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Più forte del destino: la “passione” di Gago

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Resilienza. La capacità di reagire e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Un concetto del quale si è spesso abusato ma che rimane materia di facile applicazione anche all’interno del contesto calcio. Comunque vada, l’importante è rimanere in piedi, sempre. Deve saperlo bene anche Fernando Gago che su questa filosofia ci ha costruito un’intera carriera.

"El Pintita" nasce a Ciudadela il 10 aprile del 1986, quartiere a ovest di Buenos Aires che poco più di un anno prima dà alla luce anche un certo Carlos Tevez. Una città sforna campioni insomma e, oltre ai natali, insieme all’Apache condivide anche i primi passi palla al piede, ovviamente a tinte gialloblù. I colori del Boca Juniors.

“Ehi bellezza - “pintita”, appunto - smettila di pensare ai capelli e corri”. La genesi del suo soprannome nasce proprio dal rimprovero di Ramon Maddoni, all’epoca direttore delle giovanili del Boca, riportato da ‘forzaroma.info’.

Gli otto lunghi anni spesi nella cantera xeneize lo preparano al grande salto che sfocia nell’esordio tra i professionisti nell’annata 2004-2005, ad anni 18. La stoffa è di quelle pregiate e dalle parti della Bombonera se ne accorgono subito. Gago è un cavallo di razza, raffinato tessitore di calcio in mezzo al campo che, mentre impara a crescere, impara soprattutto a vincere. In bacheca infila subito un campionato d’Apertura, una Copa Sudamericana e una Recopa. Oltre al Mondiale Under 20 vinto in Olanda con la maglia dell’Argentina, trascinata da Messi e Aguero. Come si suol dire l’appetito vien mangiando e l’anno successivo ecco servita la vittoria del titolo di Clausura, oltre al bis in Recopa.

Il 2005 è un anno che dà ma che sa anche togliere tanto, senza preavviso. Al termine della partita giocata contro il Racing Club de Avellaneda, al rientro negli spogliatoi viene a conoscenza dell’improvvisa morte del padre Hector, stroncato da un ictus. Un colpo durissimo. E purtroppo per lui non sarà l’unico.

Tornando alle questioni di campo, il percorso di Gago procede senza intoppi e il goal realizzato contro il Velez Sarsfield l’1 ottobre del 2006 rimarrà – per il momento - il suo primo e unico acuto in azul y oro. Pochi mesi più tardi infatti è tempo di fare le valigie perché dalla Spagna arriva la chiamata più importante che un calciatore possa ricevere: quella del Real Madrid

I Blancos, si sa, hanno sempre avuto occhio per i talenti made in Sud America e l’interesse nei confronti del centrocampista albiceleste viene messo nero su bianco per una cifra che supera i 20 milioni di euro. Ancora oggi si tratta della seconda cessione più onerosa nella storia del club bonarense. Lo sbarco a Madrid avviene gennaio del 2007 e il sogno nel cassetto è quello di emulare il percorso dell’idolo di sempre, Fernando Redondo.

Da profeta in patria, l’etichetta del vincente se la porta appresso anche nel suo primo soggiorno dalle parti del Santiago Bernabeu. Come consuetudine, vince. Subito. Il Real guidato da Fabio Capello trionfa in Liga al termine di un duello dai risvolti drammatici con il Barcellona: chiudono entrambe a 76 punti ma a festeggiare sono le Merengues grazie al miglior rendimento negli scontri diretti.

I primi sei mesi di apprendistato vengono superati a pieni voti e nel biennio successivo Gago diventa una pedina insostituibile: gioca 76 partite, festeggia un’altra Liga – con Schuster allenatore – e la Supercoppa nazionale. Disputa anche la sua prima Olimpiade – vincendola, ovviamente - superando in finale la Nigeria, nella sfida remake del Mondiale Sub 20 di tre anni prima.

