“L'Argentina ha sprecato il miglior 4 della propria storia”
In un articolo pubblicato qualche anno fa, i colleghi argentini di Goal hanno provato ad analizzare lo strano e controverso rapporto tra Javier Zanetti e la Selección. Senza trovare una risposta piena, compiuta. Perché una risposta non c'è. Non può esserci. Non c'è spiegazione, ad esempio, a quello che accade nel 2006 prima e nel 2010 poi. Niente Germania, niente Sudafrica. Zanetti escluso per due volte di fila, e sempre per scelta tecnica, dai Mondiali. Ci credete?
È il vero tasto dolente della carriera di un fuoriclasse dai mille e mille trofei. Recita ancora l'articolo di cui sopra: “Forse non è stato il miglior 4 della storia argentina. Perché non era un semplice terzino destro”. Difensore, esterno, mezzala: Pupi lo abbiamo visto dappertutto. Dove gli chiedevi di stare, lui stava. Senza patemi, perché era in grado di farlo. Però, se ha saputo conquistare l'amore incondizionato della Milano nerazzurra e il rispetto dell'Italia calcistica per la sua fedeltà a una sola maglia, non è riuscito a fare altrettanto con i commissari tecnici alternatisi sulla panchina dell'Argentina. Due, in particolare: José Pekerman e Diego Armando Maradona.
Bene precisarlo: Zanetti è attualmente terzo nella classifica dei calciatori più presenti con la casacca biancoceleste (145). Al secondo posto c'è Javier Mascherano, superato in prima posizione durante la recente Copa America da Lionel Messi. Del resto, come si fa a rinunciare a uno così per una ventina d'anni? Daniel Passarella è il primo a puntare su di lui: lo convoca per un'amichevole contro il Cile, lo schiera dal primo minuto e lo lascia in campo fino alla fine. Gioca nel Banfield, il giovane Javier. Non sa ancora quale sarà il suo destino nel pallone. Ha probabilmente maggiori certezze Sebastian Rambert, pure lui presente nell'undici iniziale argentino, che un anno dopo prenderà lo stesso aereo del compagno. Direzione: Milano.
Zanetti viene chiamato per la Copa America del 1995 e per le Olimpiadi dell'anno seguente. Doppio mancato trionfo, doppia delusione. La prima. Non c'è in Bolivia due anni più tardi, perché Passarella decide di far riposare gli “europei” (fuori anche Batistuta, Crespo, Sensini, Simeone). È una Copa nefasta, iniziata col Kaiser che assegna i numeri di maglia in ordine alfabetico (per cui un centrocampista come Bassedas ha l'1 sulle spalle e un portiere come Gonzalez il... 10) e conclusa con un'eliminazione ai quarti. Javier la guarda da casa. Il tempo per rifarmi, pensa, non manca. Ha ragione, perché alle porte c'è Francia '98. Sulle note di Ricky Martin, c'è gloria anche per lui. Negli ottavi di finale l'Argentina sta perdendo per 2-1 contro l'Inghilterra, sfida sentissima tra guerre e mani de Diós. Ma agli sgoccioli del primo tempo ha una punizione dal limite a favore. Finta di Batistuta, geniale tocco in area di Veron per Zanetti e sinistro vincente di quest'ultimo. 2-2. Che si tramuterà in un indimenticabile 6-5 ai rigori.
“Era uno schema che avevamo provato per quattro anni – ha raccontato recentemente Zanetti in un live su Instagram con l'ex compagno Cambiasso – Però al posto mio doveva esserci Ortega. Io dovevo essere l'ultimo uomo, quello che guarda gli altri segnare e poi corre ad abbracciarli. Arriviamo in Francia e Passarella dice: 'Proviamo quello schema, però cambiamo: vai tu dietro la barriera'. Va bene, gli rispondo. Ed ecco che riusciamo a segnare quella rete nel momento in cui più ne avevamo bisogno, contro un avversario che sai bene cosa rappresenti. Sono sincero: quando il pallone è entrato non potevo crederci”.
