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PisaGetty/Goal

Pisa, la "squadra dei Miracoli" che sfida le leggi della gravità

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“Sono rimasto incantato da Pisa per il clima: se dura così sarà una beatitudine. […] Questo Lung’Arno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente, che innamora”.

(Giacomo Leopardi, lettera alla sorella Paolina, 12 novembre 1827)

Dalla cima della Torre si stende la vista fiera e ricolma di tranquillità dell’Arena Garibaldi, schiacciata dal cielo in simbolo di rottura con il circostante e maculato disegno dei tetti, poco distanti da Piazza dei Miracoli: per un sottostimato gioco di prospettive, da buona parte dello stadio recentemente colorato di nerazzurro è possibile mirare lo stesso campanile, rigorosamente in pendenza, nascosta e spigolosa presenza, impegnato in un sommo saluto caratterizzato da reciproco riconoscimento.

La storia recente del Pisa, e quella secolare della sua Torre sembrano effettivamente riconciliarsi nell’ennesimo “miracolo” avvenuto a pochi passi dal Lung’Arno, che cela dietro a un’apparente quiete il mistero del tempo che scorre e muta, fissandosi nell’istante del tramonto specchiato sul filo d’acqua.

Lo strano caso storico che accomuna due tra gli aspetti del vissuto più amati dai pisani è essenzialmente strutturale e riguarda un dato punto della linea temporale in cui persino i migliori presupposti sono sembrati nulli, banali, di fronte alla concretezza. Nel 2016 il Pisa ha rischiato di scomparire, di nuovo. Non è il momento più buio della sua storia, ma poco manca per definirlo tale: è già successo altre due volte. Nel 1994, quando neanche l’amore smisurato di Romeo Anconetani poté alcunché contro la complicatissima crisi finanziaria che, complici anni di ripetute retrocessioni e promozioni tra Serie A e B, portò di fatto il club alla rifondazione. P iù recentemente nel 2009, quando a fermare la società nerazzurra fu la Co.Vi.Soc, dopo una frenetica, orgogliosa, ma sostanzialmente inutile corsa contro il tempo (culminata con una sottoscrizione popolare per donazioni a fondo perduto) per iscrivere la squadra in Lega Pro Prima Divisione.

La differenza sostanziale con le paure vissute in quegli anni, però, è di natura del tutto mediatica. Alle pagine dei giornali e alle homepage dei siti si sostituirono presto i social, pronti a dare ampia cassa di risonanza alle parole di Gennaro Gattuso, l’allenatore del ritorno in Serie B dopo la promozione dell’anno precedente, stanco di una situazione ai limiti dell’impossibile già al 21 settembre, a poche settimane dall’inizio del campionato. Senza una vera e propria proprietà, ma soprattutto senza futuro.

“Ci trattano come sprovveduti, ma io non sono così. […] A che stiamo giocando? I ragazzi possono avere l'onore di sedersi a parlare con la proprietà, con me vicino, e parlare dei problemi presenti per poterli risolvere? […] Non mi va di parlare ogni giorno di vicende extracalcistiche. Io do ragione ai ragazzi, ma bisogna intervenire in fretta. L'alternativa è andare a casa e non far scendere in campo i giocatori”, tuonò ai microfoni di Canale 50, rivolgendosi all’allora proprietà, la famiglia Petroni, all’inizio di una stagione che porterà al ritorno in Serie C.

Oggi la situazione è drasticamente differente, ma in positivo. Alla fine di quell’anno solare il club passa a Giuseppe Corrado, autore, col fortunato e confortante “senno di poi”, di un “miracolo”. Un altro.

Pisa CityGetty

Si può, con ogni probabilità, affermare che la rinascita, o ancor meglio il concetto di "Rinascimento" del Pisa (come amano definirlo calcisticamente da quelle parti) si sia riconciliato alla perfezione alla simbolica costruzione della Torre, in un continuum spazio-temporale tra le epoche. Con buona pace di Diotisalvi, l’architetto più accreditato da storiografi e studiosi: proprio come il campanile, al terzo livello della sua costruzione, la Serie C, e sul punto di crollare su se stesso, sprofondando insieme al terreno sabbioso e alle radici poco profonde, il nuovo Pisa si è fermato, aggrappato ai propri presupposti e sfidando le leggi di gravità (e il fallimento), diventando iconico.

Neppure il diavolo, che secondo la leggenda tentò invano di rovinare la bellezza di Piazza dei Miracoli (sfregiando, con le unghie, la Cattedrale), ha potuto qualcosa contro la salda convinzione che ha portato la società nerazzurra alla sopravvivenza e al conseguente rilancio.

Da quel dicembre del 2016 al goal del capitano, Antonio Caracciolo, che ha permesso al Pisa di passare momentaneamente in vantaggio nel pari contro il Pordenone nello scorso weekend, consolidando il primato in Serie B, sono passati quasi cinque anni, ma se il Lung’Arno potesse parlare li racconterebbe con le parole di Giacomo Leopardi, che scrivendo alla sorella Paolina dipinse la città come “un misto di città grande e di città piccola, di cittadino e di villereccio”, definendo il tutto, infine, “un misto così romantico” da non aver mai visto altrettanto. Lontana dagli anni gloriosi in massima serie, di Anconetani e delle Coppa Mitropa vinte contro Debrecen e Vaci Izzo, di Carlos Dunga e Diego Pablo Simeone, il Pisa ha prima sfiorato, poi realizzato il ritorno in Serie B nel 2019. Corrado, nonostante tutto e contro ogni pronostico, ci è riuscito.