Nell’estate del 2009 però la musica cambia. È l’estate delle spese pazze di Florentino Perez che mette in moto un’opera di restyling totale rimpolpando il parco stelle del Madrid: arrivano Cristiano Ronaldo dal Manchester United, Kakà dal Milan, Benzema dal Lione e Xabi Alonso dal Liverpool. Colpi che stravolgono gli equilibri e soprattutto le gerarchie madridiste. Il primo a pagarne le conseguenze è proprio Gago, confinato al ruolo di comprimario. Se nella 2009-2010 riesce comunque ad intascare 22 gettoni complessivi, l’annata successiva si rivela un disastro, condita da una sequela di infortuni che lo tengono lontano dai campi di gioco per oltre tre mesi.

A contribuire ad un anno flop c’è anche il contraddittorio rapporto con Josè Mourinho, il quale arrivò persino ad accusarlo di essere il “capo” di una cricca di spie all’interno dello spogliatoio che comprendeva anche i connazionali Di Maria e Higuaìn.

”Gago parla troppo, e a sproposito. Non rientra più nei nostri piani. Vada via”, rivelò il tecnico lusitano, primo sostenitore del partito che voleva il mediano argentino lontano da Madrid.

Alla fine della fiera, quell’anno giocherà soltanto sette partite, salutando la Casa Blanca con la Copa del Rey vinta contro gli eterni rivali del Barcellona.

Nell’estate del 2012 il desiderio dello Special One viene puntualmente esaudito. Gago saluta e finisce alla Roma con la formula del prestito oneroso. Regista dell’operazione quel Franco Baldini che soltanto quattro anni prima mise in piedi il trasferimento de La Pintita dal Boca al Real.

“Se non sapete dove metterlo, chiamatemi: la Roma in prestito lo prende”. Disse l’ex DS giallorosso ai vertici madrileni, spalleggiato anche dalla volontà ormai chiara del giocatore: “Vengo, lascio anche dei soldi, trovate un’intesa”.

Fernando Gago Aldosivi Entrenamiento Marzo 2021Prensa Aldosivi

Uno scambio di promesse che porta dritti verso il famigerato “sì”. Roma sembra essere l’habitat ideale. Piace a lui, piace alla moglie – la tennista Gisela Dulko, nonché compagna di doppio di Flavia Pennetta – e in giallorosso trova una folta colonia argentina composta dai vari Heinze, Burdisso, Lamela e Osvaldo che facilita il suo percorso d’inserimento. All’ombra del Colosseo si adatta subito ed elargisce dosi di un talento mai in discussione. Gioca 31 partite, praticamente un campionato intero, ma la Roma chiude con un mesto settimo posto. A fine anno il copione viene stravolto: l’accordo con il Real, pura formalità sulla carta, salta e a prestito scaduto torna in Spagna.

Ad attenderlo questa volta c’è il Valencia ma testa e cuore sono già oltre. L’ex Real firma un contratto di quattro anni ma dopo appena una stagione e mezzo molla gli ormeggi e ritorna in Argentina.

Alla soglia dei 27 anni l’Europa è un capitolo chiuso a doppia mandata. Nel gennaio del 2013 riparte dal Velez, proprio la squadra a cui segnò il primo goal da professionista sette anni prima. In patria trova un mondo diverso. La vecchia formula dei campionati suddivisi in Apertura e Clausura non esiste più. O meglio, i due gironi ora si chiamano Inicial e Final ma di titolo se ne assegna soltanto uno. Le due vincenti si sfidano in una gara secca che mette in palio il trono d’Argentina. Il Velez trionfa nella prima parte di campionato e dopo una seconda frazione anonima sconfigge il Newell’s Old Boys nell’atto conclusivo. Gago scende in campo soltanto in tre occasioni, sufficienti per aggiungere un’altra tacca nel palmares.

La sua militanza con la maglia de El Fortin assomiglia tanto ad un’apparizione fugace, puntualmente costellata da nuovi problemi al ginocchio che lo inchiodano ai box per quasi tre mesi. Roba da dimenticatoio immediato. Nemmeno il ritorno alla casa madre Boca migliorerà le cose, dove si ripresenta inanellando quattro infortuni muscolari e altrettanti mesi da spettatore.Gli infortuni appunto. Un tema doloroso che catalizzerà  il segmento finale di una carriera che, da questo punto di vista, deve ancora mostrargli i risvolti peggiori.