PIERRE-PHILIPPE MARCOU/AFP/Getty ImagesÈ una rete che ha risvolti inattesi. In campo, perché trascinerà la gara ai supplementari e poi ai calci di rigore, ma anche fuori. A centinaia e centinaia di chilometri di distanza, in Polonia, c'è un finanziere polacco che sta assistendo alla partita. Si chiama Marek Kopacz e con Zanetti non ha nulla a che fare. Però è grazie a lui se quella sera non volge tragicamente al peggio. Dopo la rete argentina, Kopacz decide di rimanere in casa per godersi anche il resto della sfida, "invece di portare a spasso il cane e portare l'auto al parcheggio della Polizia, come facevo tutte le sere alle 22". Proprio in quegli istanti, la sua auto esplode. Marek dovrebbe essere seduto sul sedile del conducente, ma è in casa. La banda di criminali che ha piazzato la bomba non lo sa, non può conoscere il suo cambio di programma.
"È stato Boniek a raccontarmi per primo questa storia – dirà Zanetti a 'Super Express' – e poi ho ricevuto una lettera da Kopacz. È incredibile che il mio goal abbia salvato la vita di una persona, ma forse è anche merito della mia grinta: non mollo mai e anche quella sera diedi il massimo sino alla fine riuscendo a segnare il goal del 2-2. Mi piacerebbe molto conoscere Kopacz, le nostre vite si sono intrecciate senza saperlo, ma anche questa è la forza del calcio".
Però, evidentemente, dentro il rettangolo verde non è destino. L'Argentina non supera lo scoglio dei quarti di finale, eliminata dall'Olanda e da quella magnifica prodezza di Dennis Bergkamp, che aggancia un lancio dalle retrovie di Frank de Boer, fa fuori Ayala con un tunnel di suola e con l'esterno la piazza alle spalle di Roa. È un'Albiceleste piena zeppa di campioni, ma ancora una volta il sogno di emulare le gesta del Diego rimane tale.
Man mano che si avvicina alla trentina, e poi la scavalca, Zanetti inizia così a essere investito da un sinistro presagio. Si rende conto che la possibilità di non vincere nulla con l'Argentina, che un tempo gli pareva così remota, si fa sempre più concreta man mano che passano gli anni. Anche perché le successive competizioni sono dure da digerire. La disastrosa campagna in Giappone e Corea del Sud, in cui la squadra di Bielsa se ne torna a casa direttamente ai gironi, è un pugno nello stomaco. “Difficile spiegare cosa sia successo”, dirà Javier. Che due anni dopo, nel 2004, è in campo anche a Lima per giocarsi la Copa America. Contro il Brasile, nella sfida delle sfide. Va male anche lì: il Chelito Delgado incrocia il tiro del 2-1 all'87', ma Adriano in pieno recupero trova la girata del pari. E ai rigori trionfa la Seleção. Altra delusione bruciante. L'ennesima.
Bielsa lascia dopo la Copa. Al suo posto arriva José Pekerman. E le cose per Zanetti iniziano a cambiare. In peggio. Non subito, perché il capitano interista viene regolarmente convocato, gioca la Confederations Cup (altra sconfitta in finale, di nuovo contro il Brasile) e le qualificazioni per i Mondiali tedeschi. Novembre 2005 è lo spartiacque: il ct non lo chiama per un'amichevole contro il Qatar. Lo ignorerà anche nel marzo successivo. E se Zanetti in Germania non ci andasse proprio?, pensa qualcuno in Argentina. Forse senza crederci troppo. Ma i timori si trasformano incredibilmente in realtà due mesi più tardi. Nella lista dei 23 di Pekerman, ci sono i nomi di Fabricio Coloccini, Leandro Cufré, Lionel Scaloni (l'attuale ct). Quello di Zanetti no, non c'è. Impensabile.
“Mi sarebbe piaciuto essere informato prima da Pekerman – si lamenta Zanetti appena ha la certezza dell'esclusione – in modo da non alimentare false speranze. Nessuno mi ha detto che stavo giocando male. Pekerman non mi ha dato nessuna motivazione specifica. Mi ha detto che non ero nella lista e stop. Mi sento impotente”.
Zanetti non è l'unico grande escluso della spedizione albiceleste. Come lui restano a casa anche Walter Samuel e Juan Sebastian Veron, suoi compagni di squadra all'Inter. Parte della stampa argentina è convinta che l'ostilità di Pekerman derivi ancora dal fiasco del 2002. Altri tirano in ballo motivazioni tecniche: il ct, in sostanza, non avrebbe poi tutta questa fiducia nello Zanetti calciatore (però in Germania schiererà nel ruolo di terzino destro Burdisso, Scaloni e Coloccini, ovvero due centrali su tre...). Altri ancora parlano addirittura di... malasorte, quella che deriverebbe dal lunghissimo periodo di magra che l'Inter di quegli anni sta attraversando. “Ma non credo che questi siano argomenti per portare qualcuno in nazionale”, dice Zanetti.
