partita di Coppa delle Coppe nella quale va, nemmeno a dirlo, a segno, corre sotto la Kop e mostra una t-shirt in sostegno di alcuni portuali di Liverpool licenziati in tronco, a causa del neoliberismo conservatore che in Inghilterra era diventato movimento politico gestito dalla Thatcher. Su quella maglia c’è una C e una K ben visibili: potrebbe essere Calvin Klein, ma prima e dopo quelle lettere si va a comporre la scritta “DoCKers”, termine con il quale vengono conosciuti i portuali che il governo di Tony Blair non tenta di salvare. Il figlio del Merseyside diventa ancora più apprezzato e amato dal popolo, da chi veniva dalla sua stessa condizione sociale e trova in lui un portavoce. Così come il Liverpool trova il proprio campione, dimenticandosi totalmente della sua fede per i Toffees. La sua figura di bravo ragazzo aumenta esponenzialmente, fino a quando, il 22 marzo di quello stesso anno, in una partita contro l’Arsenal ad Highbury prova a convincere l’arbitro di non aver subito fallo da David Seaman in area di rigore: il penalty non c’è, non va tirato, ma il direttore di gara non ne vuole sapere. Siamo dinanzi a una scena surreale, che spinge Fowler sul dischetto e a un tiro che permette all’estremo difensore di respingere la conclusione, ma non poi la ribattuta di Jason McAteer, che va a segno.
Sebbene le sue prestazioni siano sempre di alto livello e la quota realizzativa sempre molto alta in quegli anni, l’estro di Fowler sembra in qualche modo destinato ad andare a scemare, cedendo il passo a qualche polemica di troppo. Nella stagione 1997/98 segna appena 9 reti, meno di quanto aveva abituato la Kop, per un totale di 14 goal tra le varie competizioni; addirittura, nella stagione 1999/2000 ne segna 3, complice anche un infortunio che lo mette KO. In quegli anni, però, Robbie deve difendersi anche da alcuni eventi extra-calcistici. All’apice di quella che è la sua notorietà, nonostante la figura di bravo ragazzo che ha saputo ricucirsi addosso, insieme agli amici Jamie Redknapp, Steve McManaman, David James e Stan Collymore viene inserito nel gruppo noto come The Spice Boys, agli antipodi del ben più noto gruppo musicale delle Spice Girls: additati come dei playboy dediti a una vita sfarzosa, a Fowler viene anche avanzata l’accusa di fare abuso di droghe. In un turbinio di vicende che lo vedono coinvolto in controversie fuori dal campo sempre più ai limiti, nel 1998 inizia a farsi spazio nel Liverpool Michael Owen, il Golden Boy che poi gli toglierà anche lo spazio in Nazionale. Fowler si infortuna al legamento del ginocchio, chiude in anticipo la stagione e lascia spazio al suo compagno di squadra, che lo offusca definitivamente andandosi poi a prendere il Pallone d’Oro.
Il 1999 inizia quindi con il desiderio di ritornare alla ribalta, di farsi nuovamente notare come il God che aveva fatto impazzire la Klop: la scelta di esultare fingendo di sniffare cocaina sulla linea di fondocampo dopo aver segnato un gol all’Everton lo condanna però a un nuovo fondo del barile. Viene multato di 60.000 sterline e squalificato per quattro giornate: a nulla valgono le sue difese, specificando che voleva provocare chi lo accusava di fare abuso di droga. A maggior ragione perché quell’esultanza la fa quindici minuti dopo i sessanta secondi di silenzio per celebrare i 10 anni dalla tragedia di Hillsborough. Sempre nello stesso anno viene multato per comportamenti antisportivi dopo aver offeso Graeme Le Saux, difensore del Chelsea, sulla sua presunta omosessualità. A giovargli, in questo periodo, è il cambio di allenatore sulla panchina del Liverpool: arriva Gerard Houllier, che gli permette di tornare a essere al centro del progetto. Nella stagione 2000/2001 i Reds vincono la League Cup, la FA Cup e la Coppa Uefa: una tripletta importante, alla quale Fowler partecipa segnando in finale di Coppa di Lega e una rete nella finale di Coppa Uefa contro l’Alaves, terminata 5-4 dopo i supplementari. Purtroppo, l’idillio dura poco, perché tra il tecnico dei Reds e Fowler i rapporti iniziano a farsi incrinati: Houllier riporta la città di Liverpool in vetta all’Europa dopo la vittoria della Coppa Uefa e si aspetta riconoscenza e rispetto, iniziando a temere che dall’altro lato Robbie possa fare pressione per ostracizzarlo e oscurarlo, facendo leva su quelli che sono i suoi successi tra la gente. La società difende l’allenatore e Fowler abbandona la sua città, trasferendosi al Leeds United, a metà stagione.
