Teo Gutierrez Atlético-PR Junior Barranquilla Copa Sudamericana final 12122018HEULER ANDREY/AFP/Getty

Pistole, polemiche e goal: Teo Gutierrez e una vita da bad boy

Se la sua vita fosse un film, sarebbe uno di quegli action movies sudamericani ambientati magari in un barrio di Barranquilla, o di Bogotá, o di Medellin. Nel suo caso mancherebbe il narcotraffico, ma il cliché sarebbe rispettato con delinquenza e pistole. Teofilo Gutierrez, però, è uno che ce l'ha fatta. È diventato qualcuno grazie al pallone, ma se è vero che le origini non possono non rimanerti dentro in un angolo dell'anima, lui ne è la perfetta rappresentazione.

Teo, come lo hanno sempre chiamato in Colombia e pure fuori, è una sorta di Balotelli colombiano. Nel bene e nel male, non è mai stato un personaggio banale. Ha sempre avuto il sangue caldo, anche quando è diventato un personaggio importante. A proposito di origini che non si dimenticano: oggi gioca a Barranquilla, dov'è nato e cresciuto e dove ha iniziato a farsi un nome. Veste la maglia dello Junior, la propria squadra del cuore, con cui ha vinto il campionato sia nel 2018 che nel 2019. Ma nel corso della propria carriera s'è fatto conoscere un po' da tutto il Sudamerica, grazie anche e soprattutto a una serie di mattane pari solo alla sua capacità di cavarsela con un pallone tra i piedi.

L'episodio più famoso della sua carriera rimane quello della pistola. Finta, per fortuna. Estratta nello spogliatoio del Racing nell'aprile del 2012 all'indirizzo di Sebastian Saja, l'ex bresciano, con il quale si era acceso un diverbio. Teo aveva segnato la rete del vantaggio nel clásico contro l'Independiente, ma poi si era fatto espellere e la sua squadra aveva perso per 4-1. Animi accesissimi dopo il 90', qualche urlo di troppo ed ecco che dal borsone spunta una pistola, puntata dritta verso il portiere. Che solo dopo qualche attimo di panico puro scopre essere un'arma giocattolo.

“Ho commesso un errore molto grave, devo riconoscerlo. Tutti i giorni mi domando perché mai lo abbia fatto. Sono momenti, secondi, non ci ho pensato... È stata una cosa imprevista: non se lo sarebbe aspettato nessuno, nemmeno io. È accaduto tutto in quel momento”.

Sempre al Racing fa fatica a tenere a posto le mani: nel giro di poco tempo litiga infatti sia con il portiere di riserva Mauro Dobler che con il giovane Gonzalo Espinoza, venendo alle mani con entrambi in allenamento. Episodi ripresi e raccontati dalla stampa argentina, con ripercussioni facilmente immaginabili.

Un altro episodio celeberrimo? La sfida alla Doce di fine 2016. Gutierrez gioca nel Rosario Central e poco dopo il quarto d'ora segna l'1-1 alla Bombonera contro il Boca Juniors. Quindi si reca sotto il settore più caldo del tifo azul y oro e mima il gesto della banda diagonale, simbolo del River Plate, dove ha militato (con successo) per un paio di stagioni. Apriti cielo: nasce un parapiglia coi giocatori del Boca che porta all'espulsione sua – ovvio – e dell'ex genoano Centurion, un altro che quando gli parte la vena è difficilmente controllabile. I due, per la cronaca, erano stati compagni di spogliatoio al Racing.

Teofilo gutierrez Boca Rosario Central 21112016

Ancora: ricordate il caso Terry-Bridge? Bene: nel 2017 accade qualcosa di simile anche in Colombia. E il protagonista è sempre lui, Teo Gutierrez, che sale agli onori delle cronache per un presunto tentativo di approccio via social con la moglie del 'Bufalo' Roberto Ovelar, compagno di squadra paraguaiano allo Junior. Quest'ultimo denuncia l'accaduto ed è talmente imbufalito - appunto - da lasciare la squadra per andare a giocare con i Millonarios.