Traghetta un altro campionato bazzicando tra campo e infermeria, arrivando a giocare persino meno partite dell’anno prima. Poi arriva la stagione 2015-2016, quella che interrompe il digiuno di titoli degli xeneizes. Quella che apre un’incredibile sequela di eventi che devastano i suoi ultimi bagliori da atleta.

Nel Superclasico contro il River Plate del 13 settembre 2015, si rompe il tendine d’Achille. Succederà altre due volte, nell’aprile del 2016 e nel maggio del 2018. Sempre con avversario Los Millonarios. Una coincidenza inquietante che non gli permetterà di vivere da protagonista gli altri due titoli nazionali conquistati con il suo Boca nel 2017 e nel 2018.

“Sono quindici anni che soffro terribilmente di dolori al tendine d'Achille. Tutto è iniziato con un Liverpool-Real Madrid, mi feci male e chiesi al dottore di farmi delle infiltrazioni per continuare a giocare. Oggi, a distanza di anni, sono consapevole che potrei infortunarmi anche camminando o scendendo dalla macchina. Ghiaccio e dolore per tutta la settimana, è sempre la stessa storia”. La confessione a 'Fox Sports'.

“Metto gli scarpini due taglie più grandi, in maniera tale da affievolire il dolore. Preso dall'adrenalina del match, quasi non sento più niente. Eppure ve lo assicuro: dormo con il piede fuori dal letto e indosso le ciabatte quando sono in spiaggia perché altrimenti soffro davvero troppo. Quando mi sono fatto male nel Superclasico contro il River Plate, non ero sicuro di voler tornare a giocare. A mio figlio non avevo ancora detto nulla, lui già insisteva per venire con me al campo al momento del mio rientro. Quando gli ho detto che non sapevo se continuare o meno, mi ha detto che non era d'accordo... Ho pianto tantissimo”

Nel mezzo persino la rottura di un legamento crociato in nazionale, al rientro dopo due anni d’esclusone dal giro dei convocati. Il 7 ottobre del 2017, Argentina e Perù si giocano la qualificazione al mondiale russo dell’anno seguente. Gago entra in campo al 60’ sul risultato di 0-0 e dopo appena tre giri d’orologio, il ginocchio fa crack. E’ buio totale. Il dolore è lancinante e lo staff medico della nazionale percepisce subito la portata del trauma.

“Non mi interessa, lasciatemi giocare" disse il calciatore ai medici – riportato da fanpage.it – pur consapevole della gravità di quanto gli fosse appena accaduto .

Più forte di tutto. Troppa la voglia di tenersi stretti quei colori riconquistati dopo due finali – una di Coppa del Mondo e una di Coppa America – perse nel 2014 e nel 2015. Dopo i primi soccorsi Gago si rialza e rientra in campo. Lo fa con un crociato e un collaterale rotti. Lo farà soltanto per tre minuti prima di alzare bandiera bianca.

I recuperi si fanno più lunghi e tornare a regime diventa sempre più difficile. Dopo sole 14 apparizioni negli ultimi due anni, nell’estate del 2019 saluta, per sempre, il Boca prima di concedersi gli ultimi sprazzi di calcio giocato tornando da dove era venuto, ossia al Velez.

È una parentesi destinata a non durare perché a gennaio il ginocchio cede una volta ancora. E’ nuovamente il crociato a far calare il sipario sulla sua storia a “soli” 34 anni. 457 partite da professionista, 14 trofei vinti e 24 infortuni. Che dire, non si è fatto mancare proprio nulla.

Oggi Fernando Ruben Gago fa l’allenatore. Prima gli inizi con il Club Atletico Aldosivi in Primera Divisiòn, oggi è in Messico, al Chivas. In mezzo la panchina del Racing Club, club a cui è legato da un tragico destino. Dopo la partita pareggiata dai proprio contro il Racing Club de Avellaneda, il fratello muore a 48 anni in ospedale colpito da ictus. Esattamente come morì suo padre sedici anni prima. Anche quella volta Gago fronteggiava il Racing. L’ennesima, assurda, coincidenza.

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