La carriera vuole riservargli ancora qualche occasione, ma con la maglia del Leeds la vita non è facile e gli infortuni continuano a falcidiarlo: perde l’occasione di mettersi in mostra ai Mondiali del 2002, scendendo in campo solo una volta, e deve attendere soltanto gennaio del 2003 per aggregarsi al Manchester City. Il rendimento, però, non ne risente nemmeno nel momento in cui i Citizens provano a ricostruire la coppia di Liverpool con Steve McManaman, tornato dal Real Madrid, dove aveva fatto incetta di trofei e di record: i due sembrano più interessati a riguadagnarsi le copertine dei tabloid, piuttosto che dei campi di calcio. La depressione lo colpisce nel 2004 e ragiona sul possibile ritiro: convinto, però, a restare è la sfortuna a fargli vedere una strada sempre più grigia, con il Manchester City che manca la qualificazione alla Coppa UEFA all’ultima giornata di campionato, con Fowler che sbaglia un rigore al novantesimo minuto contro il Middlesbrough. Quello che non gli manca, però, è la fede nel Liverpool.
In un derby contro il Manchester United, dopo aver segnato il 3-1 decisivo, corre sotto la curva dei Red Devils e mostra la mano aperta, mostrando le cinque dita, ossia il numero di Champions League vinte dai Reds: lo United ne ha appena due nel palmares. A Istanbul, quando i Reds vincono proprio la quinta coppa dalle grandi orecchie, nella clamorosa finale contro il Milan, lui c’è, e i grandi amori ci hanno insegnato che fanno proprio così: giri infiniti per poi ritrovarsi. Il 27 gennaio 2006 torna ad Anfield, tra il boato del pubblico che non lo aveva dimenticato. “Fowler, God, 11, welcome back to heaven” gli cantano i tifosi, che hanno accettato il suo aver cambiato numero: il 9, d’altronde, adesso ce l’ha Dijbril Cissé. La sua è una passerella, perché dell’estro di un tempo c’è solo l’ombra: non prende parte alla finale di FA Cup, ma riesce a raggiungere Kenny Dalglish nella classifica dei migliori marcatori della storia del club. Perde anche l’appuntamento della finale di Atene di Champions League, chiudendo la propria storia al Liverpool il primo luglio di quell’anno, il 2007.
Cardiff City e Blackburn sono le due squadre che provano a tenerlo ancora in vita, calcisticamente, ma gli infortuni e un pizzico di svogliatezza lo spingono ad accasarsi in Australia, a Townsville, nella squadra del Queensland Fury, dove gioca un anno. Poi passa al Perth Glory, sempre in Australia, fino a quando nel 2011 non viene chiamato in Thailandia. Il fascino esotico della penisola indiana da un lato, la volontà di portare nel proprio campionato un talento che aveva seminato goal e un calcio popolare in Inghilterra, convincono il Muangthong United a offrirgli il posto di allenatore-giocatore. Resiste appena sette mesi, abbandonando il club all’arrivo di Slavisa Jokanovic come tecnico. Prova il ritorno in Inghilterra, con il Blackpool, ma non scende mai in campo e il periodo di prova non gli viene confermato, nonostante la squadra militi in Championship. Il suo ultimo capitolo è, incredibilmente, ancora con il Liverpool: un’amichevole contro l’Olympiakos, per celebrare Steven Gerrard e i suoi 15 anni con la maglia dei Reds. Entra in campo al 73’ e ad accoglierlo c’è un boato del pubblico: perché Robbie Fowler, quel ragazzino che sognava Goodison Park, non avrà mai saputo conquistare la cronaca al di fuori della sua città, ma tra la sua gente, tra i suoi tifosi, è sempre stato il Dio della Kop. E se ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato è solo perché a lui bastava Anfield, a lui è bastata la sua città.