L'ipotesi più accreditata è però un'altra. Nel contesto di un'Argentina formata da gruppi e gruppetti, Zanetti sarebbe stato lasciato a casa per la propria amicizia con Veron, a sua volta in pessimi rapporti con Juan Pablo Sorin, l'uomo di fiducia di Pekerman. “Sarebbe molto triste sapere di essere stato escluso per un motivo del genere”, si lamenta. Insomma, vai a capire. E non lo comprende nemmeno 'ESPN Deportes', che titola un editoriale dedicato all'assenza di Zanetti con il titolo più esplicito possibile: “¿Por qué?”.
Il rapporto tra Zanetti e l'Argentina si ricuce quando Pekerman se ne va. Arriva Alfio Basile, il Coco, che all'inizio del 2007 richiama il Tractor per un'amichevole in Francia. Zanetti accetta ed evita polemiche verso l'ex ct: “Non serbo rancore nei confronti di nessuno”. Nella Copa America venezuelana dell'estate seguente c'è anche lui. Le gioca tutte quante, dalla prima all'ultima e sempre dal primo al 90'. L'ultima, ancora una volta, è la finalissima. Sempre contro il Brasile. Che è pieno zeppo di seconde linee, in attacco ha Vagner Love e Luis Fabiano, ma a Maracaibo fa un sol boccone della Selección imponendosi con un roboante 3-0. Altra occasione mancata. Se a Milano ha finalmente iniziato a riempirsi la pancia e la bacheca di trofei, in nazionale Zanetti si ferma ancora una volta a un centimetro dalla gloria.
Non sa, Javier, che la seconda grande delusione è alle porte. Quando l'AFA decide di affidare la panchina dell'Argentina a Diego Armando Maradona, le porte per lui iniziano di nuovo a chiudersi. Non subito, esattamente come con Pekerman. Ma lentamente e inesorabilmente. Il sito dell'UEFA scrive che Zanetti “detiene anche il record di presenze con l'Argentina e potrà ancora migliorarlo con il nuovo ct”. Nulla di più lontano dalla realtà. Perché Maradona gli toglie la fascia e la consegna a Mascherano, l'uomo fondamenta del suo progetto (iconico e celeberrimo il “Mascherano y diez más” che rappresenta una vera e propria investitura). E poi, dal settembre del 2009, comincia a ignorarlo. Una volta, due volte, tre volte. Per sempre. Un impensabile dejà-vu che diventa totale con l'esclusione dai Mondiali del 2010. Dopo la Germania, Zanetti non viaggia nemmeno in Sudafrica.
Getty Images“Mourinho non riusciva a credere alla mia esclusione, la trovava strana – si sfoga Zanetti a 'Olé' – Non mi ha dato consigli, né mi ha consolato, siamo gente di calcio e sappiamo che questo può succedere. Mia madre invece, saputa la notizia alla radio, era molto dispiaciuta. Era il mio ultimo Mondiale, sperava che ci sarei andato. Mi fa più male per le persone che mi stanno vicino che per me”.
Beffa delle beffe, dopo il Sudafrica Zanetti in nazionale ci tornerà. Per l'ennesima volta. Lo chiama il Checho Batista nel 2011, quando Maradona già se n'è andato. Altro giro, altra Copa America da protagonista (di nuovo gioca tutti i minuti di tutte le partite). E altra disfatta. In casa, ai rigori contro l'Uruguay, che poi si laureerà campione superando il Paraguay in finale. Resterà l'ultima apparizione di Zanetti con la camiseta dell'Argentina. L'avventura si conclude così, mestamente, tra un rimpianto e l'altro. E zero trofei alzati. Come Messi, almeno fino al 10 luglio del 2021.
Oggi Zanetti è un tifoso come tutti gli altri, seppur particolarmente illustre. Anche lui ha gioito per la Copa conquistata in Brasile da Scaloni, colui che una quindicina d'anni fa era salito sull'aereo per la Germania al posto suo. Messi, Lautaro Martinez, Di Maria e tanti altri sono riusciti dove lui ha fallito. E proprio “fracasado”, “fallito”, è il termine usato da Zanetti nel 2016 per racchiudere quasi 20 anni di Selección. Non solo per colpa sua.