Aiuta certamente a sorridere, almeno un po’, riconoscere che la storia in questi casi ci vede benissimo, entrando in scena con tempismo scenico invidiabile. Chi non ha mai sentito parlare di “color dell’aria”, probabilmente, non ha mai avuto la fortuna di passeggiare per il Lung’Arno e imbattersi per il Palazzo Blu: che, chiaramente, rende facile l’associazione delle due cose. La scelta cromatica si deve a Caterina La Grande, Imperatrice di Russia, che volle a tutti i costi portare un po’ di San Pietroburgo in Toscana.

Centottantasei anni più tardi e poco più di settecento chilometri a Sud-Est dell’ex Leningrado, a Mosca, un russo, di nascita, che una volta siglati gli accordi di Helsinki (che distesero i rapporti tra l’URSS e gli USA) si trasferì in terra americana fece la sua comparsa nel mondo, ignaro del fatto che molto tempo prima un’imperatrice aveva fatto riverniciare uno dei palazzi di quella che diventerà, più avanti, la sua città. In molti sensi.

Alexander Knaster non è solo uno tra i quattrocento uomini più ricchi al mondo (con un patrimonio personale di più di due miliardi di dollari), ma, ed è quello che interessa alla nostra storia, dallo scorso 20 gennaio è l’azionista di maggioranza del Pisa (attraverso l’Ak Calcio Holdings) . Il compito di Corrado, che resta insieme alla “Magico srl” proprietario del 15%, si è sostanzialmente esaurito in una meravigliosa, e ai limiti dell’epica, traversata dal quasi fallimento a un passaggio di proprietà che sembrava fino a non troppi anni fa impossibile.

“L’operazione di oggi è motivo di orgoglio ed è un onore essere associato ad una città e ad una società calcistica storica come il Pisa. Il mio investimento è solo l’inizio di un percorso che accompagnerà la squadra e la società verso nuovi traguardi sportivi e non”, ha affermato Knaster poco dopo il suo insediamento.

Reso iconico, tra l’altro, nel corso di un lungo incontro con il sindaco della città, Michele Conti, dalle macchine fotografiche che hanno immortalato Knaster di spalle perso nell’immenso affresco, presente nella Sala delle Baleari al Palazzo Gambacorti, raffigurante la presa di Gerusalemme. Pisa, nella sua storia, effettivamente ha sì conquistato (o riconquistato, giocando un ruolo fondamentale nella prima Crociata), ma nei fatti non è mai stata conquistata militarmente. Neppure dai barbari, che arrivarono fino a Roma trafiggendo il cuore dell’Impero, ma che proprio non riuscirono a penetrare in terra pisana, né valicando i monti, né via mare. Con la flotta che avevano a Pisa, figuriamoci.

Questo per dire che sì, l’incontro con il sindaco sa, comunque, un po’ di conquista della città: diplomatica, almeno. Si è discusso della valorizzazione dell’Arena Garibaldi e della realizzazione di un nuovo centro sportivo: insomma, di un progetto a lungo termine che possa garantire al club un certo livello di sostenibilità economica, al di là della potenzialità degli investimenti.

Lucca PisaGetty

La squadra, allenata da Luca D’Angelo, intanto vola. Ha vinto sei delle prime sette gare del campionato, prima di capitolare a Crotone e pareggiare, come detto, contro il Pordenone. Ha trovato nell’età media di 25,7 anni la spinta giusta per rendere la malizia e la sfrontatezza armi letali da sfoggiare in campo, contro qualsiasi avversario. Ed è simbolicamente in uno di questi, storico e acerrimo nemico, che ha trovato il suo leader offensivo: Lucca (Lorenzo), che a Pisa non può mai essere solo un cognome.

Merito di un gioco fluido e mai banale: e, chiaramente, di tutto ciò che un attaccante come lui riesce a dare. In termini di goal sei nelle prime nove (addirittura già nelle prime sette): più in generale, nell’epoca dei giocatori bionici (Haaland e Mbappé su tutti), qualcosa che in Italia non si è praticamente mai visto. Strutturalmente un gigante di due metri con la tecnica di un giocatore moderno, maturo a ventuno anni: non è strano che persino Roberto Mancini stia pensando di rompere l’assurda consuetudine che vede un commissario tecnico non convocare un giocatore solo perché proveniente dalla Serie B. In futuro, magari, ci aiuterà a sfatare altri tabù come quello che riguarda direttamente Dante, secondo cui “i Pisan veder Lucca non ponno”. Da qualche mese, al contrario, non vedono l’ora.

Non sappiamo ancora dove potrà arrivare il Pisa di Knaster: se darà seguito al cammino che fin qui ha fatto ripensare agli anni d’oro del club nerazzurro. Se, invece, siamo di fronte all’inizio di un’era che potrebbe portarlo persino a diventare una società tra le più virtuose del panorama calcistico italiano: o se, infine, non dobbiamo crearci troppe aspettative. Una delle mosse più efficaci del magnate russo-americano è stata prettamente simbolica, come spesso avviene in questi casi: il ritorno allo storico nome di "Pisa Sporting Club", abbandonato dopo il fallimento del 1994. L’ultimo sogno calcistico della “Città dei Miracoli” che, in pendenza, sfida le leggi della fisica, guardando tutti dall’alto senza cadere.

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