Teofilo Gutierrez è questo, ma è anche molto altro. È un centravanti divenuto ricco e famoso partendo dal basso, dalla povertà de La Chinita, il quartiere di Barranquilla dove viveva da piccolo. La fiducia nelle proprie qualità non gli è mai mancata. Quando non è ancora nessuno e fa parte del vivaio del Barranquilla FC, la madre è disperata perché fatica a pagare l'affitto e lui la tranquillizza con una semplice frase, divenuta realtà qualche anno più tardi:

“Stai tranquilla, quando diventerò un calciatore ti regalerò una casa”.

Per aiutare la famiglia in difficoltà economiche, il giovane Teo lavora in una pescheria e inoltre macina il grano per le empanadas che la nonna venderà poi per strada. Momenti che evidentemente gli sono rimasti dentro, se è vero che qualche anno fa è stato ritratto nella casa familiare intento a cucinarle, le empanadas. Ai tempi Teo gioca nel River, con cui è in rotta tanto da non volersi presentare per il ritiro precampionato. E il presidente Rodolfo D'Onofrio lo provoca dichiarando che “quando avrà finito di mangiare le empanadas della nonna, dovrà tornare qui”.

Teo Gutierrez River PlateJuan Mabromata/AFP/Getty Images

Pallone come riscatto sociale, dunque. E come via di fuga dalla violenza. Barranquilla è un posto pericoloso, se ti rechi nei quartieri sbagliati. E Teo in un quartiere sbagliato ci è nato, prima di spiccare il salto verso uno stile di vita migliore.

“Il calcio mi ha allontanato dalla violenza. Io ho sempre avuto la mentalità di uno che vuole diventare qualcuno nella vita. Mio padre era stato portiere dello Junior, mi ha sempre incoraggiato".

La vera macchia della carriera calcistica di Gutierrez è il rapporto conflittuale con il calcio europeo. Teo veste appena due maglie nel nostro Continente: quella del Trabzonspor (2009-gennaio 2011) e quella dello Sporting (2015/16). In Portogallo tutto sommato non va male, almeno dal punto di vista individuale: 11 reti nella Primeira Liga. In Turchia arriva dopo 30 centri in un anno con lo Junior, tra cui quattro triplette tra giugno e agosto 2009, mai accaduto prima in Colombia. Però ingrana solo parzialmente, anche se punisce il Liverpool in Europa League. Fino a quando lo vince la lontananza da casa e dalla famiglia, che lo convince a tornarsene in Sudamerica. Oggi, a 37 anni da compiere il prossimo 17 maggio, ha ancora una gran voglia di far goal con la maglia del Deportivo Cali.

“Mi sentivo male – ha raccontato anni fa al 'Grafico' – Quando sei stressato, senti dolore ovunque. Lo stress è un problema serio e io mi sentivo stressato perché volevo andarmene”.

Così, il mondo di Teo diventa in maniera definitiva il Sudamerica. L'Argentina, in particolare. Diventa un beniamino del Racing, dove per sei mesi viene allenato da Diego Pablo Simeone, vince al River Plate, fa sognare il Rosario Central. A Baires conquista campionato e Copa Sudamericana, in un 2014 magico che lo vede partecipare ai Mondiali brasiliani – con tanto di goal alla Grecia nei gironi – e che si conclude con il premio di Rey de America, ovvero miglior giocatore del Continente. Primo lui, secondo Carlos Sanchez e terzo Pisculichi, tutti del River. L'anno dopo, poi, ecco anche la Libertadores.

Nonostante le apparenze da gangster con qualche rotella fuori posto, Teo Gutierrez è religiosissimo, tanto che il giornalista del 'Grafico' che lo intervistò nel 2011 scrisse che “ventinove volte, durante l'intervista, ripeterà la parola Dio”. Il suo terzogenito, per dire, si chiama Shaddai, uno dei nomi con cui ci si riferisce a Dio nella religione ebraica. Certo, nella sua vita c'è spazio anche per un pizzico di profano. Prendete i nomi degli altri due figli: uno si chiama Cristiano Manuel, pare possa seguire le orme calcistiche di papà ed è un omaggio a Cristiano Ronaldo, e l'altra Yeilou. Ovvero, se qualcuno non ci fosse arrivato, il soprannome (sudamericanizzato) di Jennifer Lopez.

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